L'INSUGHERATA (O DELLE ROBIGALIA)           
di Nando Maurelli  
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Siamo intorno alla seconda metà del XIX secolo e i confini che lo storico dell'Agro Romano A, Nibby (1) dà del fondo dell'Insugherata sono quelli di S. Agata, Marmo (Casal del Marmo) acquatraversa, Sepoltura di Nerone, Monte Arsiccio; toponimi noti e tuttora in uso nelle carte topografiche. La loro origine risale a tempi antichissimi; ciò sta a testimoniare la presenza degli uomini che in queste terre hanno vissuto e lavorato.
    I boschi dell'insugherata, come s'è visto nel capitolo primo, sono antichi quanto noti, in quanto sono ricordati nei racconti fondativi della città di Roma. La silva Arsia o un bosco prossimo ad essa era il luogo nel quale si venerava la dea Robigo i cui riti erano talmente importanti e sentiti da essere trasmessi e passare nella religiosità cristiana.
    Nel calendario Esquilino, Ceretano, Maffeiano e Prenistino le Robigalia, feste celebrate in onore della dea o del dio della ruggine si tenevano intorno al 25 aprile, ma solo i Fasti Prenestini ci dicono dove avvenissero le cerimonie: il luogo si trovava al quinto miglio della via Claudia e vi partecipavano uomini e ragazzi che sfilavano in processione preceduti dal flamen Quirino. La via Claudia, come è noto, partiva insieme alla Cassia da ponte Milvio sulla sua sinistra per un certo tratto per dipartirsi da questa e attraversarei territori che ancora oggi percorre. I romanisti che si occupano di storia del territorio della Campagna Romana non esitano dunque a situare questo luogo nel comprensorio dell'Insugherata. Il quinto miglio dovrebbe essere dunque sulla sinistra della via Cassia all'altezza del ponte dell'Acqua Traversa. Qui doveva esserci un teempio o un'ara dove i celebranti si fermavano per immolare alla divinità un cane ed una pecora.
    Gli antichi avevano non poco rispetto e timore per questa divinità, da essa dipendeva infatti l'abbondanza delle messi di tutti i cereali. La ruggine, malattia terribile che prendeva i germogli provocava non pochi danni alla economia agricola e i Romani presero per questa calamità le più grandi precauzioni. Per essi la Ruggine divenne una divinità temutissima che andava onorata i invocata con riti e sacrifici di animali e quando la primavera portava i germogli del grano i contadini nel giorno indicato  dai calendari si recavano sui luoghi di culto per chiedere alla Ruggine di stare lontano dalle loro messi.

    Varrone nel De Lingua Latina (VI, 16) e nel De Re Rustica (I, I, 6) annovera le Robigalia tra le feste solenni (quelle importanti celebrate da sacerdoti pubblici); ricorda che venivano celebrate lungo i campi coltivati e chedopo Robigo, il 26 aprile, veniva onorata Flora con le Feriae Florealia affinché  proteggesse gli alberi dalle malattie.
    Aulo Gellio nelle sue Notti Attiche (V, 12) annovera Robigo tra le divinità capaci di nuocere e che pertanto vanno scongiurate.
    L'autore latino che ci fornisce maggiori informazioni sulle Robigalia è il poeta Ovidio  nel libro IV (vv. 901-941). Egli immagina di venire da Nomento e di incontrare una processione di contadini vestiti di bianco e preceduti da un sacerdote; avvicinandosi ai celebranti chiede informazioni e il Flamen Quirinalis si diffonde a dare ragione di questa processione. La divinità tiene nelle sue mani le sorti degli agricoltori, va dunque propiziata con l'offerta di viscere di animali.
    Nelle sue invocazioni il sacerdote chiede alla dea di tenersi lontana dalle messi che stanno per maturare e le chiede pertanto di andare a posarsi sulle armi perché duri la pace; la sua potenza è tale  da poter essere soddisfatta di sé senza doversi mostrare.
