(22 novembre 2007)
In Italia, da settimane
dilaga la xenofobia, alimentata in particolare a partire dai fatti di Tor di
Quinto: un rom di nazionalità rumena, residente nel campo nomadi della zona, si
è reso responsabile di un efferato delitto nei confronti di una donna italiana.
Ma più che l'estrema gravità dell'episodio, è stata la condizione di “straniero”
dell’accusato a permetterne la strumentalizzazione da parte del governo e dei
mezzi di comunicazione. In modo vergognoso, sui giornali si è parlato della
violenza contro le donne come se fosse una specialità rumena e non un fenomeno
diffuso soprattutto all'interno delle famiglie. Sul piano normativo, la
conseguenza immediata della vicenda in questione è stata la promulgazione di un
Decreto legge, che intensifica l’unità di azione di sindaci e forze dell’ordine
e assegna ai prefetti il potere di allontanamento di immigrati comunitari dal
territorio nazionale per motivi di pubblica sicurezza.
Ad essere assolutamente discutibile è l'affermazione per cui un cittadino
comunitario non può risiedere in Italia per più di tre mesi se non dimostra di
essere in possesso dei cosiddetti “mezzi legali di sostentamento”. Provvedimenti
legislativi di questo tipo ignorano deliberatamente la realtà dei fatti, poiché
ci si dimentica del gran numero di immigrati che lavorano in nero, per di più
sottopagati e privi di qualunque forma di tutela, e che pagano affitti senza
alcuna formalizzazione contrattuale. Questa fetta di popolazione immigrata,
arrivata in Italia alla ricerca di condizioni di vita migliori, rischierebbe
così l’espulsione e il rimpatrio. Si affronta in termini “securitari” un
problema che, in realtà, è connaturato al ruolo subalterno, nell’Unione Europea,
della Romania, autentico serbatoio di forza-lavoro sottopagata e senza garanzie.
Una forza-lavoro che da un lato giunge in Italia per essere sottoposta a
condizioni di lavoro insostenibili nella nostra edilizia, dall'altro è soggetta
allo sfruttamento selvaggio da parte di aziende italiane delocalizzate nella
stessa Romania. Ad essere odiosa, inoltre, è proprio la logica secondo la quale
sono previsti provvedimenti repressivi per chi ricorre all’accattonaggio e al
furto e mette a rischio la “sicurezza urbana”. Rifiutiamo in maniera categorica
tale approccio, perché questi presunti crimini sociali sono spesso determinati
da precise condizioni sociali.
Nella maggior parte dei casi le ragioni che spingono ad uscire dalla legalità
costituita risiedono esclusivamente nella miseria e nel degrado che le classi
subalterne vivono costantemente sulla loro pelle. La menzogna della logica
securitaria non fa altro che giustificare agli occhi di un’opinione pubblica
impaurita dai media le azioni repressive e auto-legittimanti delle istituzioni.
Contestare questo approccio e ragionare in termini di classe significa
smascherare l’obiettivo ultimo delle politiche istituzionali, le quali, facendo
leva sul terrorismo psicologico, mirano a dirottare verso lo straniero il
malessere sociale determinato dalle condizioni di precarietà vigenti, fomentando
così paure e atteggiamenti xenofobi. Ma se queste campagne sono indette
dall'alto, ciò non ha costituito un problema nei rapporti di Rifondazione
Comunista col governo. Il partito guidato da Giordano, rispetto al Decreto
espulsioni, ha giocato su un doppio livello: da un lato, ha fatto critiche in
senso liberale al provvedimento, promuovendo emendamenti che non ne hanno
modificato la natura; dall’altro, attraverso alcuni suoi dirigenti, ha fatto
intravedere un atteggiamento diverso, più affine a quella del Partito
Democratico, inquietante anticipazione della linea della futura "Cosa rossa". Si
pensi, in tal senso, ad alcune interviste rilasciate da Milziade Caprili e Nichi
Vendola, segnate dal verbo razzista dominante.
In questo clima di xenofobia "istituzionale", pochi giorni dopo l’omicidio di
Giovanna Reggiani, nel quartiere di Tor Bella Monaca, alcune persone munite di
passamontagna e bastoni hanno aggredito e picchiato dei rumeni. L’azione è stata
impunemente esaltata da Gianluca Iannone (Casa Pound). Questo episodio è solo
l’ultimo di una serie di aggressioni squadristiche, solo apparentemente autonome
nella loro logica infame.
In realtà, i razzisti ed i fascisti, solo formalmente condannati dalla classe
politica, colpiscono gli obiettivi indicati dai media. In questo modo, le loro
azioni passano per essere una discutibile espressione dell'esasperazione della
"gente comune", tale da rendere ancora più urgente l'introduzione di misure
securitarie. C'è chi invoca una pattuglia in più sotto casa davanti alle
telecamere di un telegiornale, chi fa scritte sui muri esprimendo ostilità verso
gli stranieri e chi li accoltella.
L’equivalente “legale” del razzismo diffuso sobillato dai media e delle azioni
squadristiche è proprio la politica securitaria del governo. Una politica che,
in ambito romano, è stata anticipata dal veltronismo, modello di governabilità
che inevitabilmente si è esteso a tutto il territorio nazionale, visto che il
Sindaco di Roma è pure leader del PD. Il “patto per la Roma sicura” siglato a
luglio da Veltroni e dal prefetto Serra prevede lo sgombero (tra l’altro già in
fase di attuazione) di numerosi campi rom e la deportazione di intere comunità
oltre il Grande Raccordo Anulare, in veri e propri ghetti controllati a vista
dalle forze dell’ordine, dall’eufemistico nome di “villaggi della solidarietà”.
Non si vuole guardare in faccia ai problemi e in una metropoli come Roma,
segnata da profonde contraddizioni, si preferisce il ricorso alle pattuglie
piuttosto che la garanzia dei servizi sociali e culturali, di cui interi
quartieri periferici sono privi. Non dimentichiamo che proprio da una situazione
di analogo degrado, in Francia, è scaturita la rivolta delle banlieues.
Alla luce di quanto detto sinora, non si può che ribadire la necessità di una
lotta autorganizzata fondata sui valori antifascisti e internazionalisti.
Una lotta che non può prescindere da un’unità di classe fra i lavoratori
italiani - che debbono imparare ad individuare i loro veri nemici - e quelli
immigrati. In tal senso, un forte segnale è stato lanciato il 28 ottobre a Roma,
con una manifestazione che, oltre a rivendicare con forza un permesso di
soggiorno sganciato dal contratto di lavoro, ha ribadito la necessità d'un
collegamento col proletariato italiano. E' in questa ottica che gli immigrati
hanno scelto di sostenere lo sciopero generale del 9 novembre, un momento
significativo all’interno del percorso di lotta contro le politiche della
precarietà del governo Prodi. Ora, è proprio a partire da questo esempio che
bisogna muoversi per costruire una mobilitazione costante contro ogni forma di
razzismo, di fascismo e di politica padronale e antiproletaria.
Corrispondenze Metropolitane - collettivo di controinformazione e d'inchiesta
fonte: cmetropolitane@yahoo.it
http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o10428