L'IDEA DI GIUSTIZIA

 SPEZZONE di un'intervista a PAUL RICOEUR  di  Antonio Gargano (►link intervista integrale)

Professor Ricoeur per Lei è possibile pensare ancora alla giustizia come ad un criterio unificante e universale, indirizzato verso il miglioramento delle condizioni di vita umane?

Se vogliamo passare alla realizzazione della giustizia sul piano pratico, occorre naturalmente chiedersi che cosa si possa fare affinché le società in cui viviamo si conformino all'ideale di giustizia. Innanzitutto bisogna pensare che l'umanità è unica, in modo da porre il problema della giustizia al livello dell'umanità. Se dunque pensiamo la giustizia in senso cosmopolitico, nel significato che avevano dato a questa prospettiva gli uomini del XVIII secolo, siamo indotti a considerare un secondo aspetto della questione, ossia il tipo di disuguaglianza creato dallo sviluppo economico. Credo che il progresso della giustizia stia innanzitutto nel rendere possibile l'umanità come una grande comunità tenuta insieme da legami di convivialità. Mi sembra che, all'epoca del grande indebitamento del terzo mondo, il grande pericolo consista nel commerciare soltanto con le nazioni solventi, soddisfacendo pertanto solo i bisogni di chi può pagare.
La giustizia, secondo il mio modo di intenderla, consiste invece piuttosto nel rompere questa regola secondo cui si debbano soddisfare soltanto i bisogni di chi può pagare, e ciò implica il passaggio dall'idea di un'economia mercantile all'idea di un'economia dei bisogni. Ci sono bisogni umani fondamentali da soddisfare, anzi occorre riconoscere che fin dalla nascita si hanno diritti, giacché nessuno sceglie di venire al mondo. In terzo luogo ritengo che le nostre civiltà occidentali debbano cercare di riconoscere le differenze nella maniera più ampia possibile. Contro il progetto di omogeneizzare l'umanità, rendendo tutti gli uomini simili gli uni agli altri in base ad un modello culturale uniforme, bisogna dare il più largo credito possibile alle differenze, per esempio alla differenza dei diritti dei sessi, alla differenza delle generazioni, delle forme di comportamento che consideriamo devianti, come l'omosessualità o la tossicodipendenza.

E' indispensabile l'utilizzo della forza nella giustizia? E se è così, come dev'essere regolato?

Occorre riconoscere in primo luogo che la nostra società non può tollerare tutto e che esiste qualcosa di intollerabile, delle deviazioni e delle trasgressioni che devono essere punite anche usando la forza. Ma ciò significa ammettere il fallimento della società, infatti nel riconoscere che non può funzionare senza un minimo di forza, la società sperimenta i suoi limiti e il suo fallimento. Ciò vuol dire che non abbiamo ancora risolto il problema del "vivere bene insieme", che è in definitiva la nostra utopia sociale. In secondo luogo - come intese Cesare Beccaria - ci si dovrebbe servire della punizione come di un mezzo di educazione, eliminando il più possibile l'idea di espiazione. Tanto più che - come Michel Foucault ha ripetutamente affermato in tutta la sua opera - le forme di reclusione che continuiamo a praticare secondo modelli puramente repressivi producono in realtà l'effetto contrario, visto che le prigioni diventano spesso delle vere e proprie scuole del crimine.

Attualmente dovremmo sperimentare delle forme di pena diverse dalla reclusione, come il lavoro sociale, o qualcosa del genere. In ogni caso il criminale, per quanto possa essere considerato abietto il suo crimine, dev'essere tuttavia rispettato nella sua umanità.

Qual è il rapporto tra la giustizia in quanto tale e la giustizia sociale? Che cosa manca oggi alla realizzazione di una giustizia sociale?

Almeno fino all'inizio del XX secolo, il diritto si è articolato soprattutto in diritto pubblico e diritto privato (5). Solo con questo secolo si è sviluppata una nuova concezione del diritto, che ha aggiunto la connotazione di "sociale" per distinguersi dalla visione limitata del diritto come diritto delle istituzioni e dei contratti. Il diritto sociale è nato quando si è cominciato a riconoscere che la società stessa produce disuguaglianza ed ingiustizie spesso proprio quando funziona al meglio e nella maniera più produttiva, sviluppando benessere, ricchezza e cultura, quando cioè la redistribuzione dei benefici del lavoro di tutti diventa per sé un problema.

A questo proposito ritengo che l'idea di uguaglianza sia altrettanto importante dell'idea di giustizia, ancora legata all'opposizione del "mio" e del "tuo". Credo che nell'idea di giustizia ci sia una specie di limitazione iniziale, visto che il suo scopo sembra essere non tanto la realizzazione della comunità, quanto più semplicemente, come aveva ben visto Kant, la realizzazione della coesistenza. Ma noi abbiamo un progetto più grande, che è la convivenza e la convivialità; è proprio a questo punto che introduco la mia idea di uguaglianza, perché credo che non sia possibile alcuna comunità se lo stato sociale degli uomini è troppo disparato e se c'è uno scarto troppo grande tra i privilegiati e i più svantaggiati. E' necessario pertanto avvicinare i livelli della condizione sociale degli uomini, perciò l'idea di uguaglianza dev'essere altrettanto forte dell'idea di giustizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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