GLI APPLAUSI AFFRETTATI DELLA CASTA
di Riccardo Barenghi su LA STAMPA del 17 gennaio 2008
La notizia che fa più impressione - politicamente parlando
- non è l’arresto di Sandra Mastella e di altre 23 persone. E neanche l’indagine
a carico del ministro della Giustizia, di cui si è saputo solo nel pomeriggio. È
invece la reazione che tutto questo ha suscitato nel mondo politico, a destra,
al centro e a sinistra. L’applauso bipartisan che ha salutato il furioso e anche
commosso discorso di Mastella contro la magistratura, gli interventi che si sono
succeduti in aula, la preghiera che tutti - a cominciare da Prodi e a finire con
Rifondazione, che ha corretto il tiro solo dopo l’intervento di Bertinotti dal
Venezuela - hanno rivolto al ministro affinché restasse al suo posto, dimostrano
una cosa sola: guai a chi tocca la casta della politica.
La quale si difende senza neanche aspettare qualche ora per capire meglio che
cosa stia succedendo, si ribella e spara a zero contro i giudici senza aver
letto le carte (dalle quali si spera che arrivino ipotesi di reato più solide
della concussione nei confronti di Bassolino).
Senza informarsi. A prescindere. Fa quadrato, si schiera a difesa del suo
esponente sotto accusa (peraltro ieri mattina era sotto accusa solo sua moglie),
arriva fino al punto di respingere dimissioni indispensabili, anzi doverose, da
parte del responsabile della Giustizia.
Eppure chiunque con un minimo di buon senso sa che Mastella non poteva restare
al suo posto mentre il suo partito, la sua famiglia e lui direttamente venivano
colpiti dalla giustizia stessa, fosse stato ministro dei Beni culturali ancora
ancora...
Ma questo semplice buon senso politico non ha minimamente sfiorato i nostri
uomini di governo e di maggioranza: un coro di dichiarazioni, un pellegrinaggio
di solidarietà, una sequela di telefonate sono arrivate a Mastella. Non stiamo
parlando di solidarietà umana, ché quella non si nega a nessuno: bensì di quella
politica (e di governo). E se l’opposizione non sorprende, visto che al
centrodestra le toghe non sono mai piaciute (mentre dall’altra parte sì), e
visto pure che un’occasione del genere per acchiapparsi Mastella e chiudere così
l’era Prodi non si presenta tutti giorni, la domanda va rivolta al premier.
Perché ha respinto le dimissioni di un suo ministro che evidentemente non può
più svolgere serenamente le sue funzioni, se non diventando ostaggio dei
magistrati che lo indagano (e viceversa)? E perché tutto il centrosinistra,
escluso Di Pietro, ha seguito il suo premier su una strada che rischia di
trasformarsi in un vicolo cieco?
La risposta non è solo quella più evidente, appunto la casta che difende se
stessa. Qui entra in gioco un altro fattore, ossia la vita del governo. La
paura, diciamo pure il terrore, che Mastella approfittasse della contingenza per
chiudere la sua avventura con il centrosinistra, ha scatenato una reazione
istintiva, primordiale: primum sopravvivere. E allora non importa la morale,
l’etica, l’immagine peraltro già logora che si trasmette al Paese e alla propria
opinione pubblica. Non importa nemmeno il rispetto della regola elementare che
il centrosinistra sbandiera contro Berlusconi solo quando gli fa comodo: il
conflitto di interessi. Che in questo caso, al di là di quelle che siano le sue
colpe (se ci sono), Mastella incarna in un sol uomo. Importa solo restare dove
si sta, ad ogni costo, nonostante tutto e tutti. Sempre meno credibili, sempre
più deboli e sempre più esposti al rischio di crollare da un minuto all’altro.
Sarebbe facile dire che se un comportamento del genere l’avesse tenuto il
governo Berlusconi, l’opposizione di allora avrebbe occupato il Parlamento,
sarebbe scesa in piazza, si sarebbe appellata al Presidente della Repubblica,
avrebbe gridato al colpo di Stato. Ma si sa che l’abito fa il monaco, in
politica purtroppo non conta la coerenza bensì il ruolo che in quel dato momento
si ricopre e il potere che si gestisce. Anche se questo modo di fare può
provocare - e probabilmente provocherà - una reazione di disgusto in gran parte
degli elettori del centrosinistra. Che oggi hanno tutto il diritto di chiedersi
dove si trovi sul serio l’antipolitica: nel Paese o nel Palazzo?