Il 4/11 oltre il 4/11

Serve una metrica precaria per aver una misura
concreta del presente

Se noi, precari e precarie, potessimo prendere le
distanze lo faremmo innanzi tutto dalla condizione di
vita che ci impongono, non solo dai governi  più o
meno ‘amici’.
Il nostro metro di giudizio sono le paghe da fame, i
diritti negati, sul posto di lavoro come nel sociale,
i ricatti che vengono camuffati come nuove forme di
opportunità e flessuosa libertà.

Il 4 Novembre è stata convocata una manifestazione
nazionale contro la precarietà che non parla la lingua
dei precari ma si esprime con l’insistenza rumorosa di
chi alza la voce per far dimenticare le proprie
responsabilità nella creazione e nel consolidamento
della precarietà.

In un’ epoca triste non è sufficiente un cambiamento
di rotta per determinare una meta differente ed accade
sempre più spesso che la buona volontà dell’equipaggio
sociale si confonda con la lingua biforcuta del suo
co/mandante istituzionale.

Ma non sono solo la rotta e la meta a distanziarci;
abbiamo anche ritmi diversi!
C’è un ritmo lento, ambiguo ed opportunista che non ci
rappresenta ed uno veloce, impaziente e desideroso di
novità che ci  appartiene intimamente perchè parla
della nostra vita.

Il ritmo lento di ‘Stop precarietà ora’  parla
dell’abrogazione delle tre leggi simbolo del Governo
Berlusconi, come se non fossero passati ormai i cento
giorni del governo Prodi e la sua finanziaria, 
come se non fossero già emersi da tempo chiari segnali
di siderale distanza tra le promesse della campagna
elettorale e le scelte di governo di queste ultime
settimane.

Insomma, l’obiettivo sembra essere quello di agitare
(all’interno di una partecipazione plurale  - ci sono
i movimenti! - e dietro il  paravento di una scelta a
prima vista plausibile – tempo indeterminato per
tutti!)  proposte e rivendicazioni che a ben vedere,
tolti i paroloni a progetto, non solo sono compatibili
con la logica dell’attuale governo, ma risultano anzi
determinanti per la costruzione di un orizzonte poco
praticabile sul piano  contrattuale e vertenziale
-vedi Accordo Atesia-.

Un ritmo lento ma che soprattutto si rifà al passato,
restauratore di una realtà che non esiste più e che,
in verità, ci  piaceva comunque poco.
La precarietà infatti, è la normalità della nostra
vita, un elemento che ci accompagna 24 ore su
ventiquattro, nel tragitto da casa al lavoro e
viceversa, da quando  bisogna pagare le bollette a
quando si va a fare la spesa, da ogni dannata mattina
fino alla più sofferta speranza in un lavoro di merda
qualsiasi, nel tentativo testardo e certosino di
determinare una propria idea di futuro.

La precarietà non è solo una questione contrattuale ed
è anche per questo che una nuova civiltà fondata sui
diritti  indeterminati del contratto stabile non è più
possibile.
Questa lettura non ci fa distratti, lontani o meno
convinti della necessità di puntare alla
stabilizzazione là dove è possibile, ci fa rivendicare
però la necessità di cogliere altre esigenze e
un’altra realtà.

Vogliamo parlare dell’estensione dei diritti a tutte
quelle figure escluse dalle tutele del lavoro
tradizionale, per definire un ambito di cittadinanza
oltre la sfera lavorativa, per contrastare il ricatto

senza la paura di confrontarsi con le trasformazioni
reali del mercato del lavoro e delle imprese, e quindi
anche di essere in grado di dotarsi di nuovi strumenti
come il reddito 
garantito per tutt*.
 
La metrica dei precari è l’unica unità di riferimento
e il suo ritmo parla con i nostri linguaggi.

Questa metrica narra la nostra vita e la
determinazione di cambiarla e, con naturalezza, marca
la distanza con chi pensa di spacciarci il  passato
come possibile futuro.

La nostra immaginazione costruirà uno spazio in quel
corteo che farà della comunicazione sociale il suo
punto di forza.

Il 4/11 è un giorno ma non è ‘Il giorno’, noi staremo
dove stanno i  nostri compagni e le nostre compagne,
le nostre sorelle e i nostri  fratelli, migranti o
nativi.

Il mondo è cambiato. Il mondo, momentaneamente in mano
all’impresa, è invece dei precari e delle precarie.

Serve una metrica precaria per definire un'idea
av/vincente del futuro

Precari e precarie per il reddito garantito