NEL LESSICO MINISTERIALE UN'IPOTECA SUL NOSTRO FUTURO
I primi segnali del delicato equilibrio
internazionale e dell'attenzione verso il nuovo profilo politico del nostro
paese si erano visti già da subito. La Libia e la Lega Araba, con il loro
ammonimento sulla composizione del nuovo governo, non avevano rimosso quella
caduta di stile di un ministro leghista che, in passato, aveva voluto trattare
in tv, con goliardia e sufficienza autoreferenziale, un problema inerente la
diversa sensibilità religiosa del mondo musulmano. Ne sono scaturiti disordini e
una decina di morti, oltre il rischio di un'insanabile rottura diplomatica.
Quell'esperienza così traumatica non sembra aver insegnato molto al nostro
personale ministeriale. Lo si rileva dal lessico usato nelle prime uscite
pubbliche sui rom, sulla sicurezza e sulle missioni militari all'estero.
Come ha dichiarato in un'intervista il commissario per i diritti umani del
consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, i politici non dovrebbero cercare di
guadagnare voti cavalcando la paura. Condivido, inoltre, quanto scritto da Gad
Lerner su "La Repubblica": i "commissari per i rom" sono una denominazione che
era stata bandita dalla democrazia italiana fin dagli anni 45. Se sostituissimo
la parola rom con ebrei e con italiani forse capiremmo il pericolo che tale
linguaggio, usato dai nostri ministri, inocula nella convivenza civile.
Allo stesso modo, l'ingiusta equiparazione sul piano penale tra immigrato
irregolare e persona che delinque potrebbe fomentare odio razziale ed
emarginazione distruggendo ogni positivo germe di integrazione multietnica.
Le violenze incendiarie contro un'intera popolazione rom iniziate a Ponticelli e
dilagate in tutto il paese, a mio avviso, sono un campanello d'allarme perché
trovano legittimazione e spinte viscerali in questi linguaggi adottati dalla
nostra rappresentanza politica. Il Ministro dell'Interno dice che la fermezza
serve per calmierare la rabbia delle popolazioni ma potrebbe anche essere che
l'ostentazione governativa di leggi repressive e di commissari ad hoc fomenti la
rabbia perché parla direttamente alla pancia delle persone.
Tutto il mondo ci sta guardando. Le dichiarazioni forti del vicepremier spagnolo
nei confronti di quanto accade in Italia dovrebbero far capire la delicatezza
del momento e far correre ai ripari la squadra di governo attraverso
l'immersione completa e accurata in un lungo bagno di realtà e di prudenza.
Anche le parole del nuovo ministro della difesa, subito dopo l'attentato di
Kabul, fanno rabbrividire. Nonostante le dolorose perdite
del contingente italiano, nonostante la delicatezza della situazione libanese ed afghana, il nostro ministro della difesa preferisce mostrare i muscoli parlando
di possibili modifiche delle regole d'ingaggio, dicendo di non escludere l'invio
di altri soldati e, addirittura, di non avere preconcetti sulla possibilità di
trasformazione della nostra missione di pace in missione di guerra (Il corriere
della sera 16 maggio 2008).
Non posso crederci, un ministro usa le parole come se stesse recitando in una
fiction televisiva. Forse non si rende conto che la vita di quegli uomini in
divisa è legata alla saggezza del governo del loro paese e che una sola parola,
pronunciata a sproposito e in terra altrui, potrebbe innescare una spirale
inarrestabile di tensione internazionale e mettere in pericolo l'incolumità dei
nostri soldati.
La politica estera italiana, improntata sulla non belligeranza e sulla
salvaguardia dei diritti umani, ha avuto come merito storico la linea della
moderazione e dell'equilibrio. E' un'eredità preziosa che viene da tempi lontani
e che ha procurato il grosso vantaggio di buone relazioni diplomatiche a 360
gradi e di anticorpi naturali contro il terrorismo internazionale.
Oggi questa eredità è nelle mani di nuovi esordienti ministri degli interni,
degli esteri, sindaci di grandi città. Hanno il potere e la responsabilità di
conservare e rafforzare questa eredità oppure di seguire uno spregiudicato
cambiamento di rotta portando tutti noi e il futuro dei nostri figli in un
vicolo cieco. Papa Benedetto XVI e monsignor Bagnasco forse se ne stanno
rendendo conto di quanto il problema dei migranti possa diventare una mina
vagante qualora trattato con le strategie di una forzosa assimilazione dominante
piuttosto che con vere politiche di integrazione e di pari dignità e diritti tra
persone.
Il fuoco di Ponticelli, il disprezzo dimostrato verso intere comunità di donne e
bambini rom e, in generale, verso la vita umana, pompati quotidianamente dalla
fabbrica televisiva della paura e dai suoi imprenditori politici, sono sintomi
di una malattia virale che potrebbe contagiare ogni angolo del nostro paese.
Ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte per pretendere dai nostri
governanti che alzino lo sguardo su una prospettiva più ampia e siano ben
consapevoli di quale scenario può aprirsi da ogni loro parola o comportamento.
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Domenico Ciardulli
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