da "La Stampa" articolo a firma di Riccardo Barenghi    22 agosto 2007

Veltroni accetti la sfida tv Ogni giorno che passa, nonostante l’estate, la marcia di Walter Veltroni verso la leadership del Partito democratico è sempre meno trionfale. Nessuno ovviamente dubita che ne sarà lui il segretario, meglio il presidente, e che lo sarà con una percentuale di consensi superiore al 60%.
Ché, se fosse inferiore, sarebbe un bel problema. Ma, da come era partita la sua corsa, per il candidato unico, anzi il salvatore della patria addirittura incoronato dal suo rivale Massimo D’Alema, l’uomo che tutti i sondaggi e il comune sentire dell’opinione pubblica di centrosinistra (e forse anche di centrodestra) indicavano come quello giusto al posto giusto, la situazione si è parecchio ingarbugliata. Vuoi per le lotte di potere che immediatamente dopo la sua candidatura sono scoppiate tra e all’interno dei due partiti che daranno vita alla nuova avventura, vuoi per le battaglie (sempre di potere) nelle regioni per chi dovrà essere il segretario locale. Vuoi anche, se non soprattutto, per gli altri concorrenti scesi in campo, i quali non risparmiano certo le forze, in particolare nella polemica col protagonista della storia o con i suoi sostenitori. In più, visto che siamo appunto in estate, i giornali si riempiono di interviste a personaggi che non hanno direttamente a che fare con la politica ma che giustamente - essendo comunque parte della tanto evocata e invocata società civile - dicono la loro. E certo non può aver fatto piacere a Veltroni leggere le parole del suo amico Francesco De Gregori sul Corriere della Sera, parole che toccano i due punti deboli del sindaco di Roma: la gestione della sua città, che secondo il cantautore (e non solo lui) lascia a desiderare; e il suo ecumenismo, ossia la pervicace difficoltà di Veltroni a indicare con chiarezza chi sono i suoi nemici. O, se vogliamo essere buoni, i suoi avversari.

E mentre di questo si parla e si legge, il Sindaco tace. Ovviamente la sua è una scelta, preferisce chiamarsi fuori da polemiche che lasciano il tempo che trovano e studiare una mossa importante, la classica mossa del cavallo, da mettere su piazza alla ripresa della stagione politica. Conoscendo il personaggio, non abbiamo dubbi che tirerà fuori un effetto speciale, qualcosa che gli consentirà di parlare al Paese piuttosto che ai suoi compagni del partito che verrà. Così come fece al Lingotto a fine giugno.

Solo che nel frattempo è accaduto qualcosa, e cioè che lui non è più l’unico candidato: altri e altre si sono buttati nella mischia per conto loro o per conto terzi. E lo sfidano a viso aperto, strumentalmente magari (ossia per acchiappare più voti possibili in vista dei futuri rapporti di forza nel partito), ma anche su cose concrete, scelte politiche da fare in futuro. Per esempio con chi dovrà allearsi il Pd, con la sinistra (come vorrebbero Rosy Bindi e il suo grande sponsor Romano Prodi), o con una parte del centro in fuga dalla destra (come vorrebbero Enrico Letta e lo stesso Rutelli che sponsorizza Veltroni). Per non parlare di politica economica e sociale, bioetica e diritti civili, politica estera e via dicendo. Finora il Sindaco non ha risposto né sì né no agli inviti a confrontarsi pubblicamente, magari in televisione, venuti dai suoi amici-rivali. Neanche le Feste dei due partiti in via di scomparsa hanno organizzato dibattiti tra i candidati alla guida del Pd, preferendo il vecchio e comodo schema destra-sinistra.

Invece Veltroni farebbe bene non solo ad accettare la sfida, ma direttamente a proporla. Come si fa nella sua amata America, dove i candidati alla guida del locale Partito democratico vanno avanti a colpi di duelli televisivi, spiegando i loro rispettivi programmi, le idee, le intenzioni. Magari litigando pure. Farebbe bene Veltroni, anche perché forse così riuscirebbe a scoprire il bluff dei suoi antagonisti, chiamandoli a marcare le differenze (se ci sono) con il suo programma, le sue idee, le sue intenzioni. Sulla politica in generale e anche su quale tipo di Partito dovrà essere il «suo» Pd, su chi è uomo o donna di apparato, su quanto sia vera la storia che lui è il prescelto dall’establishment di Ds e Margherita mentre gli altri due (un ministro e un sottosegretario con lunga storia alle spalle nella Dc) sarebbero usciti dal nulla. Scontrandosi dunque se necessario, ma mettendo fuori la testa da una sorta di sabbiosa trappola in cui sembra essere finito.

 

 

 

 

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