MORTI SUL LAVORO/ FORSE SERVE UN MONUMENTO AL LAVORATORE IGNOTO

articolo 21.info    di Pino Nicotri

Per uscire dal silenzio e dall’indifferenza che ne circondano il sacrificio quotidiano è arrivato il momento di chiedere ad alta voce un monumento anche per loro: il Monumento al Lavoratore Ignoto. I suoi caduti sono infatti tanti, troppi, ce ne sono ogni giorno come in un bollettino di guerra, ma non fanno notizia, non ne resta memoria collettiva e di certo non fanno storia. Questo silenzio va combattuto perché non è degno di un Paese civile. La televisione è lo strumento di più efficace diffusione e coinvolgimento per portare un tema all’attenzione di tutti, perciò è doveroso realizzare finalmente un programma che parli di chi sul lavoro e per il lavoro ha perso la vita, per raccontarne le singole storie e realtà umane. Ma anche per far meglio conoscere la realtà produttiva italiana che troppo spesso porta al dramma.

L’Italia non è fatta solo di “medici in famiglia” e di “amici”, di “stranamori”, di “grandi fratelli” e “isole dei famosi”, come vorrebbero farci credere le varie tv, pubbliche e private. Non è fatta neppure solo di carabinieri, finanzieri, poliziotti della scientifica e parroci, tutti ormai protagonisti di serial e sceneggiati. L’Italia è fatta invece anche di altri lavoratori, dove non mancano certo i feriti, i malati, gli invalidi e i caduti sul lavoro. Con un eccesso di pudore che sconfina nell’ipocrisia si usa il termine “morti bianche”, quando invece di bianco non hanno nulla e sono anch’esse nere come i lutti che sempre provocano.

Il primo degli articoli della nostra Costituzione proclama solennemente e sobriamente che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. La nostra Carta fondamentale non prevede discriminazioni tra un tipo di lavoro e l’altro, e non prevede lavoratori figli di un dio minore. Purtroppo però la discriminazione c’è e i figli di un dio minore abbondano, almeno per quanto riguarda chi del lavoro resta vittima. Ogni volta che muore in servizio un militare o un uomo delle forze di polizia la notizia viene data con il dovuto risalto e si parla immancabilmente di caduti in servizio o sul fronte del dovere, a volte non mancano le medaglie o i riconoscimenti d’altro tipo. Risulta perciò ancor più inspiegabile il silenzio o l’eccesso di disattenzione per i caduti in servizio sul fronte di quel particolare e fondamentale dovere che si chiama lavoro e che ci riguarda tutti. Senza il quale non esisterebbe nessuna società civile, non esisterebbero neppure le forze dell’ordine e quant’altro fa invece notizia o trova spazio nel mondo delle notizie. Eppure – e questa è certo una notizia - tra i vari record europei poco invidiabili abbiamo anche quello degli incidenti mortali sul luogo dove ci si guadagna da vivere. In totale, ci informa l’Inps, siamo ormai quasi a 1.400 casi l’anno. Pari a 4 decessi per ogni giorno lavorativo. Incredibile, ma vero. Le statistiche dell’Inail riguardano però solo i dipendenti regolarizzati e non anche il vasto mondo del sommerso. La situazione globale è quindi senza dubbio peggiore, il che è tutto dire. Ma anche tralasciando il sommerso, in totale il Bel Paese da solo colleziona il 20,52 per cento della mortalità da lavoro dell’intera Europa. Incredibile, anzi spaventoso, ma anche questo vero. Specie se consideriamo la quantità degli incidenti nei luoghi dove ci si guadagna il pane: la media è da anni sempre sopra i mille casi al giorno!

E non si tratta solo di settori arretrati. Se infatti l’edilizia registra – o meglio, provoca - il più alto numero di infortuni luttuosi, oltre 350 all'anno, l'Ilva di Taranto, vale a dire il più grande polo siderurgico d'Europa, registra – o meglio, provoca - circa 4 mila incidenti nel 2004, pari a una media di 10-11 al giorno. Come si vede, cifre da brivido, da Moloch che esige sacrifici umani.

Spaventoso anche il costo economico: con le malattie professionali la stima arriva a un totale di quasi 42 miliardi di euro. Come si vede, ben più di una manovra finanziaria! Eppure, lo sappiamo bene, la stampa e i mass media preferiscono divagare e parlare d”altro.

Ma non ci sono solo i decessi nel settore dell’industria, agricoltura e artigianato. Per esempio, riguardo i vigili urbani si può parlare di “morte bianca ad orologeria”. Dal 1995 al 2005 in Italia sono deceduti per cancro polmonare circa 600 vigili urbani, pari a circa 1,1 vigile ogni settimana. Se però consideriamo i dati relativi alla insufficienza respiratoria la mortalità raddoppia, sale infatti a 2 alla settimana, pari a circa 1.050-1.100 in dieci anni. Considerato che la popolazione dei vigili è di circa 50.000 unità, se ne può concludere che il cancro polmonare provoca una falcidia pari all’1%.
In tema di malattie mortali, è utile ricordare quanto già scritto su Articolo21 dal professor Aldo Ferrara. E cioè che ogni anno ai lutti da traumi bisogna aggiungere le 24.000 malattie professionali che sono delle vere e proprie morti bianche lente scaglionate nel tempo. Per esempio, il mesotelioma pleurico ha un periodo di latenza dai 20 ai 30 anni, e gli scientifici prevedono attorno al 2020 dai 3 ai 4 mila casi l'anno come effetto ritardato delle vecchie lavorazioni a base di amianto.

Le cifre però per quanto spaventose dicono sempre poco se restano avulse dal contesto umano che le riguarda. Poiché nessun lavoratore è un’isola o un marziano, ogni singola storia coinvolge a vario titolo familiari, parenti, amici, colleghi e semplici conoscenti. In totale, una fetta non trascurabile del popolo italiano. Anzi, potenzialmente ci coinvolge tutti. Ecco perché è doveroso che la televisione, almeno quella pubblica, si occupi puntualmente e in modo specifico delle tragedie sul lavoro. Come si fa a pensare che una realtà così vasta debba restare priva di ascolto, cioè di audience in tutti i sensi? La Memoria comincia da qui.

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