Il Tfr o la Borsa
Su tutti i media imperversa una campagna per spingere i lavoratori a trasferire
il Tfr nei Fondi pensione. Ma non c’è altrettanta informazione sui rischi
connessi ai mercati azionari, che in questi giori riemergono con
evidenza. L’appello sul "Financial Times" del segretario generale delle Trade
Unions
di Antonio Lettieri ( ex Segretario
Confederale CGIL)
Non si era mai vista una campagna così estesa, intensa, continua come quella che
radio, televisione e carta stampata stanno conducendo per convincere i
lavoratori a trasferire il TFR (il trattamento di fine rapporto) ai Fondi
pensione a capitalizzazione. Se si assume l’opinione corrente che fa di questa
scelta uno strumento decisivo per il benessere futuro dei lavoratori, bisogna
convenire che un’attenzione così vasta per le condizioni di vita dei lavoratori
è del tutto inconsueta. Non si contano i programmi delle televisioni pubbliche e
private e i giornali, a partire dal Sole 24 ore, che
hanno messo a disposizione degli interessati esperti pronti a rispondere a
qualsiasi domanda sulle modalità e le tecniche per il trasferimento de TFR ai
Fondi.
La motivazione di tanta benevola insistenza è che soprattutto i giovani avranno
bisogno, quando sarà venuto il tempo, di integrare la pensione del regime
pubblico con un’aggiunta derivante dai Fondi privati. Ma, paradossalmente,
mentre da un lato si raccomanda un’integrazione per elevare il reddito di cui
potranno disporre i pensionati nei prossimi decenni,
dall’altra si chiede una revisione dei coefficienti, sulla cui base si determina
la futura pensione, con una conseguente riduzione della stessa.
La sostanza del discorso è di un’assoluta chiarezza. Riduciamo le future
pensioni pubbliche e recuperiamo quello che manca investendo i risparmi dei
lavoratori attualmente accumulati nel TFR nei Fondi a capitalizzazione. Il cui
rendimento, prosegue il ragionamento, è più alto di quello del TFR. Ma è sicuro
che sia così? Il TFR ha un rendimento considerato modesto, ma certo.
A ogni anno che passa è valorizzato di una percentuale fissa dell’1,5 per cento
alla quale si somma il 75 per cento del tasso d’inflazione corrente.
Se l’inflazione non esplode, in altri termini se non si triplica rispetto allo
standard del due per cento ritenuto compatibile con l’euro, il rendimento del
TFR garantisce il valore del risparmio e, in aggiunta, una crescita reale.
Si obietta che si tratterebbe in ogni caso di un risultato modesto. E che il TFR
investito nei mercati finanziari può produrre rendimenti più elevati. Ma il
punto sta in quel “può”. Il rendimento può essere più elevato, ma anche
più basso. E, soprattutto, può non esserci affatto e, in caso di crisi, vi può
essere una perdita di parte del risparmio investito. Chi investe in Borsa lo sa,
e accetta il rischio. D’altronde, il maggiore rendimento, quando c’è, è il
premio che si attribuisce al rischio. Siamo sicuri di poter consigliare ai
lavoratori di investire i loro risparmi in un gioco a
rischio, nella speranza di poter speculare sugli andamenti della Borsa?
Mentre la campagna per il trasferimento del TFR ai Fondi imperversa, le Borse di
tutto il mondo stanno subendo perdite sostanziali. Secondo gli analisti, il
problema maggiore non è in Cina, come inizialmente era sembrato, ma nello
scoppio della bolla immobiliare americana. Con i bassi assi d’interesse degli
anni passati, il mercato edilizio americano, ancora
più di quello europeo, ha fatto registrare un lungo boom. Con l’aumento dei
tassi, un numero crescente di famiglie non riesce a pagare i mutui, e questo
mette in difficoltà le banche e si riflette negativamente sui mercati azionari.
Si parla di una correzione necessaria, ma nessuno sa quanto profonda possa
essere. Insomma, le Borse stanno già bruciando i guadagni
degli ultimi due-tre anni, e all’euforia si è sostituito un clima di profonda
incertezza.
Ma non si tratta solo di questo. I mercati finanziari sono in preda a una forte
intensificazione dell’attività degli Hedge fund e dei fondi di Private equity.
Si tratta, com’è noto, di forme altamente speculative che si muovono in un
quadro sostanzialmente privo di controlli. Sono soprattutto i secondi a
suscitare il maggiore allarme per la loro tendenza ad acquisire imprese più o
meno in difficoltà, che si propongono di “risanare”, smembrandole, rivendendole
a pezzi, abbassando il costo del lavoro tramite licenziamenti di massa e
riduzione dei salari.
I sindacati dei maggiori paesi industriali, riuniti presso l’OCSE, hanno
denunciato le conseguenze distruttive che possono derivarne per le imprese prese
d’assalto, e per i lavoratori. Brendan Barber, segretario generale delle Trade
Unions britanniche, lancia l’allarme in un commento apparso sul Financial Times
del 16 marzo: se scoppia la bolla speculativa, “ i
lavoratori pagheranno il prezzo più pesante, ma non saranno le uniche vittime…Le
perdite dei Fondi pensione potranno colpire milioni di persone”.
Questa minaccia – conclude – il capo dei sindacati britannici non riguarda solo
il movimento sindacale, ma esige un’azione a livello internazionale, trattandosi
di un problema che investe l’insieme dei rapporti sociali.
Può darsi che i timori dei capi sindacali di mezzo mondo siano esagerati, quando
chiedono alla signora Merkel di intervenire, in qualità di presidente, alla
prossima riunione del G8 sui rischi di una finanza internazionale fuori
controllo. Ma è più probabile che i loro timori, del resto diffusi nella
comunità finanziaria, siano fondati.
In ogni caso, ci sembra sia venuto il momento di estendere ai rischi connaturati
all’attività dei mercati finanziari l’informazione fornita con tanta solerte
dedizione ai lavoratori sui benefici dei Fondi pensione. Poi
ciascuno sarà libero di scegliere. Meno sotto l’impulso della pubblicità e più
con cognizione di causa.
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