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Case popolari a Milano (Fotogramma) |
MILANO—Nelle grandi città la povera gente e la bassa manovalanza criminale abitano allo stesso indirizzo. Zen due a Palermo, Quarto Oggiaro a Milano, Corviale a Roma, Scampia a Napoli. Sempre case popolari. I tecnici le chiamano edilizia residenziale pubblica, gli architetti parlano di housing sociale. Definizioni che si sostanziano, per ora, in grandi quartieri con almeno 30 anni di vita. Nella gran parte degradati. E assediati dall’abusivismo. Il futuro? Tutto da scrivere. L’esplosiva fame di casa, soprattutto nelle grandi città, ha convinto il governo a investire nell’edilizia residenziale pubblica: 550 milioni sono stati stanziati dal ministero delle Infrastrutture. Ma la formula magica che permetterà di costruire quartieri vivibili è ancora tutta da scoprire.
La Fenice dell’abusivismo
Secondo Federcasa (associazione che raggruppa Iacp ed ex Iacp) le case popolari
occupate in Italia sono 43.350, pari al 5,1 per cento del patrimonio. Il dato
non rende la situazione delle grandi città. A oggi— mettendo insieme Milano,
Roma, Palermo, Napoli e Bari — gli appartamenti occupati abusivamente sono oltre
26 mila. Uno su cinque. Senza parlare degli alloggi posseduti dai comuni. In
alcune città è più facile occupare che avere una regolare assegnazione. Anche
perché le assegnazioni sono pochissime. Prendiamo Milano: nel 2006, 322 famiglie
si sono aggiudicate la casa perché in testa alla graduatoria, contro 140 che,
secondo l’Aler, sono entrate abusivamente. In altre città, se si liberassero per
magia tutte le case occupate, si darebbe soddisfazione a quasi tutta la lista
d’attesa. A Napoli, per esempio, il fabbisogno registrato all’ultimo bando è di
10 mila alloggi popolari, ben 7.000 gli appartamenti occupati. Quando il bacino
degli abusivi diventa troppo ampio, lo si svuota con una sanatoria. A Palermo la
sanatoria è in corso. A Napoli c’è stata nel 2000. A Roma i termini scadono il
19 dicembre. A Bari, nonostante siano stati sanati coloro che avevano occupato
prima del 30 novembre 2004, gli abusivi sono già il 20-25 per cento del
patrimonio. Sconsolato Raffaele Ruberto, il commissario dello Iacp di Bari
(tutti i cinque Iacp della Puglia sono stati commissariati nel 2005):
«Nell’ultimo anno abbiamo messo a segno oltre un centinaio di azioni di rilascio
e 20 sfratti. Ma quello dell’abusivismo è un fenomeno strutturale. Impossibile
eliminarlo». Roma è più ottimista. «È vero, abbiamo varato la sanatoria—fa il
punto l’assessore alla Casa, Claudio Minelli —. Ma l’obiettivo è bloccare le
nuove occupazioni abusive. Nel 2006 abbiamo recuperato 205 appartamenti ». «Per
contrastare le occupazioni abusive abbiamo istituito un nucleo di ispettori che,
con le Forze dell’ordine, hanno impedito, da gennaio, 605 nuove occupazioni»,
interviene Luciano Niero, presidente dell’Aler di Milano.
La guerra degli sgomberi
Nei fatti la sfida degli sgomberi è tutta da vincere. «In alcuni quartieri la
situazione è delicatissima. Intervenire significa ingaggiare una guerra con la
criminalità organizzata», allarga le braccia Gianni Giannini, assessore al
Patrimonio del Comune di Bari. Conosce bene l’argomento il presidente dello Iacp
di Palermo, Giuseppe Palmeri. «Venerdì scorso un pacco bomba è stato recapitato
all’assessorato alla Casa del Comune. Non vorrei che si trattasse di
un’intimidazione rispetto alla determinazione ad andare avanti con gli
sgomberi», riflette Palmeri. A Palermo, in particolare, gli sgomberi rischiano
di diventare interventi militari. Racconta ancora il presidente dello Iacp:
«Prendiamo lo Zen due: 1.200 alloggi quasi tutti occupati. Per liberarli
servirebbero tremila uomini. Quando in una scuola dello Zen due abbiamo riunito
un comitato sicurezza, nella notte hanno bruciato l’istituto. Il messaggio mi
pare chiaro, no?». Palmeri ha prima di tutto un timore: essere lasciato solo.
Paura condivisa dal presidente dello Iacp di Napoli, Vincenzo Acampora: «Serve
una cabina di regia con forze dell’ordine ed enti locali. Con lo scaricabarile
non si arriva da nessuna parte».
Costruire sì. Ma come?
Intanto il governo ha stanziato 550 milioni per l’edilizia residenziale
pubblica. Per fare che cosa? «L’obiettivo è rendere disponibili 11 mila nuovi
alloggi, tra quelli nuovi e ristrutturati. Qualcosa potrebbe essere modificato
nel criterio di ripartizione dei fondi—spiega Marcello Arredi, direttore
generale del settore Politiche abitative del ministero delle Infrastrutture —. I
singoli interventi saranno responsabilità dei Comuni. Dal canto nostro
vigileremo ». Nelle grandi città, indipendentemente dal colore della giunta, la
linea condotta è duplice. Da una parte vendere parte del patrimonio (lo stanno
facendo i comuni di Milano e Torino attraverso il conferimento di una fetta di
patrimonio a un fondo immobiliare. Sulla stessa scia Roma e Bari); dall’altra
usare i soldi per costruire. Ma vendere per ricostruire che senso ha? «La verità
è che i comuni non sono più in grado né di costruire, né di gestire quartieri
popolari come si intendevano negli anni ’70», taglia corto Carlo Masseroli,
assessore all’Urbanistica di Milano. «Il nostro obiettivo è convincere i privati
a riservare quote di affitto calmierato in varie forme nelle nuove costruzioni.
Il tutto grazie al conferimento di aree o contributi pubblici», continua
Masseroli. E i vecchi quartieri-ghetto? «Dove il degrado ha superato i livelli
di guardia c’è solo una strada: abbattere».
Rita Querzé
11 dicembre 2007