Il dossier I dati della
Commissione Giustizia del Senato portano alla luce una situazione drammatica
oltre ogni previsione
La paralisi Fino ad oggi l'ingorgo burocratico e la carenza di strutture hanno
penalizzato ogni forma di assistenza
Carceri malate. Non solo perché piene come un
uovo e in gran parte strutturalmente vecchie e disumane. Ma soprattutto perché
ospitano decine di migliaia di persone minacciate da un carico di patologie in
certi casi doppio rispetto a quello dei liberi. Appena il 20% circa dei detenuti
sono sani. Il resto si trovano in «condizioni mediocri, 38%, scadenti, 37%, o
gravi, 4%, con alto indice di co-morbosità», vale a dire più criticità e
handicap in uno stesso paziente.
E' il più completo rapporto sulla sanità penitenziaria quello predisposto dalla
Commissione Giustizia del Senato, su richiesta del presidente, Filippo Berselli.
«Per capire la drammaticità del mondo dietro le sbarre bisogna visitarle le
carceri. Io lo sto facendo. Ho scoperto realtà sorprendenti. Come nella Casa
circondariale di Bolzano, oggetto di una mia interrogazione parlamentare al
ministro Alfano. Dodici uomini stipati in un'unica cella. Ho domandato se ci
fosse il bagno. Certo, mi hanno risposto, indicando una tendina in fondo alla
stanza. L'ho scostata, nascondeva lavandino e water. Il cortile è un piccolo
spazio che viene trasformato in campo di calcio durante l'ora d'aria. La porta è
disegnata sul muro. Una sola. Per l'altra non c'è abbastanza spazio. E poi ci
meravigliamo se la salute per questa gente sia un concetto astratto. Se le
infezioni si trasmettono più rapidamente, se c'è chi va fuori di testa. Mi
sorprenderebbe il contrario». Il rapporto verrà discusso dalla Commissione
Giustizia e costituirà la base di un pacchetto di proposte. I dati raccolti dal
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria riguardano l'analisi di schede e
singole indagini condotte a più riprese. Nella premessa viene osservato che «la
domanda di salute in carcere è in costante crescita. Si è passati da oltre
25.500 detenuti del 1990 ai 55.000 del giugno 2008 (tra cui 2410 donne, il
4,4%). Ma se si considera il turn over degli arrestati e dei dimessi è evidente
come l'offerta dei servizi sanitari coinvolga numeri vicini al doppio di quelli
citati». Per ogni «nuovo giunto» viene compilata una cartella di ammissione. Un
archivio estremamente dettagliato, come non si trova neppure in ospedale.
Il 21% dei detenuti sono tossicodipendenti, il 15% hanno problemi di
masticazione, altrettanti soffrono di depressione e altri disturbi psichiatrici,
il 13% di malattie osteo articolari, il 10% malattie del fegato, per limitarsi
alle cinque patologie maggiormente diffuse. La tossicodipendenza è spesso
associata a Aids, epatite C e disturbi mentali. «Si deve osservare — sottolinea
il rapporto — che le psicopatie, certe malattie infettive e quelle dell'apparato
gastroenterico sono presenti con percentuali notevolmente superiori a quelle
osservate in libertà». Le persone con Hiv sono 1008, il 2,07% della popolazione
carceraria complessiva. Ma l'infezione è molto più diffusa di quanto rivelino le
cartelle cliniche. Solo il 30-40% dei detenuti accettano di sottoporsi al test.
«E' vero, la maggior parte lo rifiutano», evidenzia il problema Giampaolo Carosi,
infettivologo a Brescia, componente della Commissione nazionale Aids. Due le
ragioni. Grazie alle nuove terapie, oggi la sieropositività, anche se coincide
con uno stato di avanzato indebolimento del sistema immunitario, non costituisce
più uno scivolo automatico verso la scarcerazione. Non solo, ma chi viene
trovato positivo al virus dell'Hiv va incontro ad emarginazione, stigma da parte
dei compagni. «Sono decadute le ragioni per cui il detenuto aveva interesse a
far scoprire l'infezione — continua Carosi —. Credo che però il test andrebbe
offerto meglio, non solo al momento dell'ingresso».
Quindici istituti di pena dispongono di propri centri per diagnosi e terapia. Si
contano sulle dita di una mano gli ospedali con reparti speciali per il ricovero
dei reclusi. Due, sulla carta le sale operatorie «interne», a Pisa e al Regina
Coeli. Ma la struttura romana è chiusa da prima dell'estate perché ha bisogno di
manutenzione.
I ritardi dell'intervento tecnico sono dovuti al passaggio di competenze. Dal
1˚ ottobre la medicina penitenziaria è stata trasferita dal ministero di
Grazia e Giustizia alle Asl. Una rivoluzione che dovrebbe portare dei benefici
ai carcerati. Riceveranno la stessa assistenza che spetta a un cittadino libero.
Quindi uguali diritti soprattutto dal punto di vista della erogazione di
farmaci. Prima non c'era sufficiente chiarezza su chi dovesse sostenere la
spesa, se l'istituto di pena o la Asl, timorosa di vedersi negare i rimborsi da
parte del ministero di Giustizia. Ambedue cercavano di risparmiare, specie se si
trattava di prodotti costosi. Ed è uno dei problemi denunciati dal rapporto.
La riorganizzazione richiederà tempo. I soldi stanziati per il servizio
sanitario penitenziario (84 milioni nel 2008) devono essere trasferiti al Fondo
sanitario nazionale. Poi, la ripartizione tra le Regioni e da qui alle Asl che
hanno competenza territoriale sugli istituti. Ma non è l'unico ostacolo: «Non
sono stati definiti ancora modelli operativi adeguati all'assistenza in carcere,
le Regioni non si sono attrezzate a fornire servizi medici nei penitenziari,
ambigua la gestione dei contratti di lavoro e dei ruoli professionali».
Un ampio capitolo del dossier è dedicato agli ospedali psichiatrici: 1173
detenuti (195 soggetti a misure di contenzione fisica) distribuiti tra le sei
strutture di Castiglione, Montelupo, Napoli, Reggio Emilia, Barcellona, Aversa,
nate per destinazioni diverse. Diagnosi più frequente il disturbo paranoide
schizofrenico e disturbi della personalità. In generale «il numero degli ammessi
è sempre superiore al numero dei dimessi. Il rapporto tra il primo e il secondo
gruppo è decisamente più sfavorevole a Barcellona».
L'organico dei sanitari è ridotto all'osso. Quindici medici, 183 infermieri, 5
assistenti sociali, per la metà part time. Pesante la denuncia della Commissione
interministeriale Giustizia-Salute incaricata di fotografare la situazione e
formulare proposte: «Concentrazione degli internati, commistione più varia di
condizioni cliniche e percorsi giuridici, inadeguatezza numerica del personale
sanitario, assenza di formazione specifica in un settore così delicato».
Margherita De Bac
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