Appello "Un'altra sicurezza è possibile"
 

Il tema della sicurezza ha assunto una crescente centralità nella discussione politica italiana e influenza sempre più le scelte e gli orientamenti delle amministrazioni pubbliche, degli enti locali e dei governi. I mezzi di informazione hanno riservato a questo tema uno spazio enorme, determinando vere e proprie campagne di allarme sociale che, partendo da singoli episodi, descrivono le nostre città come invivibili e insicure.

L'insicurezza e la paura viene quasi sempre ricondotta alla presenza di emarginati, poveri e migranti, associando in maniera discutibile i comportamenti illegali alle categorie socialmente più deboli e ai soggetti che vivono in condizioni di disagio abitativo e sociale.
Siamo molto preoccupati per la tendenza a individuare nei più emarginati, rom e migranti in primo luogo, i facili capri espiatori di questo crescente sentimento di insicurezza. Da anni le organizzazioni sociali laiche e religiose partecipano con impegno e competenza alla individuazione e alla sperimentazione di percorsi di inclusione sociale per superare in maniera positiva le tante situazioni di disagio nelle città, collaborando con le amministrazioni pubbliche e mettendo a disposizione il proprio radicamento territoriale e il lavoro di tanti operatori e di tante operatrici.

Occorre costruire opportunità e spazi di cittadinanza per tutte e tutti. Un welfare adeguato significa rendere i diritti esigibili e universali, indipendentemente dalle condizioni sociali, dai comportamenti e dalle possibilità di ogni individuo C'è bisogno di un intervento che metta al centro le persone, con i loro percorsi e i loro diritti, senza rinunciare a dare risposte alle paure di tante e tanti nostri concittadini, ma ricercando soluzioni concrete, seppur più difficili e complesse, anziché limitarsi a fare semplici dichiarazioni.

La repressione di comportamenti illegali non può tradursi in persecuzione del disagio sociale. Accanto a una giusta attività di repressione, che deve però svolgersi nel rispetto dell'art.3 della nostra Costituzione e prevedendo le giuste garanzie per le persone più deboli, va messa in campo una attività diffusa e radicata, di mediazione sociale e accompagnamento per la risoluzione dei conflitti, che impedisca la crescita di razzismo e frammentazione sociale. L'impegno straordinario di personale di pubblica sicurezza per affrontare il disagio sociale e abitativo si traduce in minori forze impegnate contro la grande e la piccola criminalità e un progressivo intasamento del sistema giudiziario.

Chiediamo alle forze politiche, al Parlamento, al Governo e a tutti coloro che hanno responsabilità di governo del territorio di riportare la discussione sul disagio sociale e sulla sicurezza su un terreno costruttivo e di confronto che veda protagoniste tutte le forze sociali, i cittadini e le cittadine, compresi migranti e minoranze, ricercando soluzioni condivise e sostenibili che abbiano il segno della giustizia e della solidarietà. Le città aperte sono più sicure. Il razzismo rende tutte e tutti più insicuri.

Primi firmatari:
Paolo Beni (ARCI), Stefano Rodotà, Don Luigi Ciotti (Libera), Livio Pepino (MD), Lorenzo Trucco (ASGI), Sergio D'Angelo (DROM), Angelo Caputo (MD), Vincenzo Castelli (On the road), Pia Covre, Filippo Miraglia (Arci), Susanna Ronconi (Forum droghe), Gigi Sullo (Carta) On. Carlo Leoni (Vicepresidente Camera dei Deputati), Sen. Giovanni Russo Spena (Capogruppo PRC Senato), Andrea T. Torre (Centro Studi Medì-GE),


Per informazioni e adesioni:
Eva Fratucello 
tel. 0641609503;
fratucello@arci.it  

 

Fonte: ARCI

 

 

 

 

 

 

 

 

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