FONTE: http://www.nuovocaporalato.it/ilCracPowerLog.htm

 

IL CRAC DEL CONSORZIO POWERLOG

SVANITI NEL NULLA OLTRE 20 MILIONI DI EURO GRAZIE  AI “FURBETTI DELLE COOPERATIVE”. NASCE UN NUOVO CONSORZIO, SI CAMBIA L’ORCHESTRA MA LA MUSICA E’ SEMPRE LA STESSA

Il consorzio PowerLog, con sede legale a Castel Maggiore di Bologna, è stato posto in liquidazione volontaria, quindi defunto, ma dalle sue ceneri ne nasce subito un altro: KEYLOG. Ruotano dirigenti e consiglieri e, come nel gioco dell’oca, si riparte dall’inizio. Chi rimarrà fregato sono, come sempre, 2500 soci lavoratori.

Quello del consorzio PowerLog è un crac, un probabile fallimento, uno scandalo economico di oltre venti milioni di euro, compiuto dai soliti “furbetti del quartierino”, o meglio i “furbetti delle cooperative”. Un danno economico e finanziario che ricadrà probabilmente tutto sulle spalle di migliaia di soci lavoratori delle cooperative consorziate a PowerLog che, con il lavoro delle loro braccia e per quattro soldi, hanno fatto la fortuna dei furbetti delle cooperative e anche quello di importanti imprese cooperative e private che usufruivano dei servizi del consorzio stesso.

Chi si serviva dei servizi offerti da PowerLog, tramite l’intermediazione dei furbetti delle cooperative, erano le maggiori imprese della macellazione bovina e suina dell’Emilia - Romagna, i più grandi macelli italiani, la grande distribuzione organizzata e, in misura minore, altre imprese ceramiche, metalmeccaniche tessili. Alcune di queste imprese committenti, sfoggiano codici etici o certificazioni sociali che dovrebbero applicarsi anche ai soci lavoratori appaltati, in particolare per quanto concerne il rispetto dei contratti di lavoro. Ma così, come vedremo in seguito, non accadeva.

PowerLog era un colosso degli appalti di manodopera costituito quattro anni fa, con quasi duemilacinquecento soci lavoratori, cento milioni di fatturato, operava in oltre duecentotrenta cantieri presenti prevalentemente in Emilia – Romagna, ma anche in altre regioni d’Italia. In alcuni cantieri i lavoratori appaltati potevano superare le cento unità.

Una società consortile che univa sei cooperative [vedi elenco] alcune associate alla Legacoop ed altre a Confcooperative. Un consorzio che diventa, nei fatti, anche un atto politico. Infatti unisce, nello stesso consorzio, associazioni di sensibilità politiche differenti. Un unione che avrebbe dovuto rafforzare i principi della mutualità, della solidarietà, della cooperazione come valore per fare impresa senza scopo di lucro. Un unione che avrebbe dovuto vigilare, come la legge prevede, sui bilanci delle loro associate. Un unione di associazioni che fanno, della lotta alle false cooperative, un cavallo di battaglia quotidiano.

Questa vicenda dimostra ormai, senza alcun dubbio, quanto le principali associazioni cooperative debbano effettuare una seria riflessione, se non una vera e propria autocritica, riguardo il sistema delle cooperative di produzione e lavoro, in particolare quelle di facchinaggio. Non è sufficiente, a scandalo già deflagrato, affermare che PowerLog non era associata a nessuna delle due associazioni, quando lo erano le cooperative ad esso consorziate. Erano queste cooperative che traslocavano ingenti somme di denaro verso il buco nero della PowerLog, depredando le quote sociali dei soci e, probabilmente, indebitandosi a sua volta con le banche. Come non è sufficiente, oggi, creare un nuovo consorzio, cambiare o spostare alcuni dirigenti delle cooperative associate, se prima non si analizza il sistema in cui operava la PowerLog.

E’ il sistema degli appalti di manodopera, in concorrenza con le false cooperative o con caporali senza scrupoli che affittano “schiavi” a prezzi sempre più stracciati. Un sistema che produce un notevole risparmio di risorse economiche per le imprese committenti perché, tramite appalti, esternalizzazioni, affitti o cessioni di rami di azienda si evita di assumere direttamente i lavoratori. E’ in questo contesto che PowerLog e le cooperative associate operavano e per mantenere, dove possibile, un minimo di margine di guadagno non applicavano integralmente il contratto nazionale di lavoro, comprimendo diritti e salario dei soci lavoratori.

