http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/lavoro-famiglia/repubblica-raccomandati/repubblica-raccomandati.html

Studio Isfol, lavoro sicuro solo grazie a parenti e amici
La migliore agenzia di collocamento è ancora e sempre la famiglia

Nella repubblica dei raccomandati
Lo è un italiano su due

di FILIPPO CECCARELLI


ROMA - E' incredibile come l'Italia sia condannata incessantemente a cambiare per rimanere sempre più uguale a se stessa. Il mercato del lavoro, per dire: dopo la riforma del collocamento, dopo il culto della flessibilità, dopo la nascita delle agenzie interinali, dopo le controversie sulla legge Biagi, ecco che da una ricerca dell'Isfol viene fuori che il 40 per cento della gente ha trovato un posto grazie a parenti, conoscenti o potenti.

E così la Repubblica delle raccomandazioni racimola anche dai numeri aggiornati l'ennesima conferma, che poi è la solita maledetta santificazione, nel senso che i concorsi pubblici producono occupazione per la misera quota del 15 per cento, mentre i nuovi canali, i centri per l'impiego governati da soggetti privati, si fermano al 5 per cento. Il resto, beh, non tutto, ma insomma, la restante quota di lavori trovati in buona parte si deve a lei, come ti sbagli: la vecchia, cara e gratissima "raccomanda".

E infatti. "Mi raccomando, non fate troppe raccomandazioni" faceva lo spiritoso Andreotti con i giovani deputati. Su quante dovessero farne, esattamente, per raggiungere la modica quantità clientelare, famigliare o para-famigliare il più autorevole e longevo rappresentante del quarantennio democristiano non si diffondeva oltre. Nei primissimi anni ottanta un sondaggio diffuso durante una trasmissione di Mike Bongiorno lo proclamò a furor di popolo il capo da cui gli italiani si sarebbero volentieri fatti raccomandare.

Presente in studio, il Divo Giulio assaporò il primato con qualche arguta battutina delle sue, comunque dispensandosi dal raccontare che nella industriosa segreteria aveva impiantato un sistema di doppi, tripli e quadrupli registri gerarchici di segnalazione, all'apice dei quali si poneva l'indicazione, vergata di suo pugno, a pennarello: "Mi sta molto a cuore".
A Remo Gaspari, d'altra parte, un altro campione del genere con un'altra mitica segreteria (gestita dall'indimenticabile Tilli, l'uomo che dava la mano a braccia conserte), ecco, sì, si deve a Gaspari la metafisica scoperta che le raccomandazioni, quando diventavano troppe, scappavano di mano al potente e finivano per annullarsi l'una con l'altra, come se nel loro intimo indicibile contenessero gli anticorpi contro se stesse.

"Troppi raccomandati - teorizzava don Rè allargando le braccia - uguale nessun raccomandato".

Ma intanto la pratica, o forse l'arte dell'aiuto, della segnalazione, della premura, del piacere, della mano, della spintarella, del calcio in culo, insomma dell'interessamento del potente acquistava nei canoni della Prima Repubblica un valore sconfinante nel meteorologico o addirittura nel cosmico, come si deduce da una ormai antica filastrocca in dialetto veneto a proposito degli interventi con cui l'astro nascente dei dorotei Tony Bisaglia reclamizzava l'opera sua: "Par el so vivo interessamento/ sorge el sol e cresse el vento".

E ancora. Nessun dc si è mai adirato per essere messo all'indice come un capo clientelare, un vero boss, un manager o uno sparviero dell'assistenza. Ma quando si notava - come nel caso di Rumor al tramonto - che non era più grado di fare anche i minimi favori, una nomina a Cavaliere, ad esempio, erano strilli o pianti o stridore di denti. In compenso, alla lunga, quella curiosa classe dirigente arrivò a modulare l'attività raccomandatoria secondo sottili e variatissimi moduli, alcuni anche simbolici, e polemici, e in questo senso il palmares della più arzigogolata crudeltà va all'onorevole siciliano Carmelo Santalco che riuscì a far nominare dai suoi nemici consultore della Cultura della provincia di Messina un contadino analfabeta di Enna. Per poi rivelare il tutto, additando al pubblico ludibrio la nequizia di una segnalazione da lui stesso congegnata.

