FEBBRE SUINA. LE PRIME VITTIME ITALIANE: CENTRI COMMERCIALI E CINEMA?

L'altro ieri ero in un cinema ed ho approfittato della promozione "cin cin" che uniforma il costo del biglietto a 3 euro. Alla proiezione delle 18.20 del film di Antonio Albanese eravamo 4 persone in tutta la sala.

Ieri ero in un grande centro commerciale, solitamente affollatissimo. All'interno non c'era la calca e si circolava insolitamente bene. Non c'erano più lunghe code alle casse del megamarket, nonostante lo scarso numero di cassiere attive. Dei due bagni esistenti nel centro commerciale, uno era chiuso e l'altro era vuoto. Colpiva la solitudine di tante commesse appoggiate al bancone dei propri negozi. A quel punto, mentre aspettavo di ritirare dei vestiti in lavanderia, ho aperto la rubrica telefonica ed ho mandato 5 sms di saluto a 5 persone, scelte a caso tra la mia cerchia di amicizie e conoscenze, chiedendo ad ognuna come stesse passando la sua giornata. Solo una persona tra le cinque aveva scelto di uscire ma la destinazione era stata una casa in campagna. Tutte le altre, dopo il lavoro, avevano scelto di rientrare e passare il resto della giornata a casa.

Probabilmente è ancora prematuro dare una lettura o una previsione ed è più facile dire che i negozi dei centri commerciali stavano già chiudendo, prima della febbre suina, a causa della crisi economica e non per gli effetti "sociologici" dell'influenza messicana. Ma si può certamente ipotizzare che le immagini provenienti dal Messico e da alcune scuole chiuse degli Stati Uniti abbiano già prodotto un'influenza "suina" psico-virtuale parallela, di tipo emotivo e psicologico che, forse, inquina e confonde i nuclei del sistema limbico e dell'amigdala cerebrale del nostro sistema neurologico.

E allora, diventa reale la possibilità che il messaggio del presidente del Messico, che invita tutti i suoi cittadini a restare a casa, amplificato dai media di tutto il mondo, sia diventato un messaggio sublminale penetrante, diffuso per tutto il pianeta.

A disorientare l'opinione pubblica forse contribuisce, dopo il grande allarme iniziale, il contrasto tra le attuali rassicurazioni date dai mass media sui numeri dei casi accertati e sul rallentamento della curva di mortalità, mentre, dall'altra parte, l'Organizzazione Mondiale della Sanità alza l'indice di allarme a 5 invece che abbassarlo a 3.

Cade in questi giorni l'anniversario del disastro di Chernobyl. Le autorità sanitarie e gli istituti preposti al monitoraggio della radioattività hanno seguito direttive di contenimento delle informazioni in base ad un principio non detto ma, secondo me, allora valido in Sanità: non dire sempre alla popolazione tutte le verità qualora si valuti che gli effetti della diffusione delle informazioni possano produrre un ulteriore problema sanitario e di ordine pubblico, dovuto al propagarsi di comportamenti irrazionali dettati dal panico.

Ritornando al caso di Chernobyl, le informazioni all'opinione pubblica, in quella circostanza, furono date con "calma" e in ritardo. Ciò ha fatto in modo che milioni di persone in Italia si esponessero ancora di più alle radiazioni andando sui prati per il picnic del 1° maggio 1986 e assumendo alimenti che avrebbero dovuto essere tolti subito dal commercio.

Per fortuna oggi, a distanza di venti anni da quell'evento, esiste un più libero e capillare accesso alle informazioni, con maggiore consapevolezza diffusa. I mass media in questo settore hanno una grande responsabilità ed è auspicabile che si diffondano notizie corrette e si contribuisca ad aumentare il livello di educazione sanitaria della popolazione. Solo così potremo evitare disfunzioni del sistema e comportamenti individuali e collettivi erronei dei cittadini in tema di cura, prevenzione e qualità della vita.

Domenico Ciardulli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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