Così operavano il consorzio PowerLog e le sue cooperative associate. Dove erano Legacoop e Confcooperative mentre accadeva tutto questo? Ma dove erano le rinomate e certificate imprese etiche committenti che utilizzavano e pagavano questi servizi?

Come nel gioco dell’oca siamo di nuovo nella casella di partenza. Le imprese committenti staranno sicuramente stringendo affari con il nuovo consorzio, ovviamente alle stesse condizioni economiche precedenti, probabilmente l’aiuteranno a mettersi in moto pagando in rimessa diretta ed anticipata i servizi ricevuti, per garantire il pagamento degli stipendi, evitando così l’insurrezione dei soci lavoratori. Ma è anche probabile che stiano cercando qualche altro avventuriero o caporale a buon mercato. Il mercato dei caporali e dei furbetti delle cooperative è molto vasto e ben assortito, in modo particolare nelle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna.

Attualmente, nel mercato degli appalti di manodopera, molti committenti delle industrie alimentari sono disponibili a pagare anche meno di 12.00 euro per ogni ora lavorata dallo “schiavo” associato in cooperativa. Indiscrezioni ci dicono che, nel caso della PowerLog e in alcuni importanti cantieri, i servizi prestati dal consorzio veniva riconosciuto un compenso economico che si traduceva in appena 12.50 euro per ogni ora lavorata.

Nessuno, proprio nessuno, che si sia posto il problema, almeno morale o di coscienza? Un dubbio o una domanda su come fosse possibile, in queste condizioni, realizzare un guadagno per chi forniva il servizio, cioè il consorzio e anche la cooperativa associata? Oppure interrogarsi se, con importi economici del genere, fosse possibile rispettare, se non il contratto nazionale di lavoro da applicare ai soci lavoratori, almeno le leggi di questa Repubblica in materia fiscale e previdenziale? Ma anche qualche illuminato imprenditore,  cooperatore o dirigente delle rinomate imprese certificate, con i loro sfavillanti codici etici,  che riflettesse sull’analisi del costo del lavoro che avrebbe dovuto sostenere una di queste imprese somministratrici di uomini e di donne?

Proviamoci noi. Un ora di lavoro per un dipendente di un impresa della macellazione costa mediamente 23 euro, ovviamente con tutte le incidenze contrattuali e previdenziali. Mentre un ora di lavoro di un socio lavoratore di una cooperativa di facchinaggio non può essere inferiore ai 15 euro. Non ci vuole uno scienziato, o un luminare dell’economia, per comprendere che c’è qualcosa che non va se il corrispettivo economico, che l’impresa committente riconosce alla cooperativa, si traduce in una paga oraria inferiore ai 15 euro. Gli affari sono affari e in nome della competizione non ci si può fare troppe domande, tanto meno se sulla materia e in quel genere di cantieri non ci sono controlli dell’Ispettorato del Lavoro e nemmeno sanzioni!

PowerLog affittava o acquisiva dei rami di azienda e, successivamente, distribuiva il lavoro alle sue associate tramite contratti di appalto. Un modo per aggirare le normative sulla somministrazione di manodopera e per allungare la filiera delle responsabilità nella gestione e nella retribuzione dei lavoratori.

Un grande “inciucio” politico/economico/imprenditoriale che legava grandi imprese cooperative e private. Un “inciucio” che creava un vorticoso giro di affari, offriva manodopera a basso prezzo con discutibili applicazioni contrattuali e di modalità di retribuzione, almeno così accadeva nel settore della macellazione delle carni. Così le grandi industrie private e cooperative del settore della macellazione, ma anche altre imprese di diversi settori, potevano reperire manodopera a prezzo contenuto per migliorare la loro competitività.

Il consorzio PowerLog, in quattro anni, ha acquisito cinque società dei servizi logistici, grazie ai profitti creati, ma soprattutto attraverso indebitamenti con svariati istituti bancari. Le cooperative, nel frattempo, conferiscono al consorzio PowerLog il proprio capitale sociale, quindi le quote sociali dei soci lavoratori, ma anche altre risorse finanziarie, tanto da far pesantemente indebitare alcune cooperative associate. Da evidenziare che le quote sociali dei soci lavoratori erano molto alte, come se fossero dei veri e propri imprenditori: mediamente di 4000 euro a testa! Duemilacinquecento soci lavoratori, per una media di 4000 euro, fanno un capitale di quote sociali che può oscillare dagli otto ai dieci milioni di euro che, sicuramente, svaniranno come neve al sole grazie ai furbetti delle cooperative.

