Conflitti territoriali e incapacità decisionale:

Il flop italiano della "governance"

Sempre più la politica locale dimostra di non saper trovare un equilibrio tra l'esigenza di mettere in pratica soluzioni a problemi urgenti  e le  forti resistenze di popolazioni e/o di gruppi organizzati di cittadini.

La "vecchia" politica nostrana si è probabilmente cacciata in un vicolo cieco, affetta da mali che essa stessa ha generato.  Abituati a fabbricare il consenso alle elezioni sulla base di un rapporto tutoriale con l'elettore-suddito, facendosi ricettacolo di aspettative e bisogni individuali, la gran parte dei politici locali non riesce più a fornire risposte di buona amministrazione alle emergenze sociali e ambientali e rimane esposta sempre di più ai venti delle contestazioni e dell'ingovernabilità.
La pressione di lobbies industriali, commerciali e, in alcuni casi, delinquenziali, nella pianificazione urbana, spesso in antitesi con la percezione civica dello sviluppo sostenibile, è sempre più allo scoperto e genera situazioni di microconflittualità diffusa.

L'arte del governare la cosa pubblica non può essere improvvisazione, trampolino di lancio di ambizioni personali, mezzo di arricchimento di individui insoddisfatti della routine del lavoro ordinario. La popolazione di un municipio, di una città, di una regione sono entità delicate e preziose, un tessuto connettivo importante che devono avere la massima attenzione attraverso la massima competenza decisionale.

Sono probabilmente in crisi i modelli della "balena bianca" e della "parrocchia rossa" ai cui decisori pubblici un tempo si affidavano, con un misto di fiducia e timore, le proprie deleghe in bianco.

I nostri politici si trovano adesso impreparati rispetto ai grossi cambiamenti e, a volte, di fronte all'esplosione di problemi sociali delicati e impellenti, vacillano tra il decisionismo autoreferenziale e la partecipazione comunicativa senza conoscerne bene i meccanismi e senza saperne utilizzare le chiavi di funzionamento.

Temi come la progettazione di politiche pubbliche costituiscono oggetto di numerosi studi da parte della sociologia contemporanea.

La fibrillazione che sembra colpire molti amministratori è la schizofrenia tra un'impostazione partecipata dei processi decisionali e l'impulso alle soluzioni di autorità sottratte al "troppo faticoso" confronto con la cittadinanza e le parti interessate.

Agire strumentale e agire comunicativo: due modalità alternative e non compatibili nel governo della cosa pubblica. Il primo è volto all'autoaffermazione e all'influenza che opera tramite i media del potere e del danaro. Il secondo, l'agire comunicativo, si fonda sull'intenzione di  "coinvolgersi" e di "intendersi", sulla formazione del consenso attraverso l'"autorità dell'argomento migliore". In altre parole, sulla pari dignità di tutti gli attori interessati nei processi di partecipazione alle scelte di politica locale.

I relativi rischi di spontaneismo e manipolazione, insiti in ogni innovazione coraggiosa, non possono essere, a mio avviso, alibi per ripercorrere modelli che si stanno rivelando fallimentari. 

Vanno formate e impiegate risorse umane competenti che sappiano curare efficacemente la dimensione "contrattuale" dell'interfaccia amministratori- cittadini nei vari momenti di sperimentazione, valutazione e decisione.

Un ritorno indietro, più o meno velato, rispetto al modello di "democrazia partecipata", sancito come necessità ineludibile nelle sedi internazionali (Carta di Aalborg, Agenzia 21, conevenzione di Aarhus....), e ratificato anche dal nostro paese, rischia di produrre una spirale di deterioramento progressivo della qualità della vita nelle nostre città.

3 giugno 2008

Domenico Ciardulli

PUBBLICATO SU  ►APRILEONLINE

 

APPROFONDIMENTI:

https://www.ciardullidomenico.it/ASSEMBLEA_15_MARZO_2008/ASSEMBLEA_PIANO_NORMATIVA.htm

http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/l28140.htm

www.comune.rieti.it/portalerieti/agenda21/Documenti/Carta%20di%20Aalborg.pdf 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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