E tuttavia, per quanto fossero degli specialisti, degli efficaci "santi protettori" o dei "santi in paradiso", come ancora si dice con significativa scelta lessicale, dal punto di vista storico i capi democristiani sono senz'altro da considerarsi più dei razionalizzatori che dei pionieri della raccomandazione. Questa in effetti decisamente e gloriosamente li precede, come dimostrano ben due straordinarie collezioni, la raccolta Grassi e la raccolta Maffei, che documentano come già gli eroi del Risorgimento indulgessero alla prassi di dar corso alle suppliche. Per non andare molto più indietro nel tempo, risalendo il verbo "raccomandare" al latino "accomandare", cioè affidare, là dove nella cura del popolo si consacra il comando, con il contributo speciale della pietas e della caritas.

Con tale spirito, e lungi dal perdere il loro sconsolante valore, i dati dell'Isfol sembrano se non altro in linea con la più profonda identità nazionale. La quale a sua volta, nel corso del tempo, si è fatta letteratura, vedi la raccomandazione mafiosa nel Giorno della civetta di Sciascia; e anche giurisprudenza, vedi la sentenza della Cassazione secondo cui: "La ricerca della raccomandazione è ormai tanto profondamente radicata nel costume da apparire agli occhi dei più come uno strumento indispensabile per ottenere non soltanto ciò a cui si ha diritto, ma anche per restituire accettabile funzionalità a strutture pubbliche inefficienti". E qui si potrebbe chiudere il discorso, arrivederci e grazie.

Sennonché ci si priverebbe forse di un molto interessante elemento di riflessione ormai quasi più esistenziale che nazionale. Nel suo quasi esaustivo Mi raccomando, sottotitolo L'arte della spintarella da Garibaldi a Berlusconi (Baldini&Castoldi, 2002), Daniele Martini riporta un articolo in cui veniva sintetizzato il ciclo di vita del cittadino comune: ci si raccomanda per un buon posto in clinica e per una migliore assistenza al parto; si raccomandano i figli a scuola e poi si cerca l'aiutino per farli uscire dalla disoccupazione; quindi si cerca qualcuno di conosciuto per raddrizzare le storture burocratiche e per fluidificare le pratiche dell'eredità; e nelle metropoli occorre raccomandarsi pure per un posto al camposanto.

Si capisce come la Rai non sia compresa nell'elenco. Ma quello è un luogo che più di tanti altri da sempre accende la fantasia. Ne I complessi (di Dino Risi, 1965) l'episodio di Guglielmo il Dentone, interpretato da Sordi, fa ridere proprio perché l'aspirante conduttore non è raccomandato, ma sbaraglia lo stesso tutti i concorrenti, anche parlando fluentemente in fiammingo. Bene, passano 35 anni e quando è costretto ad abbandonare il tg Gad Lerner mostra ai telespettatori un bigliettino di raccomandazione affidatogli da un esponente politico. Una giornalista, anche capace. Passano altri cinque anni, escono le intercettazioni di Vallettopoli, e subito si capisce in quale ambito e in quale corporea e sciaguratissima logica di scambio le segnalazioni radiotelevisive siano andate a parare.

Nella società della tecnologia e degli spettacoli diffusi è arduo trovare qualcuno che parli a favore della raccomanda, ma forse è ancora più difficile reperirne che non ne abbiano mai, in un modo o nell'altro, anche indirettamente approfittato. "Chi è senza peccato scagli la prima pietra" ha scelto saggiamente come epigrafe Giovanni Floris al suo recentissimo Mal di merito. L'epidemia di raccomandazioni che paralizza l'Italia (Rizzoli). Vi si racconta, fra l'altro, del database scoperto dall'Espresso alle Poste: tutte le richieste archiviate, generalità dei raccomandati, nomi dei raccomandatari (compreso un cardinale teologo della casa pontificia), esito delle pratiche. Un piccolo campione d'Italia. Su 3203 casi, 841 assunti, 613 respinti, 86 in attesa di risposta. Ma soprattutto 1663 disoccupati: a riprova dei dati Isfol e di un paese, in fondo, che si trasforma senza requie per rimanere quello che è sempre stato.


(16 novembre 2007)

 

 

 

 

 

 

 

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