    Il poeta assiste al sacrificio del cane e della pecora e l'offerta delle viscere alla dea. Gli animali sacrificati hanno una loro ragione; la pecora si nutre delle erbe e costituisce per il contadino una ricchezza, il cane invece ha la funzione di ricordare che la costellazione del Cane (Sirio) è quella che domina la stagione estiva che può portare siccità, influenzando il raccolto, e i grandi ardori del sole in estate; infatti in base ai calcoli del flamen, alle Robigalia si succedevano le Sacra Canaria, riti propiziatori della costellazione di Sirio, che si svolgevano in campagna a partire però dalla città; dalla Porta Canaria usciva il giorno stabilito la processione che si recava sul luogo del culto che noi non conosciamo.
    Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (L VIII, 14) nel dare ragione delle feste e dei riti legati ai cicli delle colture , dice che gli uomini primitivi inventarono divinità protettrici e divinità il cui potere influiva sulla crescita delle piante; tra queste ultime pone Robigo la cui festa si celebra il settimo giorno dalle Kalende di maggio, così come insegna Varrone nelle sue Antiquitates (Reum Divinarum LXIX).           

    Nel 799 Leone III mentre celebrava la Litania Maggiore, fu assalito dai suoi nemici e costretto a fuggire presso Carlo Magno, dopo una dura prigionia e una fuga da Roma; ora questa processione si celebrava proprio lo stesso giorno in cui si svolgevano le Roobigalia; mentre le Robigalia partivano dalla porta Flaminia e si portava a ponte Milvio, per inoltrarsi poi nella Campagna, la letania maggiore aveva lo scopo di chiedere al buon dio di salvare i prodotti della terra dal gelo e dalla grandine fuori stagione, la processione partiva invece da s. Lorenzo in Lucina, faceva una stazione nella chiesa di s. Valentino, un'altra a ponte Milvio e una terza presso una croce la cui ubicazione rimane ignota, quindi si recava in s. pietro e nella basilica si celebrava la messa (Muratori; Lit. Rom. Vetus.; t. III, p. 80). (03)

    La più antica testimonianza relativa al nome del nostro fondo risale agli inizi del IV secolo della nostra era e ce la fornisce Anastasio Bibliotecario (2) nel narrare la vita di papa Silvestro I (31 genn. 314 - 31 dic. 337). Sotto il suo pontificato e grazie alla munificenza dell'imperatore Costantino furono costruite a Roma e nella sua Campagna numerose basiliche; naturalmente ognuna di esse, per il suo mantenimento, veniva dotata di un patrimonio che, il più delle volte, consisteva in terreni. Nell'elenco dei beni destinati alla chiesa di Ostia dedicata ai santi Pietro, Paolo e Giovanni Battista c'è il "fundus Surorum", che senza dubbio è da identificare col fundus Suberum (o suberorum ovvero delle sughere), perché si trova lungo la via Clodia, la quale aveva lo stesso percorso della via Cassia e perché era nel territorio veientano.
    Il nome deriva dunque dalla presenza di boschi di sughere a quei tempi assai numerose, fin quando un brutto incendio non distrusse tutto, lasciando a testimonianza di questo evento ad una tenuta confinante il nome di Monte Arsiccio.
    Il fondo, dopo tanto tempo, si trova nuovamente nominato in una Bolla di papa Leone IV(10 Apr. 847 - 17 Lug. 855) dell'anno 854; qui però la tenuta risulta appartenere alla dotazione del monastero di S. Lorenzo in Palatino annesso alla stessa Basilica Vaticana. Non si tratta più di un  fundus, bensì di un casale il cui nome è "Subereta", che in quell'anno, in virtù di quella Bolla, finisce nelle proprietà di S. Pietro; probabilmente la basilica aveva incamerato i beni del monastero che era stato soppresso.
    G. Tomassetti (3) nella sua opera sulla Campagna Romana cita una fonte risalente all'anno 998, la Cronaca di suor Orsola trovata nella biblioteca Vaticana dove si parla dell'insugherata in questi termini: "casale qui dicitur s. Laurentio subereta, que vulgo Monte Malo dicitur foris portam b. Petri Apostoli cum terris,  campis...". Non è un bel latino quello di suor Orsola, ma pare di capire che la tenuta appartenga ancora al monastero di s. Lorenzo, a meno che questo santo non sia rimasto appiccicato al nome del casale per qualche tempo o per identificarlo meglio. Da questo breve frammento risulta anche che verso il mille il territorio compreso tra Cassia e Boccea veniva chiamato col nome di Monte Malo.
