DAL CORRIERE DELLA SERA DI VENERDI' 13 LUGLIO 2007

E l’ascaro Beraki a 93 anni non ha smesso di combattere

La guerra in Etiopia, l’assedio di Gondar, la fuga a Roma

“Ma l’Italia mi ha deluso e tradito, vivo con 150 euro al mese”

 

La guerra italo-abissina vissuta da “sciumbasci”, maresciallo, degli ascari, l’assedio e la resa di Gondar, l’avvento di  Hailè Selassiè e la fuga in Italia.

“Il vostro Paese mi ha tradito, ingannato” dice oggi Beraki Ghebreslasie.

Oggi che ha 93 anni, che è forse l’ultimo ascaro “romano” sopravvissuto, oggi che vive in una casa di riposo del Comune con una pensione sociale da cui, tolti gli oneri per vitto e alloggio, gli restano a malapena 150 euro con cui non riesce a pagare neanche le medicine.

Dopo che la giovane moglie, sua connazionale lo ha abbandonato per fuggire in Svezia con i due figli, molti anni fa. E che non ha ricevuto la promessa medaglia militare, né la pensione e la liquidazione che secondo lui gli spettavano per i 19 anni di lavoro all’Istituto italo africano.

“Mi sono arruolato nell’esercito che avevo appena 18 anni, ero nel primo battaglione eritreo – racconta, giacca grigia e cravatta, cappello in testa e i lineamenti delicati e fieri degli etiopi – Mi piaceva la vita militare e l’Italia. Ho giurato sul tricolore, resto un fedele soldato italiano”. Il giovane ascaro (la parola deriva dall’arabo “ascar” soldato) combatte con gli italiani per la conquista dell’Etiopia, conosce Amedeo duca d’Aosta (“ero il suo cameriere, gli preparavo i pasti, era una persona semplice, di poche pretese”).

Gli anni passano e Beraki si ritrova alle dipendenze del generale Guglielmo Nasi a Gondar, Etiopia: sarà l’ultimo avamposto dell’esercito italiano. Il vecchio soldato ricorda: “Eravamo sotto il fuoco continuo dell’artiglieria e dell’aviazione inglese. Ho visto morire decine di giovani, giorno dopo giorno, ho perso i miei amici più cari. Ero sicuro che sarei morto anch’io. Siamo stati gli ultimi ad ammainare la bandiera italiana, dopo 9 mesi di assedio. Gli ultimi 5 giorni sono stati terribili, senza mangiare né dormire. Finita la guerra torna l’imperatore Hailè Selassiè, Beraki coltiva la terra. Ma il colpo di stato di Menghistu, a metà anni ’70, imprime una nuova svolta alla sua vita: “Mi cercavano per uccidermi, sono scappato, prima in Sudan e poi a Roma.”

Nel frattempo la sua prima moglie è morta e lui ritorna al suo paese a scegliersene un’altra, che ha solo 37 anni: nascono due figli, Ioannes e Michele, lui lavora all’istituto. Ma la situazione precipita all’improvviso: riceve lo sfratto dall’appartamento della Tiburtina, la moglie sparisce, perde in appello la causa con l’istituto per vedersi riconosciuti gli anni di lavoro. E la pratica per la richiesta di medaglia d’argento, chiesta per lui dal generale Nasi, “per essersi ripresentato, superando difficoltà e distanze enormi, al comando italiano in Africa orientale” si perde chissà in quale armadio ministeriale: nonostante la visita di alcuni funzionari della Difesa ricevuta da Beraki mesi fa.

“Nessuno mi ha aiutato, nessuno ha cercato i miei bambini, cui la madre so che ha anche cambiato nome, sebbene abbia denunciato il fatto ai carabinieri. Oggi i ragazzi hanno 19 e 17 anni, non li vedo da quando il più piccolo aveva 5 mesi. Ed erano bellissimi” ripete, e si asciuga una lacrima. Oggi la realtà di Beraki è la solitudine, l’amarezza. E l’ecodoppler da fare al più presto, ma per cui dovrà aspettare fino all’aprile 2008, come da appuntamento ricevuto dalle strutture pubbliche. “Ci vorrebbe qualche associazione, dei volontari che l’aiutino e gli facciano compagnia”, dicono gli assistenti della casa di riposo. “Vorrei una casa mia – sospira invece Beraki – Ho dato tanto all’italia, ma in cambio non ho avuto nulla”.

ESTER PALMA

 

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