Convegno cittadino di comitati e associazioni

ROMA 15 MARZO 2008 ORE 10.30 - 19.30 

IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA

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DOCUMENTO DI CONVOCAZIONE DEL CONVEGNO CITTADINO

Chi siamo

Siamo cittadini organizzati in Comitati e Associazioni locali, impegnati, negli ultimi anni, in vertenze soprattutto per la difesa dei territori, per contrastare progetti speculativi, per rivendicare il diritto alla partecipazione alle scelte. Rappresentiamo i mille volti di una resistenza civica al dominio dei poteri forti, economici e politici, che stanno ipotecando il futuro della nostra città e della nostra vita in nome del profitto e dell’interesse.

Cosa ci unisce

Ci unisce l’esperienza di impegno civile ma anche aver sperimentato una politica istituzionale che non ha alcuna disponibilità né volontà all’ascolto, che marcia spedita verso la chiusura di un progetto devastante fatto di milioni di metri cubi al servizio delle grandi lobby economiche, immobiliari. In questo assumiamo come nostra l’analisi fatta dalle associazioni nella Conferenza stampa del 22-1-08 che parla di un nuovo “sacco di Roma”. Pezzo dopo pezzo, territorio per territorio, si completano gli obiettivi politico-finanziari, si ribalta ogni regola di pianificazione, si tenta di isolare, ridurre al silenzio o raggirare ogni spinta mobilitativa e civile.

Con ogni mezzo necessario, le amministrazioni locali, Comune in testa, perseguono i propri obiettivi. In forma strumentale e senza alcun vincolo etico, si alternano il non rispetto delle regole, la finzione di processi partecipativi strumentali realizzati sempre quando le decisioni sono già state prese o addirittura in fase attuativa, le promesse non mantenute, il tentativo di dividere le realtà associative attraverso piccole, parziali o virtuali concessioni. Grazie alla connivenza dei principali organi di stampa, in mano agli stessi poteri economici che determinano le sorti della città, si falsifica la realtà per inibire, ridurre, screditare ogni mobilitazione civica.

E’ questa realtà, misurata da ognuno sulla propria pelle a convincerci che nessun movimento locale può incidere sulle scelte da solo, al di là della forza che ha messo o può mettere in campo, al di là dell’efficacia delle proprie strategie, al di là dell’ampiezza del consenso che riesce a conquistare.

La storia della città è profondamente mutata rispetto al passato. Se alcuni decenni fa, la mobilitazione dei cittadini era in grado di aprire contraddizioni profonde nel sistema politico, fino a mettere in crisi giunte e maggioranze, oggi, la dinamica istituzionale ha individuato le modalità di assorbimento dei conflitti.

Non sottovalutiamo la crisi di partecipazione che attraversa la società romana, la disillusione, la sfiducia che porta gran parte della nostra gente a ritirarsi nella dimensione privata, oppure a concedere una delega acritica, o ancora ad orientare le proprie opinioni verso un facile qualunquismo o peggio, verso facili e falsi obiettivi individuando nel debole e nel diverso il proprio nemico.

Non pretendiamo, cioè, di rappresentare tutti. Però, crediamo di rappresentare una parte di società, quella che tenta, con difficoltà, di riappropriarsi dei propri destini, di interpretare le cose, di ricostruire tessuto civico e senso della comunità. Perché una città dove le persone si incontrano, si mobilitano, costruiscono democrazia diffusa, si trasferiscono competenze e capacità critiche, è una città migliore. A questa città migliore, nei fatti, la politica istituzionale e partitica contrappone la cultura del disimpegno, una delega acritica e plebiscitaria, un’immagine distorta dove la solidarietà, la partecipazione, il valore del “bene comune” sono slogan virtuali senza sostanza e senza pratiche coerenti.

La fine della politica?

