ROMA - E' incredibile come l'Italia sia condannata
incessantemente a cambiare per rimanere sempre più uguale a se stessa. Il
mercato del lavoro, per dire: dopo la riforma del collocamento, dopo il culto
della flessibilità, dopo la nascita delle agenzie interinali, dopo le
controversie sulla legge Biagi, ecco che da una ricerca dell'Isfol viene fuori
che il 40 per cento della gente ha trovato un posto grazie a parenti, conoscenti
o potenti.
E così la Repubblica delle raccomandazioni racimola anche dai numeri aggiornati
l'ennesima conferma, che poi è la solita maledetta santificazione, nel senso che
i concorsi pubblici producono occupazione per la misera quota del 15 per cento,
mentre i nuovi canali, i centri per l'impiego governati da soggetti privati, si
fermano al 5 per cento. Il resto, beh, non tutto, ma insomma, la restante quota
di lavori trovati in buona parte si deve a lei, come ti sbagli: la vecchia, cara
e gratissima "raccomanda".
E infatti. "Mi raccomando, non fate troppe raccomandazioni" faceva lo spiritoso
Andreotti con i giovani deputati. Su quante dovessero farne, esattamente, per
raggiungere la modica quantità clientelare, famigliare o para-famigliare il più
autorevole e longevo rappresentante del quarantennio democristiano non si
diffondeva oltre. Nei primissimi anni ottanta un sondaggio diffuso durante una
trasmissione di Mike Bongiorno lo proclamò a furor di popolo il capo da cui gli
italiani si sarebbero volentieri fatti raccomandare.
Presente in studio, il Divo Giulio assaporò il primato con qualche arguta
battutina delle sue, comunque dispensandosi dal raccontare che nella industriosa
segreteria aveva impiantato un sistema di doppi, tripli e quadrupli registri
gerarchici di segnalazione, all'apice dei quali si poneva l'indicazione, vergata
di suo pugno, a pennarello: "Mi sta molto a cuore".
A Remo Gaspari, d'altra parte, un altro campione del genere con un'altra mitica
segreteria (gestita dall'indimenticabile Tilli, l'uomo che dava la mano a
braccia conserte), ecco, sì, si deve a Gaspari la metafisica scoperta che le
raccomandazioni, quando diventavano troppe, scappavano di mano al potente e
finivano per annullarsi l'una con l'altra, come se nel loro intimo indicibile
contenessero gli anticorpi contro se stesse.
"Troppi raccomandati - teorizzava don Rè allargando le braccia - uguale
nessun raccomandato".
Ma intanto la pratica, o forse l'arte dell'aiuto, della segnalazione, della
premura, del piacere, della mano, della spintarella, del calcio in culo, insomma
dell'interessamento del potente acquistava nei canoni della Prima Repubblica un
valore sconfinante nel meteorologico o addirittura nel cosmico, come si deduce
da una ormai antica filastrocca in dialetto veneto a proposito degli interventi
con cui l'astro nascente dei dorotei Tony Bisaglia reclamizzava l'opera sua:
"Par el so vivo interessamento/ sorge el sol e cresse el vento".
E ancora. Nessun dc si è mai adirato per essere messo all'indice come un capo
clientelare, un vero boss, un manager o uno sparviero dell'assistenza. Ma quando
si notava - come nel caso di Rumor al tramonto - che non era più grado di fare
anche i minimi favori, una nomina a Cavaliere, ad esempio, erano strilli o
pianti o stridore di denti. In compenso, alla lunga, quella curiosa classe
dirigente arrivò a modulare l'attività raccomandatoria secondo sottili e
variatissimi moduli, alcuni anche simbolici, e polemici, e in questo senso il
palmares della più arzigogolata crudeltà va all'onorevole siciliano Carmelo
Santalco che riuscì a far nominare dai suoi nemici consultore della Cultura
della provincia di Messina un contadino analfabeta di Enna. Per poi rivelare il
tutto, additando al pubblico ludibrio la nequizia di una segnalazione da lui
stesso congegnata.
