CLASSIFICAZIONE ICF

E' il  maggio 2001, quando l’OMS promulga l’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF).

All’elaborazione di questa classificazione hanno partecipato 192 governi che compongono l’Assemblea Mondiale della Sanità, tra cui l’Italia, che ha collaborato tramite una rete denominata Disability Italian Network (DIN), formata da centri dislocati sul territorio nazionale e coordinata dall’Agenzia regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia.

Già il titolo del testo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di affrontare il problema, innanzitutto  fornendo un linguaggio unificato di classificazione per descrivere lo stato dei soggetti.

Inoltre, non ci si riferisce più a un disturbo, organico o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato di salute.

Il nuovo documento sostituisce ai termini “impairment”, “disability” e “handicap”, dalla connotazione negativa (in quanto, come già visto, indicano qualcosa che manca per raggiungere la “globalità” organica, funzionale e sociale della persona), altre definizioni, che potremmo definire fisiologiche, nel senso di positività, normalità, di seguito schematizzate:

Funzioni corporee

1.         Funzioni mentali

2.         Funzioni sensoriali e dolore

3.         Funzioni della voce e dell’eloquio

4.         Funzioni del sistema cardiovascolare, ematologico, immunologico e respiratorio

 5.         Funzioni del sistema digestivo, metabolico e endocrino

6.         Funzioni genitourinarie e riproduttive

7.         Funzioni neuromuscoloscheletriche e collegate al movimento

8.         Funzioni cute e strutture associate

 Strutture corporee

1.         Strutture del sistema nervoso

2.         Occhio, orecchio e strutture collegate

3.         Strutture collegate alla voce e all'eloquio

4.         Strutture dei sistemi cardiovascolare, immunologico e respiratorio

5.         Strutture collegate al sistema digestivo, metabolico e endocrino

6.         Strutture collegate al sistema genitourinario e riproduttivo

7.         Strutture collegate al movimento

8.         Cute e strutture collegate

Attività e partecipazione

1.         Apprendimento e applicazione della conoscenza

2.         Compiti e richieste di carattere generale

3.         Comunicazione

4.         Mobilità

5.         Cura della propria persona

6.         Vita domestica

7.         Interazioni e relazioni interpersonali

8.         Principali aree della vita

9.         Vita di comunità, sociale e civica

Fattori ambientali

1.         Prodotti e tecnologia

2.         Ambiente naturale e cambiamenti apportati dall’uomo all’ambiente

3.         Supporto e relazioni

4.         Atteggiamenti

5.         Servizi, sistemi e politiche.

 

In questo contesto, si noti che l’attività è da intendersi non come mero riferimento alla capacità lavorativa, ma all’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo “di carattere generale”. La partecipazione è il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita. I fattori ambientali sono caratteristiche del mondo sociale, che hanno impatto sulle prestazioni di un individuo in un determinato contesto.

Inoltre, nel documento OMS si arriva a livelli superiori di dettaglio, suddividendo le classificazioni sopra riportate in ulteriori sottoclassificazioni ed associando una sigla ad ogni livello.

Ad esempio, la sigla b11420 è riferita alla seguente gerarchia di livello:

b Strutture corporee

b1 Funzioni mentali

b11 Funzioni mentali globali

b114 Funzioni dell’orientamento

b1142 Orientamento alla persona

b11420 Orientamento a se stessi

 

Altro aspetto fondamentale dell’ICF, rispetto alle passate definizione, è che non riguarda solo le persone con disabilità, ma tutti, assumendo pertanto uso e valore globale.

Quindi a ciascun individuo può essere associato uno o più dei suddetti parametri.

Si tratta dunque di una classificazione:

  1. omogenea, perché propone terminologie e classificazioni da usare nel mondo; 
  2. positiva, perché parte da un contesto “fisiologico” individuale ed ambientale, intenso in senso dinamico, per dire se e quanto ciascuno se ne discosta. Il termine disabilità è stato sostituito da attività, handicap è stato sostituito da partecipazione;
  3. globale , perché non interessa solo il menomato nella sua condizione, ma ogni individuo;
  4. integrata, perchè si esprime tramite l’analisi dettagliata di tutte le dimensioni esistenziali dell’individuo, poste sullo stesso piano, senza distinzioni sulle possibili cause.

     

Ancora, si consideri che a differenza di quanto attiene al deficit (organico o funzionale), che è concetto assoluto, i concetti introdotti sono relativi, ovvero valutabili relativamente all’ambiente e alle condizioni in cui si inseriscono. Ad esempio, l’amputazione di un mignolo è assoluta considerato l’individuo isolatamente; lo svantaggio che ne deriva è invece relativo alle condizioni di vita e di lavoro, cioè  della realtà in cui si colloca l’individuo amputato.