Gli strumenti tradizionali, infatti, non bastano più. I poteri hanno acquisito esperienza e capacità per contrastare ogni dinamica sociale propositiva. Nessun soggetto politico istituzionale ha più la volontà o la possibilità di mettere in crisi il modello imposto. Anzi, di fronte al “modello Roma”, che si ripropone tal quale a livello nazionale come futuro modello vincente, non sembra esserci alcuna differenziazione o alternativa che superi un puro “esercizio di stile”. Le forze di Centrodestra, al di là della propaganda, non hanno più l’ancoraggio di conflitti culturali reali, di fronte ad un Sindaco che riesce, liberamente, ad assumerne all’occorrenza, valori, riferimenti e centralità. Le forze che si pongono a sinistra del progetto del PD, hanno contribuito, negli ultimi anni a contenere le forze conflittuali espresse dalla società civile.

Ordini del giorno apparentemente in linea con le richieste associative, poi, regolarmente non rispettati; programmi elettorali avanzati, mai messi in pratica, percorsi partecipativi “virtuali” senza certezza delle regole e senza alcuna cessione di sovranità, la costante incongruenza tra le dichiarazioni e le scelte fatte dalle rappresentanze assessorili, sono stati “materialmente” strumenti che hanno rafforzato i poteri ed indebolito le mobilitazioni. L’esempio della violazione sistematica dello Statuto Comunale in merito alle Delibere di Iniziativa Popolare, l’utilizzo  parziale e strumentale del regolamento partecipativo, la graduale espropriazionedi ruolo dei consigli in favore delle Giunte dimostrano l’assenza di qualsiasi potere di controllo o anche di semplice mediazione della politica.

I partiti, quindi, intesi nel loro senso originario, come soggetti in grado di rendere progetto orientato, etico e culturale, le istanze provenienti dalla società civile, organizzata e non, a Roma, ad oggi, non esistono più. Questo, per noi, non è un bene. E’ una constatazione che facciamo con amarezza. D’altra parte sarebbe un male peggiore, se non riuscissimo a descrivere la realtà empiricamente, misurandola con la verità dell’esperienza piuttosto che con l’illusorietà del desiderio. E’ nella nostra esperienza concreta, infatti, che non possiamo che vedere la città spartita, per temi e per aree territoriali, tra lobby trasversali, pezzi di partiti, associazioni “istituzionali”, aree di consenso costruite sulle competenze degli Assessorati e sulla fitta rete di bandi pubblici.

A Roma, verifichiamo la sovrapposizione ormai quasi totale tra politiche urbanistiche, politiche culturali e sistema di relazione e di scambio tra partiti. A farne le spese è il potenziale sociale della mobilitazione e delle forme di aggregazione politica, sociale, civica. O collocarsi all’interno di questo sistema “globale” o trovarsi a controbattere un fronte potentissimo e trasversale che ha a sua disposizione strumenti, risorse, informazioni. E’ nella ricerca disperata e disperante di “protezione” politica, che molte esperienze associative e locali sono cadute nella logica dello “scambio”, accettando la concessione “regale” di una finta condivisione partecipata delle scelte, pagando il caro prezzo della rinuncia agli obiettivi concreti. L’unica alternativa, per noi, è quella di un percorso unitario e condiviso che sveli le dinamiche reali che determinano gli assetti della città, che superi gli infingimenti , le apparenti contrapposizioni fra schieramenti e forze politiche, che riparta dagli obiettivi e provi a rileggere la mappa dei poteri della città.

Il vecchio e la modernità – le periferie

Dietro la modernità apparente, le vetrine lussureggianti della Roma Veltroniana si nascondono vecchie e nuove contraddizioni. Resta il quadro drammatico della “nuova” periferia urbana. In tanti quartieri popolari intere generazioni sprofondano nel tunnel della marginalità e della disoccupazione dove le uniche alternative sono la microcriminalità o il precariato. La cronaca quotidiana dei quartieri come Torbellamonaca, Magliana, Corviale, Laurentino-Fonte Ostiense, per fare alcuni esempi, ci consegna fotografie non immaginarie, ma di dura e cruda realtà. Percentuali altissime di abbandono scolastico, numeri preoccupanti di giovani che fanno uso di sostanze stupefacenti, assenza di reddito in interi nuclei familiari. Gli ultimi decenni ci hanno consegnato esperienze molto importanti e diverse fra di loro, di cui fra tutte: i Comitati di Quartiere e i Centri Sociali. Realtà positive, ma che non sono riuscite a radicare e dispiegare su tutto l’ambito territoriale dal caseggiato al quartiere, dal municipio alla città, quell’organizzazione solidale e comunitaria che è il collante politico contro la disgregazione sociale e la pochezza culturale. Insomma bisogna passare da cittadinanza attiva a comunità attiva.

