17 marzo 2009
►PRIMO RAPPORTO SUI SERVIZI SOCIALI DEL LAZIO
... MANCA QUALCOSA?
La Fondazione Censis e la
Direzione regionale dei Servizi sociali hanno reso pubblico il primo rapporto
sui servizi sociali del Lazio. "Conoscere per programmare" era il titolo del
Convegno di presentazione di questo rapporto. Esso si è tenuto a Roma via
Cristoforo Colombo 212 martedì 17 marzo presso la Sala Tevere, alla presenza
degli assessori degli enti locali coinvolti: Regione Lazio, Province di Roma,
Latina, Rieti, Viterbo, Frosinone e Comune di Roma.
Strutture di accoglienza, servizi erogati ai cittadini svantaggiati, numero e
tipologia di utenti, numeri e percentuali relativi al personale impiegato, una
mappatura dell'offerta confrontata ai parametri normativi ecc ecc. La ricerca
presentata è senza dubbio interessante per la ricchezza dei dati raccolti e per
la modalità operativa di rete tra gli enti locali.
Ma, a mio avviso, in questo primo rapporto sui servizi sociali del Lazio manca
qualcosa. Il rapporto andrebbe sviluppato con fasi successive che
approfondiscano alcune fondamentali criticità senza le quali una programmazione
oculata da parte dei decisori non sarebbe in alcun modo possibile.
Tra i punti prioritari da sviluppare per avere una piena conoscenza dello status
dei servizi ci sono i seguenti:
1) La formazione e l'aggiornamento degli operatori. Ad esempio,viene rilevato
nel rapporto Censis il numero di operatori socio-sanitari impiegati nelle
strutture e nei servizi del Lazio. Ma, in realtà, non tutti hanno ancora la
qualifica. Essi soffrono di ritardi burocratici e vuoti normativi. La Regione
Lazio non ha ancora organizzato un numero adeguato di corsi gratuiti per
riqualificare gli assistenti in "operatori socio-sanitari". D'altro canto, anche
gli educatori professionali laureati nelle facoltà di scienze della formazione e
impiegati nelle strutture, non sono ammessi ai concorsi nelle ASL e non
potrebbero lavorare nei servizi sanitari grazie al caos normativo dei profili
multipli (educatore asilo nido, educatore sociale, educatore sanitario,
penitenziario...).
Insomma, l'art.12 della legge 328/2000 aspetta ancora
di essere tradotto in pratica.
2) La qualità dei servizi sociali può essere compatibile con la precarietà degli
operatori, con il loro vorticoso turn over sullo stesso utente e con la loro
debolezza contrattuale? Può essere compatibile con la mancata formazione e
l'aggiornamento e con il sostanziale sfruttamento ad opera del Terzo Settore?
3) Il livello di partecipazione ai Piani di zona, che è fondamentale per la
lettura dei bisogni di un territorio e della relativa progettazione di servizi,
è ampiamente al di sotto di quanto prevede la legge quadro di riforma del
welfare. Gli uffici di Piano degli enti sono sguarniti di personale oppure si
reggono su tante figure precarie come psicologi e assistenti sociali interinali.
Cooperative, associazioni No profit e le altre forze sociali spesso concordano
sbrigativamente i progetti dei Piani di zona secondo livelli centralistici e
verticistici, escludendo l'apporto prezioso degli operatori che stanno a diretto
contatto con il disagio.
E' auspicabile che questi elementi critici vengano presi presto in
considerazione perché i servizi sociali del Lazio, che sono stati censiti per
la prima volta dalla Fondazione Censis, possano assicurare qualità del lavoro e
qualità delle prestazioni, efficienza
ed efficacia.
Domenico Ciardulli
Management del Servizio Sociale
Università Roma Tre
Articolo pubblicato su► La Repubblica online e sul quotidiano ► ILTEMPO