    Nel 1053 in una Bolla di leone IX l'Insugherata viene ancora citata come appartenente alla basilica Vaticana. La tenuta dopo l'incendio deve essere stata messa a coltura e devono esserci stati diversi appezzamenti e diversi casali che il Capitolo Vaticano dava in affitto.
    Sotto Innocenzo III (22 febbr. 1198 - 16 lug. 1216) gran parte del territorio della Suvereta passa all'ospedale di Santo Spirito in Sassia. Il Xiii secolo vede l'Insugherata animarsi di gente , di contadini e proprietari attivi in scambi di beni e assai produttivi; queste terre sembrano essere fertili, piene di vigneti e oliveti, mentre nei fondo valle prosperano gli orti.
    Ci sono diversi proprietari oltre al Santo Spirito; alcune terre appartengono a S. Maria in Trastevere, altre ai privati.
    E' sempre il Tomassetti a guidarci in questa storia (4); egli ci fornisce una buona guida per orientarci nella ricerca delle fonti.
    Nel 1290 un tale Simeone, figlio di Franco muratore, vende la metà di un terreno con vigna a Finiguerra di Filippo, un terreno che si trova in un luogo "qui dicitur Suveretum". Nell'anno successivo viene registrata un'altra vendita: un tale che abita a s. Pietro, Filippo di Tebaldo vende una tenuta con terre e vigne situata sempre nel "Siveretum". Sia l'uno che l'altro contratto vengono dagli archivi della chiesa di s. Maria in Trastevere.
    Sempre in documenti del XIII secolo si trovano tracce di casali sparsi su tutta l'Insugherata; Tanto per citarne alcuni, c'è un casaletto di Francesco de Ture de Tartaris che confinava con Acquatraversa; questo ci viene da un documento dell'archivio del Santo Spirito dove sono riportati altri casali,  quello di Andrea Boccamazzi; o ancora quello di Pietro di Paolo di Enrico.
    Datato 25 giugno 1374 (siamo nel periodo in cui i papi si trovano ad Avignone) nell'archivio di s. Angelo in Pescheria (5) c'è un documento che parla di un terreno situato "extra porta Castelli in loco qui dicitur Suverata, in proprietate basilicae Principis Apostolorum" a proposito di una dote: un certo Nicolò Angelini, tra le altre cose, diede a Lello di nicolò quel terreno che aveva affittato probabilmente dal Capitolo di S, Pietro, come garanzia che avrebbe dato la dote alla figlia del detto Lello per poterla sposare. Si tratta dunque di gente che abita e lavora su queste terre.
    Ancora più interessante sembra il documento del 13 novembre del 1429 che testimonia la richiesta a favore di un proprietario, Lello Trecta, di una recognitio (perizia, sopralluogo) di due vigne situate in !"loco qui dicitur Suvereta", per stabilirne con esattezza i confini; i due terreni confinavano con la strada pubblica (probabilmente la via Trionfale), con le terre degli eredi di Giovanni Bartolini e quelle della chiesa di s. Maria in Vallicella. La ragione di tale recognitio sta nel fatto che Lello aveva regalato le due vigne a Paolo Spagnolo quattro mesi prima? O perché i vicini si erano lagnati di qualche sopruso?
    Il vaglio dei molti documenti concernenti questo fondo arricchirebbero ancora di più la storia di questo territorio e ci farebbero vivere più da vicino le vicende di chi ha vissuto su queste terre.
    Nella carta di Eufrosino della Volpaia del 1547 edita da Th. Ashby (6) l'"Inzuccherata" compare a destra della via Trionfale dopo la Croce di Monte Mario, alle spalle della tenuta di Tre Capanne, forse l'attuale Monte Mario Alto,  e s. Andrea, e si presenta circondata da boschi e sono riconoscibili le linee che a mio avviso sono delle vigne. Certamente la fertilità di questa tenuta veniva proprio dal fatto di avere dei boschi che impedivano il progressivo impoverimento del terreno. La parte più coltivata sembra quella a Nord denominata Torricella i cui ruderi sono stati visti da Th. Ashby (7) nelle sue ricognizioni.
