QUEI PEZZI DI MAFIA DENTRO LO STATO E QUEI PEZZI DI STATO DENTRO LA MAFIA

In milioni di persone hanno seguito la trasmissione di Michele Santoro di giovedì 8 ottobre e altri milioni hanno letto i resoconti del giorno dopo tramite i quotidiani.

Certo, prima ancora delle trasmissioni di Annozero, era già diffuso nell'opinione pubblica il sospetto che le stragi di Capaci e di via D'Amelio, dove sono stati uccisi i giudici Falcone e Borsellino, siano state preparate con l'ausilio di consistenti e determinanti complicità interne alle istituzioni. Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, le affermazioni di Claudio Martelli, che si incrociano con la conferma dell'ex direttore degli affari penali del Ministero, fanno fare un salto di qualità alla ricerca della verità sulle stragi. Una verità che forse apre scenari inquietanti e terribili se dovessero venire alla luce reticolazioni di responsabilità trasversale tra mafia e Stato. D'altronde, le minacce a Ruotolo e l'appello di Agnese Borsellino sono elementi indicativi di un momento molto delicato dagli esiti imprevedibili.

Dagli anni ottanta in poi si è sentito parlare sempre più spesso di un cosiddetto "terzo livello" della mafia: "... un vertice politico-finanziario, una sorta di supercupola, formata da uomini politici, finanzieri, esponenti della massoneria, uomini dei servizi segreti ecc., che sarebbe sovrapposta alla commissione o cupola mafiosa, cioè l'organo direttivo a livello provinciale di Cosa nostra, organizzazione unitaria, piramidale e verticistica" (Csd G. Impastato).

L'attività intensa di depistaggio sulle indagini, le talpe che hanno fatto sparire prove dopo le stragi, il segreto di Stato apposto su movimenti e uomini dei servizi segreti sono fattori che rallentano la ricerca. Pertanto non vi sono ancora certezze, non possiamo sapere ancora se vi siano stati e chi siano i mandanti politici di quei macellai del 92.  L'unica cosa che possiamo fare è credere e sperare, con tutto il cuore, che le stragi di Capaci e di via D'Amelio, la cattura di Totò Riina, le omissioni investigative nel suo rifugio e la mancata cattura di Provenzano, non siano stati il frutto di un accordo tra Mafia e pezzi importanti delle istituzioni finalizzato a ricostruire un nuovo equilibrio di rapporti tra i vertici rinnovati di "Cosa nostra" e le frange inquinate trasversali del mondo politico. Quelle frange che dovevano sopravvivere a tutti i costi sia al terremoto provocato da tangentopoli, sia alle insidie investigative destabilizzanti di due bravi magistrati onesti e coraggiosi come Falcone e Borsellino.

Domenico Ciardulli

L'appello di Agnese Borsellino

Roma, 8 ott. (Adnkronos) - "Ho tanto meditato e dopo diciassette anni solo oggi in cui mi sembrano maturi i tempi, chiedo in ginocchio ai collaboratori di giustizia, complici e non della strage di Via D'Amelio, di far luce sui mandanti e su coloro che hanno voluto la 'strage annunziata'". Inizia cosi' l'appello di Agnese Borsellino che verra' letto questa sera nel corso della puntata di "Annozero" su Raidue.

"Dire la verita' -aggiunge la moglie del giudice Paolo Borsellino- e' un'azione di grande coraggio, lo stesso coraggio posseduto dai carnefici nell'organizzare ed eseguire un'azione di guerra. Aiutateci, la vostra collaborazione sara' un atto di amore, le prove in vostro possesso fatte pervenire agli onesti restituiranno dignita' a questa nazione e ci renderanno liberi dai ricatti e da quel sottobosco in cui gli interessi personali coincidono con la cultura della morte".

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venerdì 26 giugno 2009

MAFIA: MANCATA CATTURA PROVENZANO, SPUNTA NOTA "DEI SERVIZI"

 
(AGI) - Palermo, 26 giu. - Una nota riservata e anonima, ma attribuita ai Servizi segreti, mise i carabinieri, nel novembre del 1995, sulle tracce del boss nisseno Luigi Ilardo. Nel documento, finora inedito e prodotto dal pm Nino Di Matteo al processo Mori, Ilardo veniva indicato come il nuovo capo della mafia di Catania, al posto di Benedetto Santapaola: l'attenzione investigativa che a seguito di questa nota si concentro' su di lui fece cosi' indirettamente sfumare le sue possibilita' di tornare a incontrare l'allora superlatitante di Corleone Bernardo Provenzano, visto da Ilardo il 31 ottobre del 1995 a Mezzojuso (Palermo). Il capomafia di Caltanissetta era in realta' un confidente del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, al quale aveva segnalato in anticipo l'incontro di Mezzojuso: secondo Riccio, il Ros aveva pero' deciso di non intervenire e proprio questo comportamento e' una delle contestazioni mosse all'ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde Mario Mori, imputato di favoreggiamento aggravato dall'agevolazione di Cosa Nostra, assieme al colonnello Mauro Obinu. Il documento prodotto dal pm, con il consenso della difesa, era stato inviato alla Procura nel 2002, proprio da Obinu. Oggi Di Matteo lo ha mostrato al comandante del Ros Giampaolo Ganzer, ascoltato in aula come testimone dalla quarta sezione del Tribunale di Palermo. Ganzer ha sostenuto di non conoscere la nota, ma ha spiegato che quel tipo di documenti proviene normalmente dai Servizi. (AGI)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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