Non c'è una sola delle tante buone ragioni con
le quali la sinistra arcobaleno sta spiegando la mancata alleanza con il Pd
alle prossime elezioni politiche che non valga anche per le amministrative.
A Roma, ad esempio. Francesco Rutelli è stato nominato erede dal suo
successore Walter Veltroni come fosse una questione privata. Un'uscita
talmente priva di grazia che lo stesso Rutelli si è indispettito. Si è preso
una settimana per fare un giro sugli autobus della città nella quale pur
abita e ha deciso di poter accettare. Non è escluso che abbia incontrato
anche qualche banchiere, qualche costruttore e qualche prelato, non
necessariamente in autobus.
Il modo in cui la sinistra sta uscendo dalla non felice esperienza di
governo somiglia a una fuga all'inglese. Se una riflessione sarebbe chiedere
troppo, magari qualche parola su quel fallimento andrebbe detta: nascondersi
dietro la decisione di Veltroni di non riproporre l'alleanza è molto facile
e poco vero. La scelta è reciproca come dimostrano le scambievoli cortesie
di Veltroni e Bertinotti che si riconoscono a vicenda e si assegnano le
parti: il moderato buono per il governo e il radicale buono per
l'opposizione. Un'intesa tra gentiluomini che ha come corollario
un'incrollabile alleanza negli enti locali. Se ripresentarsi uniti in
parlamento sarebbe irresponsabile, come dicono sia il Pd che la sinistra che
pure governavano insieme venti giorni fa, nelle città irresponsabile sarebbe
andare ognuno per proprio conto. Ad esempio a Roma. Come se il rischio di
consegnare il comune alla destra, peraltro scarso, fosse meno accettabile
del rischio (la certezza?) di affidare il paese a Berlusconi.
Liberare la politica dalle «alleanze coatte», ristabilire le distanze tra un
partito democratico neocentrista e una sinistra che vuole recuperare
l'anima, e i voti, sono preoccupazioni giuste se l'interlocutore si chiama
Veltroni. Lo sono anche di più se si chiama Rutelli. «Nu bello guaglione»
disse di lui Romano Prodi, ma non è per questo che vincerà a Roma.
L'alleanza che sarà più utile al futuro sindaco è di altro genere, è quella
tra l'altare e il mattone della quale è il perfetto candidato a fare da
garante. Il cardinale Ruini non è uscito di scena e Rutelli che con lui
stabilì un'intesa perfetta durante il Giubileo con gli anni è persino
peggiorato. Il suo capolavoro è stata la nomina di Paola Binetti a
senatrice. Oltre a tutte le uscite in sintonia con le gerarchie cattoliche.
Avvenire già lo festeggia.
Il modo in cui nemmeno la candidatura di Rutelli riesca a mettere seriamente
in discussione la pulsione all'accordo della sinistra è un indizio di quanto
pesino le aspirazioni delle nomenclature locali nelle decisioni finali dei
partiti. E' un punto dolente della nostra democrazia e duole anche a
sinistra. Il Vaticano punta da sempre a governare la capitale per interposto
sindaco, dunque mettere tra parentesi la laicità sarebbe un mezzo suicidio e
un serio invito all'astensione. Rutelli non è un rospo ma non è detto che a
baciare il principe ci si guadagni.