Riceviamo e pubblichiamo
PERCHE' LA FESTA DEL CINEMA NON CI PIACE

Esattamente un anno fa, nell’ambito di una critica complessiva agli amministratori capitolini (Il caso Veltroni, 18 ottobre 2006), criticammo la Festa del cinema, allora alla prima edizione. Vedevamo in essa una espressione estrema della cultura dell’effimero cara a Veltroni, ma il discorso non era sviluppato, troppi erano gli aspetti della politica del Sindaco toccati nel comunicato. E’ forse venuto il momento di sviscerare il tema, anche perché della polemica contro la Festa del Cinema si sta appropriando la destra estrema. Si pensi al gesto eclatante compiuto giorni contro la Fontana di Trevi, rivendicato con un farneticante volantino “futurista”. Tale atto è stato esaltato non solo dai fascisti ma anche da buona parte del Centrodestra. Lo si è voluto spacciare come una “geniale provocazione” contro una Giunta che lascia irrisolti i problemi della città e che spende troppo per eventi spettacolari. Decisamente il pulpito dal quale è venuta la predica non è quello giusto, per almeno due motivi. Il primo è che l’agitazione strumentale di problemi sociali da parte dei fascisti, non può far dimenticare il loro essere nemici giurati di ogni esperienza collettiva di lotta per i bisogni negati. A Roma, l’ormai drammatico problema della casa è stato affrontato da molte famiglie occupando stabili e non lanciando generiche campagne come quella per il mutuo sociale, né tanto meno limitandosi (come ha fatto Forza Nuova) a riempire la metropolitana di adesivi contro Il Messaggero, quotidiano del palazzinaro Caltagirone. Ma i fascisti le occupazioni le assaltano, come è accaduto qualche mese fa a Casal Bertone. In quella circostanza Il Messaggero si è sostanzialmente schierato con loro, a riprova di quanto certe campagne siano considerate innocue dagli immobiliaristi.
A parte ciò, vi è un aspetto culturale da non trascurare, che investe i fascisti come il centrodestra nel suo complesso, che riguarda, cioè, tanto l’ultimo militante di Forza Nuova o della Fiamma Tricolore quanto il sedicente intellettuale Vittorio Sgarbi. Costoro citano Marinetti, ma gratta gratta il loro punto di riferimento culturale è Gerry Scotti e la loro contestazione della Festa del Cinema è svolta in nome della totale supremazia della televisione commerciale. Il prof. Vittorio Sgarbi passerà alla storia non per le mostre da lui curate, bensì per un incidente increscioso e rivelatore. Anni fa, sulle colonne de Il Giornale, pretese inopinatamente di imbarcarsi in una querelle storiografica, polemizzando con…Obs Baum. Evidentemente conosceva solo per sentito nominare uno dei massimi storici viventi: Eric J. Hobsbawm. Era troppo impegnato a partecipare a programmi televisivi per potersi dedicare a quella formazione di carattere complessivo che non è mai mancata agli storici dell’arte, che non possono permettersi di isolare il loro campo dal resto (ma viene il dubbio che lo Sgarbi abbia perso dimestichezza pure con i pittori bresciani del ‘500). Insomma i falsi futuristi e gli Sgarbi non sono qualificati per contestare la Festa del Cinema, riproducendo invece il tradizionale binomio fascismo/ignoranza (o reazione/ignoranza), condito, però, in salsa televisiva.
La Festa del Cinema la dobbiamo criticare noi e da più punti di vista. Essa è in gran parte opera di Goffredo Bettini, vera e propria mente del veltronismo, politico adulato sui quotidiani economici per aver avvicinato alla Giunta i nuovi settori produttivi della Capitale, legati alla cosiddetta New Economy ed al mondo della produzione culturale. La Festa ideata da Veltroni e Bettini fa sì che per una settimana non si parli delle drammatiche contraddizioni che vive la città. Del resto, nei giorni normali, tali contraddizioni vengono restituite dai media sotto un unico profilo: quello della sicurezza e della legalità. Ad esempio, il movimento di lotta per la casa, una della più importanti esperienze di partecipazione collettiva della città, viene citato solo in relazione alla infrazione di qualche norma. Si può ben dire che l’informazione su Roma oscilli sempre più tra questi due poli. Da un lato l’esaltazione dei miracoli del modello veltroniano, che passa anche per la celebrazione di eventi come la Notte Bianca e la Festa del Cinema, dipinti come volano per l’economia della città. Dall’altro, la demonizzazione degli immigrati (soprattutto romeni) e dei nomadi, additati come pericolo permanente per i cittadini, nonché la riprovazione verso chi lotta per cambiare le proprie condizioni di vita. Contestare la Festa del Cinema, dunque, vuol dire anche aggredire il modo in cui la città viene descritta sui media, mettendo in evidenza che alcuni fenomeni non piovono dal cielo. Se a Roma ci sono tantissimi baraccati lungo le rive del Tevere e dell’Aniene la Giunta è responsabile. Se il problema della casa è esploso, ciò è dovuto ad una politica nettamente favorevole ai palazzinari, che si è tradotta nel Piano Regolatore ed anche nelle ormai infinite varianti ad esso.
Ma ciò non può indurci a trascurare gli aspetti culturali di una festa che, a ben vedere, non fa bene neanche alla Settima Arte. Per mettere a fuoco questo punto basta analizzare il comportamento del quotidiano che più esalta la Festa del Cinema: La Repubblica. Nelle pagine di questo giornale è praticamente scomparsa la critica cinematografica, sostituita dalle tediose cronache mondane di Natalia Aspesi. Ora, alla Festa vengono presentati anche molti film pregevoli, perché tra i selezionatori vi sono studiosi di sicura competenza. Però se attorno alle opere più interessanti non si discute, se esse non sono oggetto del confronto tra differenti opzioni estetiche, la Festa servirà solo per il lancio di qualche “blockbuster movie”. I bei film presentati non andranno lontano, alcuni non arriveranno nemmeno in sala!
Dunque, il giudizio sulla Festa del Cinema è negativo anche sotto il profilo culturale. Fortunatamente, però, in questo paese non mancano luoghi e momenti in cui si produce una alternativa all’effimero veltroniano. Vi sono rassegne e festival in cui realmente hanno cittadinanza film che gettano uno sguardo sulle contraddizioni del nostro tempo, restituendo visibilità a chi è invisibile, a chi lotta per superare l’esistente e per affermare la propria identità, culturale e sessuale.
Tali film, non va dimenticato, sperimentano anche nuovi linguaggi, lontani da quello dominante della droga televisiva, contribuendo all’ampliamento delle possibilità espressive del cinema e dell’audiovisivo in generale.
Sono opere di registi indipendenti, realizzate con le tecnologie digitali, leggere, a basso costo. A Roma, per esempio, da anni è possibile vederle – magari discutendone con gli autori – al Tekfestival.
Roma, 24 ottobre 2007

Corrispondenze Metropolitane – Collettivo di controinformazione e d’inchiesta
(per contatti  metropolitane@yahoo.it)
     
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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