Come proteggersi da un uomo impazzito?
"Se non c'è una comunità di cura rimane solo quella del
rancore"...
Potrebbe
accadere davanti ai nostri occhi. Quando meno ce lo aspettiamo. In pieno giorno,
in un quartiere tranquillo di Milano, di Roma o in un qualsiasi piccolo centro
della penisola.
Potrebbe accadere che un uomo si trasformi in una furia omicida per i più
svariati motivi, psichiatrici, sostanze stupefacenti, forte disagio psicoemotivo
ecc.
Ad esempio, sabato scorso a Milano, un uomo armato di bastone, e poi di piccone,
ha colpito indisturbato le persone che incontrava per strada uccidendone due e
ferendone gravemente altre. Per oltre un'ora nessuno tra le prime vittime è
riuscito a comporre un numero di pronto intervento. E' plausibile che la vittima
di un attacco così imprevedibile, dopo un forte improvviso colpo contundente,
possa perdere temporaneamente la capacità di reagire razionalmente. Dice infatti
lo psichiatra Vittorino Andreoli che "chi corre un pericolo mortale si concentra
solo sulla sua sopravvivenza, non pensa a nient'altro perchè quando c'è di mezzo
la vita prevalgono le dinamiche animali."
Ma in una città popolosa come Milano non c'era nessuno che abbia visto quanto
accadeva attraverso le finestre della propria abitazione o attraverso i
finestrini della propria automobile?
Lo stesso Andreoli non crede a questa ipotesi e sospetta che "troppi abbiano
visto e voltato lo sguardo da un'altra parte".
spiegando tale fenomeno con la perdita del senso sociale: "Viviamo nella società
dell'io, incapaci di capire che l'io sta bene solo se gli altri stanno bene".
Secondo il noto psichiatra Andreoli "quello che è successo a Niguarda non va
affrontato pensando solo alle sei persone coinvolte ma guardando in faccia la
collettività e i suoi principi".
Ma come ci si può proteggere da episodi di questo genere?
Il sociologo Aldo Bonomi riassume con questa frase un concetto fondamentale: "Se
non c'è una comunità di cura rimane solo quella del rancore".
Certamente la premessa importante è il superamento dell'idea che il bene
individuale sia antitetico al bene comune e che le mura domestiche siano il
posto più sicuro per sfuggire al pericolo. Non è possibile evitare che si
ripetano altri episodi di follia omicida ma prevenire è possibile, così come è
possibile anche limitare i danni di eventi imprevedibili.
Proviamo a lanciare alcuni elementi di riflessione da cui partire per rendere
più sicure le nostre città e i nostri quartieri:
1) Immaginandosi il quartiere di una grande metropoli, sarebbe auspicabile non
girarsi dall'altra parte di fronte ad episodi di estremo disagio, di degrado o
di violenza potenziale o manifesta e non girarsi dall'altra parte di fronte a
richieste di aiuto.
Condividere con altri, con i vicini di casa, comitati, parrocchie e con i
gestori di locali pubblici i problemi che si verificano in una strada, in un
parco, in un cantiere abbandonato al fine di stimolare gli enti locali e le
associazioni attive sul territorio a prestare soccorso verso sofferenze legate a
bisogni primari frustrati e insoddisfatti.
2) Rafforzare i legami di comunità. In un territorio dove si perde completamente
l'identificazione nel bene comune e nelle ragioni della collettività nessuno
potrà ritenersi al sicuro.
Mettersi assieme per fare rete, tra gruppi di cittadini, associazioni, comitati.
Un associazionismo vero, orientato a costruire iniziative per migliorare la
qualità della vita di tutti. Solidarietà comunitaria reale, non finte
associazioni che mirano a finanziamenti pubblici sponsorizzando candidati di
partito.
3) Costruire canali permanenti di comunicazione e cooperazione con gli enti
locali preposti a fornire risposte sia in termini di assistenza socio-sanitaria
sia in termini di ordine pubblico. Elaborare un vademecum da stampare e
diffondere nel quartiere con poche istruzioni e recapiti utili.
4) Creare rete con i gestori dei locali pubblici e commerciali, bar, pizzerie,
perche diventino presidi attivi di passaggio di notizie e fungano da
catalizzatori per risposte adeguate a situazioni stagnanti di sofferenza.
Sono solo alcuni spunti di dibattito per costruire un meccanismo di maggiore
tutela della comunità dove si vive. Per generare anticorpi contro questa
malattia sociale dell'individualismo che ha reso i "legami liquidi". Per ridare
senso alla cosa pubblica e alla relazione tra le persone.
Se lo vogliamo i mostri interni ed esterni possono essere neutralizzati.