E tuttavia, per quanto fossero degli specialisti, degli efficaci "santi
protettori" o dei "santi in paradiso", come ancora si dice con significativa
scelta lessicale, dal punto di vista storico i capi democristiani sono
senz'altro da considerarsi più dei razionalizzatori che dei pionieri della
raccomandazione. Questa in effetti decisamente e gloriosamente li precede, come
dimostrano ben due straordinarie collezioni, la raccolta Grassi e la raccolta
Maffei, che documentano come già gli eroi del Risorgimento indulgessero alla
prassi di dar corso alle suppliche. Per non andare molto più indietro nel tempo,
risalendo il verbo "raccomandare" al latino "accomandare", cioè affidare, là
dove nella cura del popolo si consacra il comando, con il contributo speciale
della pietas e della caritas.
Con tale spirito, e lungi dal perdere il loro sconsolante valore, i dati dell'Isfol
sembrano se non altro in linea con la più profonda identità nazionale. La quale
a sua volta, nel corso del tempo, si è fatta letteratura, vedi la
raccomandazione mafiosa nel Giorno della civetta di Sciascia; e anche
giurisprudenza, vedi la sentenza della Cassazione secondo cui: "La ricerca della
raccomandazione è ormai tanto profondamente radicata nel costume da apparire
agli occhi dei più come uno strumento indispensabile per ottenere non soltanto
ciò a cui si ha diritto, ma anche per restituire accettabile funzionalità a
strutture pubbliche inefficienti". E qui si potrebbe chiudere il discorso,
arrivederci e grazie.
Sennonché ci si priverebbe forse di un molto interessante elemento di
riflessione ormai quasi più esistenziale che nazionale. Nel suo quasi esaustivo
Mi raccomando, sottotitolo L'arte della spintarella da Garibaldi a Berlusconi (Baldini&Castoldi,
2002), Daniele Martini riporta un articolo in cui veniva sintetizzato il ciclo
di vita del cittadino comune: ci si raccomanda per un buon posto in clinica e
per una migliore assistenza al parto; si raccomandano i figli a scuola e poi si
cerca l'aiutino per farli uscire dalla disoccupazione; quindi si cerca qualcuno
di conosciuto per raddrizzare le storture burocratiche e per fluidificare le
pratiche dell'eredità; e nelle metropoli occorre raccomandarsi pure per un posto
al camposanto.
Si capisce come la Rai non sia compresa nell'elenco. Ma quello è un luogo che
più di tanti altri da sempre accende la fantasia. Ne I complessi (di Dino Risi,
1965) l'episodio di Guglielmo il Dentone, interpretato da Sordi, fa ridere
proprio perché l'aspirante conduttore non è raccomandato, ma sbaraglia lo stesso
tutti i concorrenti, anche parlando fluentemente in fiammingo. Bene, passano 35
anni e quando è costretto ad abbandonare il tg Gad Lerner mostra ai
telespettatori un bigliettino di raccomandazione affidatogli da un esponente
politico. Una giornalista, anche capace. Passano altri cinque anni, escono le
intercettazioni di Vallettopoli, e subito si capisce in quale ambito e in quale
corporea e sciaguratissima logica di scambio le segnalazioni radiotelevisive
siano andate a parare.
Nella società della tecnologia e degli spettacoli diffusi è arduo trovare
qualcuno che parli a favore della raccomanda, ma forse è ancora più difficile
reperirne che non ne abbiano mai, in un modo o nell'altro, anche indirettamente
approfittato. "Chi è senza peccato scagli la prima pietra" ha scelto saggiamente
come epigrafe Giovanni Floris al suo recentissimo Mal di merito. L'epidemia di
raccomandazioni che paralizza l'Italia (Rizzoli). Vi si racconta, fra l'altro,
del database scoperto dall'Espresso alle Poste: tutte le richieste archiviate,
generalità dei raccomandati, nomi dei raccomandatari (compreso un cardinale
teologo della casa pontificia), esito delle pratiche. Un piccolo campione
d'Italia. Su 3203 casi, 841 assunti, 613 respinti, 86 in attesa di risposta. Ma
soprattutto 1663 disoccupati: a riprova dei dati Isfol e di un paese, in fondo,
che si trasforma senza requie per rimanere quello che è sempre stato.
(16 novembre 2007)