Inoltre si viene poi a conoscere che, per anni, questi furbetti, hanno affittato o comprato alcuni cantieri senza guadagnare, cioè lavoravano in perdita. Inoltre i prezzi di acquisto e di affitto di questi rami di azienda, o di contratti di altre cooperative, sembrerebbero un po’ troppo onerosi

Come dire: il committente risparmiava sulla manodopera, che i “benefattori” della PowerLog offrivano a prezzi contenuti, mentre il consorzio e le cooperative associate non avevano marginalità economica e si dissanguavano per acquisire o affittare il ramo di azienda su cui prestavano servizi. Servizi che venivano poi venduti all’impresa che gli aveva affittato o venduto il ramo di azienda. Questo è ciò che accadeva, in particolare, nel settore della macellazione e della lavorazione delle carni.

L’importante era ottenere un bel volume di fatturato perché, con esso, aumentavano le credenziali per ottenere prestiti dalle banche. Chi, fra gli istituti bancari, poteva contestare nel merito quei fatturati se erano ottenuti con importanti e rinomate imprese?

La piramide però cresceva. PowerLog acquisiva società, immobili e affittava, tramite una sua controllata, una sontuosa villa e i “moderni schiavi”, come nell’antico Egitto, continuavano con il loro sudore a spostare i pietroni per edificare lo sfarzoso monumento. I furbetti, nel frattempo, utilizzavano automobili lussuose, spendendo e spargendo allegramente e in modo disinvolto denaro non suo.

Oltre alle allegre spese c’erano anche le uscite per le donazioni politiche: come si evince dall’inchiesta dell’Espresso: 100.000 euro versati ai DS di Bologna nel 2007. C’è da scommettere che, per par condicio, altri soldini siano finiti anche ad altri attori politici locali, nazionali e regionali. Ovviamente non c’è nessun scandalo se si finanziano, in modo trasparente e pubblico, delle forze politiche. Gli italiani non si impressionano certo di queste vicende se hanno ridato la fiducia all’attuale Presidente del Consiglio, per la terza volta. In questa vicenda, però, abbiamo un consorzio con debiti colossali, che trova comunque 100.000 euro da donare. Nulla di strano, ma sarebbe interessante conoscere il parere dei soci lavoratori, “donatori” a loro insaputa. C’è da scommettere che qualcuno possa adirarsi un tantino, dal momento che egli non vedrà, probabilmente, nemmeno un centesimo della sua quota sociale.

Il sistema PowerLog era formato da una pattuglia di consiglieri, amministratori, presidenti e vice presidenti che ruotavano nelle loro postazioni di comando, con diversi incarichi e responsabilità nelle quindici imprese controllate. Furbetti che tranquillamente si distribuivano gli incarichi sociali ed amministrativi in queste società, quasi tutte cooperative, ma anche SPA e SRL, associate o controllate da PowerLog. Una pletora di “procuratori speciali” che presenziavano in tutto il coacervo di imprese cooperative e non solo, con ampie possibilità di gestione delle risorse economiche.

PowerLog era un sistema di “scatole cinesi”, creato per fare soldi, nella quale si costituisce una struttura economica in cui, qualsiasi furbacchiotto, può imboscarsi qualche eurino. L’Italia, d’altronde, è piena di esempi eclatanti in tal senso.

All’inizio del 2008, però, i furbetti delle cooperative si accorgono che i conti non tornano e le quote sociali dei soci lavoratori non erano più sufficienti per mantenere l’indebitamento ad un livello accettabile e, forse, il livello di esposizione con le banche era arrivato ad una soglia di allarme. Quindi, invece di ridurre le spese disinvolte e allegre, di utilizzare automobili un po’ meno lussuose, di pretendere dai committenti il giusto compenso o di rivedere gli investimenti, si colpiscono i soliti sfigati: i soci, cioè i lavoratori, o meglio: i “moderni schiavi”! Ci si inventa una trattenuta sulla stipendio, una vera e propria decurtazione salariale: il “contenimento dei costi”. Trattenute che potevano arrivare anche a 100 euro al mese. I soci lavoratori insorgono e interviene il sindacato.