L’intreccio partecipazione/conflitto deve essere riconnesso ad una proposta articolata e plurale che rilanci, partendo dal basso, un nuovo welfare solidale e municipale. Ma nella convinzione che ciò non può avvenire per una concessione istituzionale, ma solo attraverso una conquista autonoma delle comunità locali. L’indigestione di profitti e di rendite speculative ha prodotto marginalità, individualismo e abbandono sociale. E’ necessario andare a tappe progressive verso la ri/costruzione del senso comunitario del convivere e del condividere per battere l’egemonia dei poteri forti finanziari.

La nostra realtà di Comitati e associazioni è consapevole di rappresentare una parzialità. Un pezzo di discorso intorno alla città. Crediamo di poter però offrire anche ad altri un approccio metodologico che provi a ridefinire in termini corretti il rapporto tra società civile organizzata e politica istituzionale, fuori da ogni contrapposizione pregiudiziale ma anche da ogni pratica di scambio e sovrapposizione di ruoli. Crediamo che il dibattito sulle “cose” vada ridisegnato sottraendosi alle logiche elettoralistiche di una contrapposizione sempre più virtuale (cioè non sui contenuti) tra schieramenti politici.

Sottrarci, nelle pratiche, alla scelta obbligata tra chi privatizza e chi privatizza di più, tra chi cementifica e chi cementifica peggio, tra chi pratica l’esclusione sociale senza dirlo e chi lo fa rivendicandolo. Il nostro orientamento è dato non da appartenenze e doppi legami ma da ciò che vogliamo, chiediamo, pensiamo. Il nostro convegno vuole dare voce, quindi, ad una parte della città, quella delle vertenze locali, ma per naturale sviluppo, vuole lanciare, sul metodo e sulle relazioni, un ponte alle culture ed alle storie che in forme differenti, contrastano il “modello Roma” da vari punti di vista. L’associazionismo ambientalista ed ecologista, le esperienze di lotta per il diritto all’abitare, le esperienze di intervento sociale, le realtà dei migranti, le esperienze di opposizione alla precarizzazione del lavoro, i comitati che difendono i beni comuni, le tante esperienze culturali che non godono dei grandi eventi internazionali, le realtà di volontariato e di impegno giovanile che si esprimono nei Centri Sociali come nelle parrocchie, i gruppi che promuovono solidarietà internazionale, quelli che fanno pratiche di consumo critico, le esperienze di informazione libera e diffusa. Questo è il mondo a cui anche ci rivolgiamo, perché individuiamo in esso un potenziale di trasformazione e di riappropriazione dell’anima solidale della città. Perché è indispensabile che questa ricchezza di cui ci sentiamo parte, venga sottratta alla drammatica scelta tra essere marginalizzata o assorbita. Un movimento che non può e non deve esprimersi attraverso una riduzione delle differenze di culture originarie, di linguaggio, di modalità comunicative, ma che può costruire relazioni solidali, cercare un metodo condiviso, provare ad abbozzare una lettura comune della realtà, può definire la città che “non vogliamo” e la città possibile.