L’ICF evidenzia questa prospettiva sottolineando gli aspetti propositivi, e quindi di valorizzazione, del singolo nel suo contesto ambientale e sociale. Preme ancora ricordare, che lo stesso concetto di “contesto” assume connotazione relativa, modificandosi se si tratta di contesto di lavoro, di svago, o di altro luogo (una menomazione può essere vissuta diversamente in una metropoli o in un’area rurale).

Chiunque può trovarsi in un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. E’ in tale ambito che l’ICF si pone come classificatore della salute, prendendo in considerazione gli aspetti sociali dell’individuo menomato. Ciò che importa non è stabilire la causa della menomazione, ma intervenire sul contesto sociale costruendo reti di servizi che riducano la disabilità.

Quindi, il nuovo passaggio compiuto dall'ICF elimina il lato negativo ancora attribuito alle persone ed evidenzia il contesto sociale a discapito di quello medico (il concetto di menomazione come elemento che produce disabilità e/o handicap), precedentemente di maggior rilievo.

La disabilità diventa una possibile condizione ordinaria della vita di ciascuno, non legata ad una condizione di malattia, ma riconosciuta come una esperienza umana universale.

La correlazione fra lo stato di salute e l’ambiente porta inoltre ad una definizione di disabilità come condizione di salute in un ambiente sfavorevole.

 

Per quanto concerne la situazione in Italia, si è già accennato della collaborazione al progetto ICF attraverso la rete del Disability Italian Network (DIN).  La Regione referente è il Friuli Venezia Giulia. Nel 2002, a Trieste, si è svolta la Conferenza mondiale su salute e disabilità nella quale sono state messe a fuoco le nuove classificazioni dell’ICF. Nel 2003, durante la II Conferenza Nazionale sulla Disabilità, tenutasi a Bari, l'ICF è stato indicato come riferimento per lo sviluppo di azioni nell'ambito della disabilità in Italia.

Come si legge sul sito web del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “dal giugno 2003 il DIN è un'associazione senza scopo di lucro, con funzioni di guida che, auspicabilmente nel futuro, saranno svolte dal Centro Collaboratore. Il nucleo direttivo del DIN è composto da esperti che hanno seguito tutto il lavoro di e su ICF svolto in Italia a partire dal 1998. Il ruolo e le potenzialità del DIN come riferimento nazionale per l’utilizzo di ICF sono state recentemente riconosciute dal Ministero del Welfare, che ha scelto il DIN come partner scientifico per la messa a punto del progetto ICF in Italia. Il progetto mira a formare gli operatori che si occupano di inserimento lavorativo delle persone con disabilità e a utilizzare sistematicamente ICF nei processi valutativi collegati. Grazie all’impulso del progetto sviluppato dal Ministero del Welfare, il DIN ha messo a punto una articolata proposta formativa, lungamente discussa con gli esperti dell’OMS. Si tratta di un Corso Introduttivo e di un Corso Avanzato il cui obiettivo è quello di proporre e di fornire una visione concettuale completa e una prospettiva applicativa rigorosa dell’ICF su base nazionale”.  

Ancora nel sito, il Ministro Maroni spiega che “Accettare la filosofia dell’ICF vuol dire considerare la disabilità un problema che non riguarda i singoli cittadini che ne sono colpiti e le loro famiglie ma, coinvolge di tutta la comunità e, innanzitutto, le istituzioni ... L'ICF è, infatti, in grado di valutare le performance e le abilità e di valorizzare le capacità personali delle persone con disabilità ed è in grado di misurare l'impatto dell'ambiente nel quale la persona con disabilità vive. In particolare, nel settore delle politiche del lavoro, l'approccio globale di valutazione dell'ambiente e delle abilità e potenzialità della persona, garantisce l'identità di ciascuno rispetto al lavoro. Peraltro, in sede comunitaria, sia nei documenti approvati dedicati alle tematiche della disabilità che nella Strategia europea per l'occupazione, l'esclusione dal mercato del lavoro delle persone con disabilità è indicata tra le condizioni più gravi da contrastare, anche attraverso la comprensione dei diritti, dei bisogni e delle potenzialità delle persone disabili, e migliorando le conoscenze sulle tematiche della disabilità”.

 

Come si è ben compreso, dunque, l’ICF è il superamento della sola visione sanitaria a favore di una dimensione dinamica sociale ed ambientale di ogni individuo, dove il nesso tra azione lesiva (causa), lesione (malattia) e menomazione (disfunzione) non ha più importanza.