    Il primo settembre del 1566 viene imposta una tassa a tutti i casali che si servono della strada che passa per S. Maria del Riposo e, fatto curioso, vengono tassate alcune tenute che si trovano sulla Via Trionfale. Il casale dell'Inzuccherata, che si dice appartenere al Santo Spirito paga una tassa per 130 rubbi di terra; probabilmente i proprietari lontani non pagavano per la totalità dei rubbi posseduti, ma solo in una misura proporzionale alla distanza delle loro terre, infatti sempre in G. Tomassetti (8) si trova che nel 1570 il Santo Spirito affittava i suoi 361 rubbi per 350 scudi l'anno.
    Tra il 1588 e il 1596 nell'elenco dei casali della Campagna Romana compilato da Remzi e Bardi (9) viene citato il casale dell'Insugherata appartenente all'ospedale con 250 rubbi di terra.
    Nei primi anni del 600 a parlare del casale è il Libro dei Casali compilato da un anonimo imprenditore tra il 1600 e il 1615. La tenuta è di 165 rubbi dei quali è possibile metterne 14 a prato; nel 1602 il Santo Spirito lo affittò a Raffaele di Monte Lione per oltre 500 scudi all'anno e per 9 anni, ma questi "dopo che per il primo anno cavò cento scudi dalla Fascinaccia che tagliò nel casale, e tutto lo diede a lavorare" (10).
    Chi curava le altre terre della tenuta? Direttamente lo stesso Ospedale? Oppure le terre coltivabili erano diminuite perché divenute sodi? Il periodo della massima espansione economica determinata dall'impresa agricola stava per finire a Roma e forse la nostra tenuta era già in declino e in preda al bosco. Infatti, l'affittuario solo con il taglio della legna vi aveva fatto un quinto del fitto; segno evidente che stava per cominciare uno sfruttamento estensivo e non intensivo delle terre.
    Il fondo rimase al Santo Spirito fin quando questo non passò tutti i suoi beni agli Ospedali Riuniti e questi, quando si sciolsero, al Ministerodellla Sanità.
    Durante il primo conflitto mondiale l'Insugherata subì un grave colpo per il taglio del legname; così là dove fino a quel tempo si cacciava ancora il cinghiale, iniziò un periodo di decadimento. L'appartenenza del fondo ad un ente pubblico l'ha tuttavia salvaguardata da frammentazione, dall'abusivismo e dalla speculazione fondiaria; gli affittuari dal Pio Ospedale passarono sotto la giurisdizione del Comune di Roma che stipulava contratti e percepiva gli affitti.
Attualmente la ASL RME proprietaria del fondo cerca di recuperare gli affitti e mettere a rendita le terre, che sono diventate Riserva Naturale e uno dei 13 parchi dell'Area Metropolitana.
Pare tuttavia che in questi luoghi il tempo non sia passato, perché nonostante tanti cambiamenti gli affittuari continuano a recintare i loro fondi, impedendo agli animali gli attraversamenti e alle persone di visitare la Riserva, ma quel che è peggio, nell'Insugherata pascolano maiali e pecore, che hanno messo in serio pericolo i. boschi



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(1) A. Nibby; Analisi storico-topografico-antiquaria della carta dei dintorni di Roma, Roma 1848, vol. II, p. 156.
(2) Anastasius Bibliothecarius; Vita di papa Silvestro I
(3) G. Tomassetti; La Campagna Romana antica, mediovale e moderna, Nuova Edizione Roma 1973, vol.IV, p 39.
(4) ibidem; p.40.
(5) Ibidem; p. 40.
(6) Th. Ashby; Eufrosino della Volpaia, ed: Danesi, Roma 1914.
(7) Ibidem; p. 65.
(8) G. Tomassetti; op. cit. p. 40, nota b.
(9) J. Coste; I Casali della Campagna Romana nella seconda met... del '500; in Arch. Soc. Rom. di St. Patria, XCIV 1973.
(10) J. Coste; I Casali della Campagna Romana all'inizio del '600, in Arch. Soc. Rom. di St. Patria, XCII 1969.

                Nando Maurelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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