Pedofilia in una scuola elementare. Quali responsabilità

Non si tratta di insegnanti ma di un operatore di cooperativa

Con un titolo a caratteri cubitali un quotidiano romano pubblica il titolo che vedete nella foto.

E l’articolo inizia così: “Insegnante di sostegno e pedofilo..”.  Invece, gli insegnanti (maestre e maestri elementari) non c’entrano nulla, anzi, è stata proprio una maestra a scoprire il  pedofilo e farlo arrestare. A compiere i presunti abusi sessuali su un bambino disabile di 10 anni non è stato un insegnante, e nemmeno un collaboratore scolastico (come hanno scritto falsamente altri giornali) ma è stato un assistente di base esterno, dipendente da una cooperativa convenzionata con il municipio.

E’ quindi gravissimo quanto accaduto ai danni di un bambino inerme ma è anche grave l’errore di indicare un insegnante della scuola elementare (o altri profili interni della scuola) come colpevole di questa odiosa e tragica vicenda.

Probabilmente sarà stato frutto della superficialità del cronista.

Premesso che un fatto del genere scuote le coscienze di tutti, che allarma tanti genitori che ogni mattina affidano i propri figli in una scuola pubblica sapendoli al sicuro, e che casi come questi determinano un profondo trauma psicologico nelle vittime e nelle loro famiglie,  dobbiamo chiederci se è possibile prevenire episodi simili e individuare quali siano le responsabilità di enti pubblici e soggetti privati.

A Roma il capitolo della cooperazione sociale è diventato un punto dolente dopo il grande polverone di Mafia Capitale che ha coinvolto piccole e grandi cooperative.  Ma il mondo degli appalti sociali e degli accreditamenti con i municipi è stato, fin dalla seconda Giunta Rutelli, oggetto di contestazioni e di polemiche per lo sfruttamento interno degli operatori e per l’utilizzo di personale senza titolo e qualifica che non poteva garantire la necessaria qualità del servizio.

Il Consiglio comunale di Roma nell’estate dell’anno 2000 ha provato a fare una prima regolamentazione con la delibera n. 135/2000 che prevedeva, come pena, la rescissione della convenzione/appalto con le cooperative che non rispettavano i contratti collettivi e gli obblighi contributivi verso il personale impiegato.

Come succede per molte norme approvate e non applicate, a quella delibera comunale non è stato dato un seguito sostanziale perché gli abusi di contratti a progetto illegittimi e di collaborazioni coordinate e continuative sono proseguiti per molti anni. In alcuni casi, l’assistenza ai disabili è stata come una “gallina dalle uova d’oro”.

In base a ricerche in rete dagli anni 2000 ad oggi, emerge che alcune cooperative accreditate erano, da una parte, costrette a svolgere una doppia funzione a beneficio dei municipi e del comune: Quella di probabile bacino elettorale per candidati “protettori” e quella di bancomat per le casse comunali. Nel senso che i fondi venivano erogati alle cooperative con molto ritardo e queste erano costrette ad anticipare gli stipendi con l’utilizzo delle fidejussioni e/o del TFR dei soci. In cambio di questa disponibilità, le cooperative non ricevevano adeguati controlli sui rapporti di lavoro, sulle qualifiche impiegate nei servizi di assistenza, sull’entità del pagamento orario agli operatori, sulla valutazione ex ante, in itinere e ex post di un progetto sociale o del Piano Assistenziale o/o Educativo individualizzato. Per questi motivi il lavoro sociale così poco valorizzato è diventato in molti casi un “estrema ratio” per disoccupati alla ricerca di qualcosa per sbarcare il lunario. Motivazione etica professionale, titoli di studio e qualifica erano diventati roba sconosciuta e secondaria se si avevano le giuste conoscenze.

E inoltre, come l’Assessore alla Legalità, Alfonso Sabella aveva fatto emergere, l’uso delle proroghe dei servizi senza gara alle stesse cooperative sociali era diventata da due decenni una prassi consolidata. Non era poi raro che queste cooperative  assumessero parenti o amici di dirigenti e  funzionari comunali e persone raccomandate da politici.

Rievocata questa memoria storica, vorremmo ribadire alcuni primitivi suggerimenti di base per poter ristrutturare la qualità del lavoro e del servizio nel settore del welfare esternalizzato a Roma:

  1. Introdurre nei capitolati e nei bandi di accreditamento il controllo nominativo sistematico dei titoli del personale effettivamente impiegato da citare obbligatoriamente nella relazione mensile;
  2. Introdurre l’obbligo periodico di supervisione terapeutica degli assistenti a bambini, anziani e diversamente abili;
  3. Regolamentare l’utilizzo degli operatori che sostituiscono in caso di assenza breve o lunga del titolare attenendosi al concetto di continuità e qualità assistenziale;
  4. Controllo sistematico dei rapporti di lavoro e del reclutamento di personale
  5. ….

Ci limitiamo a questi concetti base sperando di aver lanciato alcuni utili spunti di riflessione.

About Domenico Ciardulli 257 Articles
Blogger autodidatta, Educatore Professionale con Laurea Magistrale in Management del Servizio Sociale a Indirizzo Formativo Europeo; Master in Tutela Internazionale dei Diritti Umani. Profilo corrente: Ata nella Scuola Pubblica. Inserito nelle Graduatorie d'Istituto 3a fascia per l'insegnamento di "Filosofia e Scienze Umane"

1 Commento

  1. Sono pienamente d’accordo sui controlli del personale e della documentazione amministrativa. Credo sia fondamentale sottoporre a visite di controllo chi assiste anziani, disabili e bambini, sono le categorie più fragili che non hanno, a volte, possibilità di difesa….solo chi ha familiari vicino ha un minimo di protezione ma delle volte siamo ignari di quello che succede veramente..

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