Ripartire dagli obiettivi

La prima esigenza è proprio quella di elencare e rendere visibili le vertenze materiali che attraversano la città. Anche se indebolite, negli anni, dal “muro di gomma” politico-istituzionale, esse rappresentano già, in sé, un modello alternativo di città. L’autostrada Roma-Latina, la realizzazione di un nuovo concentrato di disagio nell’ex Manicomio di Roma, il parcheggio scavato sotto la collina del Pincio, la messa in opera di enormi speculazioni edilizie in interi quadranti della città, solo per fare degli esempi, rappresentano parti di un progetto “compiuto” di città, che può essere rappresentato sinteticamente, dal potere decisionale assoluto, che al di là delle finzioni “partecipative” il nuovo PRG affida alle Giunte, ai Sindaci ed ai “Governatori”. E’ un disegno che, territorio per territorio, può essere interpretato, descritto e contrastato proprio a partire dall’esperienza soggettiva di chi si è opposto e si oppone al suo “planare” concreto. Disegnato nel merito perché visualizza la città globalizzata del futuro e nel metodo perché rappresenta una riscrittura drammatica delle regole e delle forme materiali della rappresentanza. La forza di quel progetto è proprio nella sua unicità, nel fatto che ogni singola opposizione, ogni resistenza territoriale e specifica, rischia di far “saltare” l’equilibrio di poteri su cui è costruito e per questo viene combattuta senza tregua. Ma questa può essere anche la nostra forza. Assume valore, per noi, quindi, ogni singola vertenza, tesa a difendere un singolo pezzo di territorio, o a determinare l’utilizzo di un’area sulla base del proprio potenziale sociale piuttosto che del suo valore immobiliare, ogni possibile messa in discussione concreta del sistema costruito intorno all’equilibrio di Assessorati, Presidenti di  Municipio, Enti di progettazione di Grandi Opere, grandi reti di produzione culturale. E’ in questo senso, che ogni singola vertenza, ogni obiettivo territoriale assume valore complessivo e “politico”, rappresenta in sé un modo differente di leggere e comprendere la città. Ma oggi più che mai, mentre è in atto un’accelerazione dei processi, mentre si tenta di chiudere ogni singola “pratica”, è necessario rendere condivisa e più organica possibile questa lettura, fornire gli elementi concreti che la descrivano, aprire nella città un dibattito, mettere in discussione il “modello Roma” a partire dalle pratiche sociali “dal basso”. E’ indispensabile costruire presto un sistema di “mutuo soccorso” che parta dalla consapevolezza che solo il rafforzamento dell’obiettivo dell’altro possa rafforzare il proprio.

Il convegno

A questo può servire un convegno cittadino promosso dai comitati e dalle associazioni territoriali. Rendere visibile alla città che il modello di sviluppo della città in atto non è l’unico modello possibile. Che le rose ed i fiori con cui è dipinta la realtà romana coprono e nascondono un’ipotesi socialmente e culturalmente pericolosissima. Perché vi è il rischio di una città dove vengono uccisi ogni pulsione civile, ogni volontà progettuale dal basso, ogni partecipazione reale, ogni conflitto propositivo, ogni voglia individuale e collettiva di contribuire al futuro. Una città senz’anima, una città “finanziaria” senza corpo civico, senza vincoli sociali, senza luoghi di produzione di senso collettivo. Una terrificante “Pax Romana”. A questo scenario contrapponiamo la crescita di cultura e coscienza civile, l’autoorganizzazione, il recupero dei valori e della dimensione etica, l’impegno disinteressato, il diritto e il dovere alla partecipazione alla cosa pubblica. Per far questo serve la ricostruzione paziente di un modo condiviso di leggere la realtà, un’acquisizione di competenza diffusa, una formazione permanente all’agire sociale e politico. Tutto ciò che la “politica” ha smesso da tempo di fare. Ridefinire la mappa dei poteri della città, comprenderne le vecchie e nuove contraddizioni, indagare sui mali profondi del tessuto civico, intravedere gli strumenti di azione e di efficacia per la trasformazione della realtà, infine ricostruire un immaginario condiviso e comune, un’etica della trasformazione che recuperi il meglio della storia della nostra città.

Ipotesi di scaletta per il convegno:

- Roma ancora da slegare: la mappa dei poteri ed il “modello Roma”

- Vecchi e nuovi “mali di Roma”: Cosa c’è sotto le vetrine

- la politica che non c’è: la crisi della rappresentanza e della capacità progettuale

- l’emergenza democratica: La finzione partecipativa, l’annullamento dell’etica, i metodi di

annientamento dei conflitti, l’arbitrio e la relatività delle regole

- ripartire dagli obiettivi; per una storia sociale delle vertenze aperte nella città

- Un nuovo modello per Roma: dalle resistenze alla ricostruzione dei vincoli sociali e del valore

dell’impegno sociale e politico

 

 

 

 

 

 

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