QUANDO SI RAPISCE UN NEONATO...

Luca è ritornato tra le braccia della madre sano e salvo. Il suo rapimento è durato, per fortuna, poche ore grazie a "Chi L'ha visto?" e alla sua conduttrice Federica Sciarelli, grazie alle abilità degli investigatori locali e al senso del dovere civico delle persone che hanno fornito notizie utili alle ricerche.

Probabilmente per molti telespettatori italiani e per i cittadini di Nocera che hanno seguito con trepidazione la vicenda tutto finisce qui. Di fatto la situazione si è capovolta: il bambino è libero e la donna imprigionata in una cella.

Chissà se a qualcuno potranno importare le motivazioni del gesto insano di un'infermiera quarantaduenne madre di due figli? Chissà se a qualcuno importerà la sorte di quella donna che, da quanto riferiscono i giornali, avrebbe problemi psichici e sarebbe da tempo in cura presso il Centro di Igiene Mentale della Asl.

Certo, il primo istinto dei condomini e dei vicini di casa è stata di travolgerla di insulti. Molti lettori si saranno soffermati soltanto sul suo cognome che richiama casualmente un grande e tragico "giallo" irrisolto avvenuto molti anni fa nel quartiere Prati di Roma.

Ma quanto importa, in generale, la vicenda personale e familiare di una donna, diventata mamma in giovane età che oggi ha due figlie nate da un matrimonio naufragato? Una donna "sventurata" che ha rapito un neonato "per accudirlo" dopo che, secondo il racconto fatto alla polizia, sarebbe rimasta incinta durante la relazione clandestina con un uomo sposato impiegato nell'ospedale dove lavora. Una gravidanza che si sarebbe poi interrotta nei primi mesi per un aborto spontaneo.

Quanta compassione e solidarietà rimane ora alla gens italica per questa infermiera? Siamo tutti pronti a difendere il proprio particolare e siamo tutti pronti ad unirci mediaticamente nelle crociate dei buoni sentimenti. Trascuriamo invece, spesso e volentieri la fragilità psichica di una mamma, di un anziano, di un adolescente "bullo" che sta a scuola con nostro figlio perché ci sentiamo più protetti scansando "l'irrazionale". Preferiamo rimuovere tutto ciò che ci appare incomprensibile e folle lasciando che "i mostri" siano e rimangano chiusi tra le mura di una prigione, di una clinica, di un istituto. E invece, io credo che si possano arginare brutti episodi come questi o episodi ancora più tragici come quelli accaduti a maggio scorso a Rieti e Cosenza dove due neo-mamme hanno gettato dalla finestra i loro rispettivi neonati. Basterebbe che la nostra indignazione di cittadini telespettatori si sollevi prima e a monte, nel far funzionare meglio i servizi sociali, i servizi sanitari, i consultori, gli ospedali. Basterebbe non spaventarsi davanti al disagio della vicina/o di casa o della collega di lavoro e non considerarli solo un elemento di disturbo ma un problema che investe la comunità di cui si fa parte e, in quanto comunità, ogni componente ha il dovere civico di non girarsi dall'altra parte.  Adesso che il piccolo Luca è ritornato tra le braccia della madre anche l'infermiera Annarita dovrebbe poter uscire presto da una cella e tornare tra le braccia delle figlie. Dovrebbe poter contare su una reazione sana, costruttiva e positiva del suo contesto abitativo e lavorativo, su un aiuto concreto da parte di tutti, dalle Istituzioni in primis, e poi dai suoi colleghi e colleghe dell'ospedale Cardarelli e dai suoi concittadini di Nocera.

Se questa vicenda potesse concludersi con la restituzione della serenità ad entrambi i protagonisti e alle loro famiglie, il ritorno a casa di Luca acquisterebbe, a mio avviso, un valore simbolico ancora più grande: farebbe riflettere sulle tante sofferenze che rimangono nascoste tra le mura di una casa o di un luogo di lavoro.

Domenico Ciardulli

Educatore Professionale Coord. - Università Roma Tre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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