Riproduciamo l'articolo di Massimiliano Smeriglio, pubblicato sul quotidiano "Liberazione" del 12 luglio 2007. Ne condividiamo i contenuti, soprattutto dove Smeriglio scrive delle contraddizioni di Veltroni all'interno dei servizi comunali con il suo invisibile esercito di precari e lavoratori delle cooperative che hanno retribuzioni da fame. Vorremmo ricordare che alla guida amministrativa dei Servizi Sociali capitolini ci sono gerontocrati che venti anni fa occupavano la stessa poltrona e che hanno doppia retribuzione nelle Università (e lo spazio ai giovani?). Sarebbe da chiedere al Sindaco Veltroni di aprire un'inchiesta sui rapporti tra il Comune di Roma e le agenzie interinali, sulle modalità di reclutamento di assistenti sociali e altre figure professionali nei municipi e nel dipartimento. Ci piacerebbe anche chiedere a Veltroni, che si rivolge al sindacato come se fosse un'entità distinta dal suo potere, di farci sapere quanti esponenti sindacali sono stati acquisiti nella stanza dei bottoni del Campidoglio.  Ci faccia sapere da dove provengono l'Assessore al Patrimonio, il Presidente del consorzio Met.ro, il braccio destro dell'Assessore alle Politiche Sociali e via dicendo..

Walter Veltroni
e il populismo mediatico

Massimiliano Smeriglio*
Il sindaco di Roma non finisce mai di stupire. L'editoriale di ieri su La Repubblica , oltre ad essere un po' scontato, non dice nulla ma proprio nulla al di là del classico patto tra i produttori (sindacato e grandi imprenditori), risulta, visto dalle periferie della Capitale, davvero imbarazzante, almeno su due punti fondamentali: precarietà ed emergenza abitativa. Scrive Veltroni: "Sono i giovani, oggi, i più discriminati, i più aggrediti, da un assetto della società che volta loro le spalle". Siamo d'accordo, ma non c'è una parola sul perché, su quali politiche hanno determinato questo disastro generazionale; c'entra il liberismo, c'entrano le leggi che hanno smontato le tutele del lavoro? Nulla è dato sapere, Veltroni sembra descrivere asetticamente una piaga biblica, sconnessa dalle scelte degli uomini, dei governi e dei poteri globali. E poi ancora, qual è la soluzione? Perché non riapriamo la discussione sul reddito di cittadinanza, per stare su cose un po' concrete? Ma la parte più discutibile dell'articolo è in realtà quella dove interpreta magistralmente il ruolo del campione del populismo mediatico. Un populismo basato sull'idea dell'uomo del destino, dell'uomo nuovo che con la politica non c'entra, un populismo fondato sull'idea semplice delle scelte "di buon senso", del Paese normale, un populismo che scambia i costi della politica con quelli della democrazia, annichilendo le assemblee elettive ed anestetizzando il conflitto. Un populismo mediatico perché non c'è alcun nesso tra quanto il Sindaco dice e ciò che ha fatto questi anni in Campidoglio, o che avrebbe dovuto e potuto fare.
Una costante strategia mediatica, un esercizio metalinguistico direi perché punta al consenso tramite la legittimazione del linguaggio a mezzo di linguaggio, di suggestioni svincolate dalle opere, di anima senza corpo. Insomma idee in libertà senza il vincolo della responsabilità della verifica rispetto al ruolo pubblico svolto sin qui, quello di sindaco di Roma.
Vediamo nel merito. Sulla precarietà la domanda che ci sentiamo di girare al Sindaco è: cosa ha fatto il Comune di Roma per arginare o diminuire l'utilizzo di forza lavoro precaria?
Parliamo delle migliaia di lavoratrici e lavoratori precari utilizzate dentro gli uffici del Comune, a cui si aggiungono l'esercito invisibile dei lavoratori che prestano la propria opera presso le cooperative che gestiscono i servizi comunali, hanno retribuzioni al di sotto della soglia di povertà, sono tanti e così ben occultati da non essere nemmeno censibili.
Ma è sulla casa che la scissione tra il dire e il fare diviene massima. Scrive ancora Veltroni: "perché un ragazzo inglese o francese, e non un italiano, quando va all'università in una città diversa da quella della sua famiglia, trova agenzie pubbliche che lo aiutano a trovare una casa in affitto?". Qui davvero c'è da preoccuparsi; è più di un anno che Rifondazione, Action, i movimenti, chiedono al sindaco di attivare una Agenzia pubblica per gli affitti che abbia il compito di arginare l'isterismo del mercato immobiliare romano. A Roma non c'è un assessore alla casa, nonostante i 6.000 sfratti previsti nell'anno corrente prevalentemente per morosità e quindi per questioni legate al reddito, nonostante i 31.000 in attesa nelle graduatorie per le case popolari, c'è un povero delegato senza mezzi e risorse messo lì ad incassare (anche fisicamente) la rabbia popolare.
Altroché nuova politica per la casa, fino a ieri il Sindaco ha vissuto con fastidio l'idea della città di sotto, di una città che si impoverisce e che non ce la fa nonostante i fasti veltroniani e nonostante l'azione politica della Sinistra di governo e di conflitto.
Fino a ieri, le diversificazione del mercato, il canone sociale concordato, la mano pubblica, l'autorecupero, sembravano argomenti residuali, poco consoni alla grandeur romana. E ancora oggi sembra roba da sovversivi provare a ragionare su come ricondurre all'interesse generale i potentissimi costruttori romani che continuano a costruire, spesso a fini speculativi, senza incrociare la drammatica domanda di casa di un ceto medio impoverito da sfratti e cartolarizzazioni.
Su questi due punti, precarietà lavorativa e di abitazione, che poi si traducono in precarietà esistenziale, assenza di futuro e progetti di vita, a Roma è stato fatto meno, molto meno di quanto era ed è possibile fare.
Francamente non basta la politica degli annunci, il flirtare con i giovani per fregare i vecchi, i buoni propositi per migliorare le condizioni di vita di chi oggi ha meno di trent'anni. Siamo ancora in tempo per cominciare, magari a Roma, e non sulle pagine di Repubblica , la città dove Veltroni governa, e noi con lui, da oltre sei anni.
*Deputato Prc-Se, Segretario Federazione Roma


12/07/2007

 

 

 

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