Con l’intervento delle organizzazioni sindacali vengono alla luce le irregolarità nei trattamenti retributivi e nelle applicazioni dei contratti di lavoro, parte il confronto fra il consorzio e i sindacati ma, proprio nel momento in cui si doveva firmare l’intesa per regolarizzare le applicazioni contrattuali e retributive, i nostri eroi cooperatori arrivano e mettono in liquidazione volontaria il consorzio PowerLog.

Con un colpo di bacchetta magica si inventano un altro consorzio, KeyLog, con buoni propositi e pesanti accuse nei confronti dei passati dirigenti della PowerLog. Alcuni furbetti spariscono, altri ruotano in altre società e altri rimangono inguattati nei loro posti. Cambia l’orchestra, ma la musica rimane la stessa!

Il liquidatore della PowerLog cercherà di sistemare i conti gestendo il patrimonio, pagando i creditori: cooperative, fornitori e banche. Auspichiamo che accerti anche qualche responsabilità, ma c’è da scommettere, come accade sempre in Italia, che i furbetti la faranno franca anche in questo caso, mentre i “moderni schiavi” continueranno a spostare le loro pietre, con gli stessi trattamenti retributivi non regolari e alleggeriti della loro quota sociale. D’altronde era praticamente l’obiettivo che si erano posti i dirigenti della PowerLog sin dall’inizio del 2008: reperire risorse economiche dai soci per investire nella “crescita” del consorzio! Oggi non abbiamo la decurtazione dello stipendio, ma il probabile scippo della quota sociale e la nascita di un altro bel consorzio nuovo di zecca, lindo, pulito e immacolato!

Un modo, anche questo, per vincere la competizione con i caporali delle false cooperative: un bel consorzio, un sistema di scatole cinesi per far girare i denari, un bel affitto di ramo di azienda, appalti da smistare alle cooperative associate alle due più grandi centrali cooperative e clienti rinomati ed importanti che fanno crescere il fatturato. Tanto nessuno avrà il coraggio di contestare un simile appalto o affitto di ramo di azienda, se non si interviene nemmeno in casi di palese e spudorata somministrazione fraudolenta di manodopera, più volte denunciati dal sindacato.

Se c’è il crac finanziario o la bancarotta, perché qualche furbetto è sparito con un po’ di malloppo, a perderci sarà qualche socio lavoratore che, probabilmente, non avrà mezzi finanziari per sostenere una causa e, comunque, non potrà farci nulla perché ci sarà qualche giurista, ma anche qualche illuminato cooperatore, che gli dirà: “eri socio e come per tutti i soci c’è il rischio d’impresa!”

Allora, ci domandiamo, che differenza c’è fra questo modello cooperativo con quello delle cooperative spurie, o meglio delle false cooperative, gestite da caporali senza scrupoli, che ogni due anni svaniscono e cambiano ragione sociale per far perdere le tracce al fisco, all’INPS o all’INAIL? Nessuna! In entrambi i casi i soci lavoratori vengono gabbati, sottopagati e perdono definitivamente la quota sociale. Nel caso della PowerLog, però, parliamo di cifre molto più consistenti, almeno per quanto concerne la quota sociale.

Qualche illuminato cooperatore ci farà notare che, nel caso di PowerLog, almeno i contributi previdenziali sono stati versati, mentre con le altre false cooperative questo non sempre avviene. Speriamo che i contributi siano stati effettivamente tutti versati, non abbiamo per ora ragione di affermare il contrario, ma non è sposando la teoria del “meno peggio” che ci si può salvare l’anima o la coscienza.

Bisogna avere il coraggio di affermare che il mercato del lavoro, in particolare nell’ambito degli appalti di manodopera, ha raggiunto un livello di indecenza, di immoralità, di sfruttamento e di diffusa illegalità che non ha precedenti.

Se non si cerca di affrontare la questione, chiamando a risponderne anche le imprese committenti, continueremo lentamente e inesorabilmente a sprofondare in questa putrida melma che affoga diritti, produce illegalità diffuse e concorrenza sleale fra le imprese. Come abbiamo più volte sostenuto, in queste pagine, in gioco c’è il destino di una filiera produttiva, quella alimentare, strategica per l’economia italiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hit Counter