Se l'estraneo si trasforma nel nemico interno - Bernhald Waldenfels

Pubblichiamo uno stralcio della lezione magistrale "Prestare attenzione all'estraneo" che il filosofo tedesco Bernhard Waldenfels terrà oggi alle ore 18 presso il Circolo dei Lettori di Torino. L'autore, esponente con Jean- Luc Marion della fenomenologia a livello internazionale, è ospite della Scuola di alta formazione filosofica. Con lui saranno presenti il fondatore e direttore della Scuola, Ugo Perone, e il direttore di questo ottavo ciclo di seminari, Enrico Guglielminetti.

Con politica dell'estraneo non intendo semplicemente una politica che si occupa dell'ambito dell'estraneo, vale a dire dell'accettazione e dell'inserimento degli stranieri, degli immigrati, dei rifugiati e della violenza contro gli stranieri, ma intendo una politica che tiene conto dell'estraneità in tutti gli ambiti dello spazio pubblico. E ciò riguarda sia il generale rapporto con le regole, sia l'apertura al non-regolamentato, da cui sono interessati tanto i normali cittadini quanto gli stranieri. Anche dal punto di vista politico, l'estraneità comincia in casa propria. Hannah Arendt ha richiamato fortemente alla memoria la fondazione della comunità politica, che dobbiamo agli Ateniesi. Eppure, proprio questa fondazione ha trovato una vittima della prima ora nella figura di Socrate. Socrate comincia la sua difesa in tribunale con la seguente ammissione: «Sono quassù in tribunale per la prima volta a settant'anni, e perciò sono del tutto estraneo a questo modo di esprimersi (lexis)» (Apologia di Socrate). Lo strano concittadino si trasforma qui in un nemico interno e l'estraneità assume tratti politici. La politica dell'estraneo solleva una gran quantità di questioni. Mi limito qui a due ambiti di problemi: al campo di tensione dell'interculturalità e alla trasformazione dell'estraneità in inimicizia. [...] Se l'inter-culturalità viene presa alla lettera, ciò implica il fatto che noi viviamo ed agiamo in un intercampo, in una terra di mezzo (Zwischenfeld). Questo campo tra le culture, strutturalmente analogo al campo tra i sessi e tra le generazioni, si costituisce in modo asimmetrico; e questo certamente non perché non rispettiamo le leggi dell'uguaglianza, ma perché ogni scambio culturale comincia qui ed ora. La propria cultura, infatti, si lascia aggirare tanto poco quanto a lasciarsi aggirare sono il proprio corpo, le proprie origini e la propria lingua. A prescindere, però, da questo, fra proprio ed estraneo si verificano mutevoli sovrapposizioni. Culture, che sfregano l'una contro l'altra e che costituiscono la loro peculiarità propria in contrasto con l'estraneo, sono passibili di diversi gradi d'estraneità. Esse sono tra loro più o meno estranee, a seconda della contiguità, della provenienza storica e dell'intensità dei reciprochi scambi. [...] Così, a noi tedeschi, l'olandese risulta meno estraneo del russo, per non parlare poi del cinese [...]. Questo paesaggio frammentario, che si presenta in un siffatto intercampo culturale, si oppone alle tendenze di un globalismo che minimizza la divergenza fra proprio ed estraneo fino all'indifferenza. [...] La minaccia, insomma, è quella di una entropia culturale. Quale risposta a un tale globalismo, che certo non cade giù dal cielo, ma si origina in determinate regioni del globo, si presenta poi un localismo che si fissa sul qui e si aggrappa al proprio, fino al punto di raggiungere quel «sangue e terra» così tanto carico di ideologia. È paradossale, ma ci si impunta tanto più risolutamente sul proprio, quanto meno lo si ha da perdere. La difesa aggressiva del proprio, infatti, scaturisce, per lo più, dalla provocazione di insicurezza e ferite. E con ciò ci avviciniamo a quella zona grigia in cui l'estraneità tramuta in inimicizia od ostilità. Il nemico (hostis) deve essere tenuto ben distinto dall'antagonista (adversarius). Mentre l'antagonismo si fonda su un conflitto di fatto e concerne ciò che l'altro dice e fa, l'inimicizia mira all'altro in quanto tale. La trasformazione comincia con la creazione di immagini del nemico, le quali hanno sempre tratti idiosincratici. E qui ci imbattiamo nei nostri stessi prodotti. La vista dell'altro differisce da ciò che in lui vediamo e il rivolgersi a lui diverge da ciò che di lui diciamo. Il nemico invece si rivela come un essere senza volto, che non guarda e non parla. Così l'extraordinario, che oltrepassa i confini dell'ordine, viene degradato a disordinato. E da qui gli schemi binari, a cui si giunge, sono ben noti: ragione contro violenza, esseri razionali contro barbari, cristiani e musulmani contro pagani, civilizzati contro selvaggi, credenti contro miscredenti, cittadini possidenti contro poveracci, fedeli alla legge contro senza-legge, e così via. Questo manicheismo sociale continua a protrarsi ancora oggi, tanto nella guerra santa contro l'Occidente infedele, quanto, viceversa, nella crociata contro il terrorismo o la battaglia degli stati retti contro gli stati canaglia. [...] Possiamo distinguere fra una forma etnocentrica d'inimicizia, così come è riscontrabile ancora oggi nelle società tradizionali, una forma cosmocentrica d'inimicizia che ammette, come in Platone, «nemici per natura» (in Repubblica), e una forma legale d'inimicizia, che tende ad identificare i nemici della democrazia o della legge con i nemici dell'umanità. La totalizzazione di un mondo composto da amico e nemico non lascia all'altro nessun tipo di nascondiglio. Nel corso di un tale conflitto, ad una forma calda di violenza, che si esprime in una violenza diretta e in carne ed ossa, si contrappone una forma fredda di violenza, che dispone di avanzati dispositivi tecnologici. Certo, la generale tecnologizzazione ha come conseguenza il fatto che queste due forme di violenza si approssimino l'una all'altra, nel senso che, per esempio, l'attentatore suicida diventa egli stesso strumento di violenza. Tuttavia, un tale sviluppo non deve indurci all'errata conclusione che non esista più alcun eccesso affettivo di odio, appostato sullo sfondo della violenza come un oscuro eros. Il nemico è l'estraneo dell'altra sponda, il rivale in senso letterale. A proposito, leggiamo una disputa tratta dai Pensieri di Pascal: «Perché mi uccidete? - Ma come! Non abitate forse dall'altra parte del fiume? Amico mio, se abitaste da questa parte io sarei un assassino, e sarebbe ingiusto uccidervi in questo modo. Ma dal momento che abitate dall'altra parte io sono un valoroso e quel che faccio è giusto». La controparte del nemico è costituita invece dall'ospite. L'ospite appare come l'estraneo sulla soglia.

Secondo le parole di Simmel, egli è colui che «oggi viene e domani rimane». È colui che fa parte di noi, ma non totalmente. Ebbene, la scoperta di nuovi temi come il dono e l'ospitalità, che può essere retrodatata fino a Marcel Mauss, non fornisce un mero ornamento culturale, ma piuttosto un correttivo etico. In fin dei conti, l'inimicizia deve essere concepita come estraneità rimossa e ospitalità negata.

trad. dal tedesco di Ferdinando Menga

Liberazione – 25.11.10

 

 

 

 

 

 

 

 

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