CALAMITA' NATURALI: UNA SFIDA PER LA SOCIETA' CIVILE

Diciamocelo francamente: nel nostro paese quando si sono verificati terremoti, frane, alluvioni non c'è stata una grande tenuta del coordinamento dei soccorsi, non c'è stata una grande efficienza ed efficacia degli aiuti dello Stato alle vittime, ma cosa altrettanto grave, non ha tenuto neanche una grande solidarietà attiva tra i cittadini.

Le reti della società civile sono deboli in molti punti, anzi debolissime perchè vegeta e prolifera una cultura che pone al centro l'individualismo e il familismo e non la comunità.

Siamo pronti a farci in 4 per i nostri figli e per la nostra cerchia familiare o gruppale ma non ci spendiamo per qualcosa di più ampio che va al di là del nostro caminetto.

Eppure anche la stessa tutela pratica dei nostri interessi e dei nostri patrimoni è collegata alla tenuta di un contesto civico solidale organizzato, fatto di relazioni sane con gli altri, fatto di genitorialità diffusa nel senso di dare ad ogni bambino l'importanza che diamo ai nostri figli, fatto di bene comune e interessi generali, nel senso di avere a cuore l'ambiente e la salute degli altri come condizione indispensabile per stare bene anche noi.

Se rimaniamo chiusi in questo egocentrismo miope chi si salverà? Come reggeremo di fronte a disastri naturali dove solo il mutuo aiuto potrebbe salvare tante vite, dove solo reti civiche di soccorso potrebbero limitare il numero di vittime e di danni?

Il fare affidamento su una sorta di selezione darwiniana del "si salvi chi può" che anima molti ipocriti individualisti potrebbe cadere come un macigno di fronte all'imprevedibilità e alla forza degli eventi.

C'è una tendenza diffusa a mobilitarsi contro una singola antenna di telefonìa che inquina e deprezza le nostre case, a mobilitarsi contro un campo rom che sta per essere installato troppo vicino ai nostri condomini ma non sembra esserci mobilitazione per avvicinarsi, per dare significato  e calore alla convivenza umana, per costruire ponti con l'altro chiunque sia, chiusi come siamo in un senso di autosufficienza e competizione consumistica nell'apparire.

Associazioni, comitati, semplici cittadini di ogni quartiere dovrebbero, a mio avviso, porsi il problema dell'autorganizzazione solidale e competente come unico efficace antidoto alle imprevedibilità che ci riserva il futuro.

L'istituzione siamo noi. I presidi istituzionali di soccorso, la protezione civile hanno dimostrato di non poter reggere da soli ad eventi di media gravità, figuriamoci cosa accadrebbe in caso di disastri più gravi.

Certo, tutto sarebbe più facile se i tanti amministratori di enti locali, regioni, comuni, municipi, invece di concentrarsi in maniera autoreferenziale sulla cura degli interessi della propria fazione e del proprio conto in banca, rischiando di finire agli arresti domiciliari, dessero un contributo alla costruzione di reti. Come? Ad esempio, aprire una scuola di sera in ogni quartiere. Di solito esse vengono aperte solo per fare i corsi di ginnastica convenzionati. Invece si potrebbero aprire a tutta la cittadinanza per fare formazione e autoformazione civica, per creare competenze diffuse e coordinamento, per dare ad ognuno la possibilità di spendersi in caso di bisogno per sè e per la comunità, accogliendo e valorizzando i punti di forza specifici e unici di ogni persona.

Va coltivato il seme delle relazioni, del saper essere e del saper fare per prepararci a sfide sempre più impegnative che vengono lanciate dalla collera della natura bistrattata ma anche dalle grandi questioni che riguardano le risorse limitate del pianeta.

Domenico Ciardulli

www.ciardullidomenico.it

PUBBLICATO SU WWW.VEJO.IT

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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