Baciare il principe?

Andrea Fabozzi

Non c'è una sola delle tante buone ragioni con le quali la sinistra arcobaleno sta spiegando la mancata alleanza con il Pd alle prossime elezioni politiche che non valga anche per le amministrative. A Roma, ad esempio. Francesco Rutelli è stato nominato erede dal suo successore Walter Veltroni come fosse una questione privata. Un'uscita talmente priva di grazia che lo stesso Rutelli si è indispettito. Si è preso una settimana per fare un giro sugli autobus della città nella quale pur abita e ha deciso di poter accettare. Non è escluso che abbia incontrato anche qualche banchiere, qualche costruttore e qualche prelato, non necessariamente in autobus.
Il modo in cui la sinistra sta uscendo dalla non felice esperienza di governo somiglia a una fuga all'inglese. Se una riflessione sarebbe chiedere troppo, magari qualche parola su quel fallimento andrebbe detta: nascondersi dietro la decisione di Veltroni di non riproporre l'alleanza è molto facile e poco vero. La scelta è reciproca come dimostrano le scambievoli cortesie di Veltroni e Bertinotti che si riconoscono a vicenda e si assegnano le parti: il moderato buono per il governo e il radicale buono per l'opposizione. Un'intesa tra gentiluomini che ha come corollario un'incrollabile alleanza negli enti locali. Se ripresentarsi uniti in parlamento sarebbe irresponsabile, come dicono sia il Pd che la sinistra che pure governavano insieme venti giorni fa, nelle città irresponsabile sarebbe andare ognuno per proprio conto. Ad esempio a Roma. Come se il rischio di consegnare il comune alla destra, peraltro scarso, fosse meno accettabile del rischio (la certezza?) di affidare il paese a Berlusconi.
Liberare la politica dalle «alleanze coatte», ristabilire le distanze tra un partito democratico neocentrista e una sinistra che vuole recuperare l'anima, e i voti, sono preoccupazioni giuste se l'interlocutore si chiama Veltroni. Lo sono anche di più se si chiama Rutelli. «Nu bello guaglione» disse di lui Romano Prodi, ma non è per questo che vincerà a Roma. L'alleanza che sarà più utile al futuro sindaco è di altro genere, è quella tra l'altare e il mattone della quale è il perfetto candidato a fare da garante. Il cardinale Ruini non è uscito di scena e Rutelli che con lui stabilì un'intesa perfetta durante il Giubileo con gli anni è persino peggiorato. Il suo capolavoro è stata la nomina di Paola Binetti a senatrice. Oltre a tutte le uscite in sintonia con le gerarchie cattoliche. Avvenire già lo festeggia.
Il modo in cui nemmeno la candidatura di Rutelli riesca a mettere seriamente in discussione la pulsione all'accordo della sinistra è un indizio di quanto pesino le aspirazioni delle nomenclature locali nelle decisioni finali dei partiti. E' un punto dolente della nostra democrazia e duole anche a sinistra. Il Vaticano punta da sempre a governare la capitale per interposto sindaco, dunque mettere tra parentesi la laicità sarebbe un mezzo suicidio e un serio invito all'astensione. Rutelli non è un rospo ma non è detto che a baciare il principe ci si guadagni.

TRATTO DA IL MANIFESTO 21 FEBBRAIO 2008

 

 

 

 

 

 

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