17/11/2007 (7:13)

Il malato è un assassino: condannato il suo medico

Schizofrenico accoltella assistente,
quattro mesi di pena allo psichiatra

PIERANGELO SAPEGNO
INVIATO A MODENA


Ma è giusto che per il delitto compiuto da un malato schizofrenico debba pagare il suo medico? Il tribunale di Bologna ha deciso che sì, è così. La Cassazione l’ha appena ribadito: è giusto. E’ la prima sentenza del genere in Italia. Lo psichiatra Euro Pozzi è stato condannato: 4 mesi. Omicidio colposo. Il suo paziente, Giovanni Musiani, aveva accoltellato l’educatore professionale Ateo Cardelli, affondando per due volte nel suo cuore una lama di 35 centimetri.

Ora Pozzi dice che «di fatto questa è una sentenza contro la legge 180. Adesso, per gli psichiatri, diventa preferibile non esporsi a inutili rischi perseguibili penalmente». L’avvocato Massimo Iasonni, che ha rappresentato in aula la madre della vittima, la signora Ivana Bendini, ribatte che «la verità è un’altra, che la legge Basaglia è sacrosanta, ma che i medici devono rispettare fino in fondo le linee guida internazionali di assistenza dei pazienti schizofrenici: se riducono un trattamento medico devono controllarne l’effetto sul paziente. Non possono abbandonarlo, come se lo avessero già guarito». Detto così, sembra semplice. Da una parte le buone intenzioni, dall’altra gli obblighi, anche morali; da una parte gli ideali, dall’altra la coscienza. Ma chi ha davvero ragione, alla fine? Sino a dove arriva la legge, e fino a dove arriva la responsabilità dell’uomo?

Musiani è un malato schizofrenico paranoide già ricoverato per quattro anni, dal ’70 al ’74, negli ospedali psichiatrici giudiziari di Reggio Emilia e di Aversa. Alla fine degli Anni 90 finisce nella Comunità Residenziale Psichiatrica Albatros (Usl di Imola). Lo segue il dottor Euro Pozzi, che prima decide di dimezzare e poi di eliminare il medicamento Depot, una cura che abbassa fra le altre cose il livello di aggressività, ma che è mal sopportata da tutti i malati, come spiega bene Iasonni, «perché li indebolisce, e li fa sentire anche fiacchi e impotenti». Molti medici decidono di eliminarla per il bene dei loro pazienti. Il problema è che «a questo punto, nel momento delicatissimo in cui cambi terapia, metti a rischio pure i già fragili equilibri psichici del malato, e quindi un medico ha l’obbligo di andare a vedere come questo mutamento incida sulla personalità del soggetto». Perché, insiste Iasonni, «il paziente può andare in scompenso, e lo vedi perché si incupisce, diventa taciturno, rifiuta il cibo, si fa ispido e scostante, fino al punto di manifestare delle fobie: ha paura di essere ammazzato, ha paura di qualsiasi cosa, ha paura del veleno. In questo caso, ci vuole il trattamento sanitario obbligatorio».

E’ questo che è successo a Musiani, nella comunità di Imola? Il 24 aprile del 2000 accoltellò Ateo Cardelli. E il magistrato mandò sul banco degli imputati anche il suo medico. Ma questa sentenza, giunta dopo 7 anni di processo, secondo Euro Pozzi, «ha le sue radici nello stigma che tuttora accompagna la malattia mentale: la pericolosità del malato di mente. E’ una conferma per tutti gli psichiatri della necessità di ricorrere sempre più alla psichiatria difensiva, una pratica già ampiamente in uso in medicina che ha, nel caso della psichiatria, conseguenze ancora più problematiche, non solo per i malati, ma pure per la collettività. Per i pazienti è prevedibile l’abuso o l’uso esclusivo del trattamento farmacologico, il ricorso a ricoveri prolungati anche se non necessari, e la morte di ogni percorso riabilitativo.

La riabilitazione è la via della speranza nel paziente psichiatrico, un processo complesso e articolato che comprende le terapie farmacologiche, il coinvolgimento di varie professionalità e la crescente responsabilizzazione e autonomizzazione del paziente. Tutto questo rischia di essere spazzato via dalla sentenza. Uccide questa speranza. Chi avrà il coraggio di provarci ancora?». Ma dov’è il confine fra la libertà di cura, la speranza di una cura migliore, e la responsabilità personale di un medico - come in questo caso -, ma anche di un parente, persino di un magistrato? La colpa di quel dottore non equivale a quella di un poliziotto o di un giudice che lascia libero un delinquente interpretando una norma o un divieto? E può essere punita questa colpa, o non è sbagliato farlo? Non apre a scenari inquietanti (per un’automobilista killer della strada è responsabile la scuola guida?) o a obblighi impossibili?

In questo caso, nella vicenda di Imola, la vittima, poco prima di essere uccisa, aveva scritto una lunga lettera a Piero Marrazzo, all’epoca conduttore della trasmissione tv «Mi manda Rai Tre». Si lamentava dei turni massacranti, di essere sottopagato, ma soprattutto di vivere in condizioni di estremo disagio e pericolosità, «trovando rifugio in questa struttura, come in altre case famiglia, ex degenti psichiatrici e portatori di gravi handicap mentali». Se era una denuncia, non poteva servire a molto. Eppure, a rileggere tutto, alla fine forse ha ragione Iasonni, che c’è qualcosa in questa storia «che vale la pena di tenere, contro la retorica stracciona, la superficialità dei gesti e delle scelte. Non basta avere ragione. Lo devi dimostrare. Non basta capire che una cosa è giusta. La devi fare». Semplicemente, come in ogni cosa della vita, bisogna arrivare fino in fondo.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200711articoli/27668girata.asp

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Commento di Giampietro operatore sociale

Caro Mimmo
questa notizia, che è su tutti i giornali di oggi, segna un cambiamento importante nella Comunità terapeutiche. Essendo il mio settore di di lavoro, poi abbandonato per l'improvvisazione e l'irresponsabilità di chi vi opera (le varie Comunità romane e la coop Cecilia), saluto con favore questa sentenza della Cassazione nella speranza che si inizi una nuova era. Si distingua chi è capace di lavorare nel sociale da chi lo fa perché ha semplicemente trovato lavoro, Siano premiati i meritevoli attraverso percorsi di verifica delle attività terapeutiche. Siano rispettati gli operatori nel loro ruolo di protagonisti e non subordinati ai finti professionisti che stanno dietro le scrivanie senza prendersi nessuna responsabilità.
Io sono testimone di malati mentali finiti alla deriva (Ospedale Psichiatrico Giudiziario, suicidio, ecc.) per colpa di questi incapaci che siedono dietro una scrivania.
Ciao Giampietro

 

 

 

 

 

 

 

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