Il ruolo del medico legale, rispetto alle precedenti definizioni “in negativo” del singolo individuo (menomazione e disabilità), era già stato in parte relativizzato dalla definizione di handicap, che richiede la valutazione di altri operatori socio-sanitari, tra cui l’assistente sociale.

Nella nuova prospettiva dell’ICF c’è ancora spazio per un giudizio medico legale?

A mio parere, per analogia nel cambiamento verificatosi nell’istituto giuridico aquiliano, è come chiedersi se la medicina legale può avere senso quando si passa dalla definizione del danno biologico a quello esistenziale.

Infatti, nella sua innovazione, tale sistema rispecchia dinamiche di tipo sociale, in cui il soggetto è visto come individuo che realizza un progetto di realizzazione personale trascendente la produzione di reddito e che ha un carattere globale. Se il danno biologico rappresenta il culmine del processo volto ad una garanzia di salvaguardia risarcitoria da una modificazione peggiorativa dello stato di salute psico-fisica di una persona, nell’evoluzione del sistema aquiliano tale protezione risarcitoria si estrinseca come tutela delle modificazioni peggiorative di un soggetto nella sua dimensione globale. Cioè, nella compromissione delle varie attività che possono considerarsi realizzatrici dell’individuo (attività biologico-sussistenziali, ma anche relazioni affettivo-familiari, rapporti sociali, attività culturali, di svago, di divertimento, ecc.), realizzando così, per l’appunto, il c.d. “danno esistenziale”.

Fin qui, l’analogia tra il modo dell’ICF e del sistema aquiliano di disegnare l’individuo non più in rapporto a se stesso, o comunque a un reddito, o alla capacità lavorativa, ma in una dimensione sociale.

Tuttavia, è importante precisare che, mentre nel danno esistenziale il rapporto causale, quantomeno con l’evento lesivo, è ancora fondamentale, nella nuova classificazione dell’OMS, lo si ripete, la causalità non ha rilevanza.

Eppure, per quanto concerne la valutazione ICF, vedo ancora almeno due aspetti in cui il ruolo del medico legale è importante.

Innanzitutto, se è vero che chiunque, nel corso della sua esistenza, può essere considerato disabile in un ambiente sfavorevole, occorre definire il carattere di questa disabilità. Ovvero stabilire un giudizio di permanenza o meno della riduzione dello stato di salute. A tale proposito, il Puccini  spiega in un commento a sentenza “… la permanenza può affermarsi … nel caso del miglioramento prevedibile, allorquando non sia possibile prevedere la durata del miglioramento; ovvero quando, pur potendosi emettere parere prognostico favorevole, sia impossibile indicarne il momento in cui il miglioramento avrà luogo; o, infine, nel caso in cui non siamo in grado di precisare l’entità delle modificazioni in meglio e la sua effettiva incidenza sulla natura del male e le sue conseguenze …” (Riv. Intervento chirurgico. Soc., 23:1014, 1970). Si tratta dunque non di emettere un giudizio certo di irreversibilità, ma di stabilire una previsione di incertezza prognostica e/o temporale.

Altro punto, la definizione di uno stato peggiorativo implica il rapporto con uno stato anteriore, sia questo di “normalità” o di disabilità già in essere, per quanto di minore entità quantitativa e/o qualitativa. Definire in modo preciso e omogeneo uno stato anteriore è esigenza a cui vanno incontro le classificazioni sopra accennate dell’ICF e alle quali il medico potrà rapportarsi non solo per diagnosticare lo stato attuale dell’individuo, ma anche emettere una previsione di prognosi, di riabilitazione e di interventi mirati. In questo caso, oltre l’opera di prevenzione, si passa anche ad una prospettiva ex post, in cui il metodo di ragionamento medico legale assume importanza.

Inoltre, nel momento in cui l’individuo diventa disabile, sia pure in rapporto dinamico con l’ambiente, occorrerà quantificarne il grado, in quanto non è possibile sostenere che, se la disabilità è potenzialmente di tutti, questa, manifesta, è uguale per tutti.

Da qui, la necessità del ricorso a tabelle di valutazione quanto meno orientative, ma omogenee.

Insomma, il medico-legale sembra rivestire ancora un ruolo, che, per quanto ridimensionato, non è di secondaria importanza.

Fino a che punto questo ruolo debba arrivare, con quali peculiarità, con quale prospettiva di collaborazione con altri operatori socio-sanitari (e non solo, in quanto, parlando di ambiente, è auspicabile la collaborazione con altri esperti, quali ingegneri, architetti, ecc.), e su quali limiti, è dibattito aperto, da approfondire al più presto in un’ottica collaborativa tra i legislatori e gli specialisti del settore.

 

Dott. Giovanni Sicuranza, specialista in Medicina Legale

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