QUALI FORME ASSUME IL REATO DI CONCUSSIONE NEGLI APPALTI ?

"Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità e dei suoi poteri costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni"

Il recente sciopero nelle cooperative sociali, con la contestuale manifestazione nazionale in piazza Venezia, ha messo in luce aspetti poco visibili del vasto mondo del terzo settore. E' venuta fuori la dignità calpestata di tanti operatori sociali, la loro vulnerabilità in termini di diritti, di retribuzione, di ricatto sui posti di lavoro. Dal palco sono emerse testimonianze drammatiche che evidenziano il dislivello esistente tra le classi dirigenti e la loro base sociale con tutti i suoi aspetti di pura virtualità della democrazia interna.

Questo scritto vuole essere uno spunto di ricerca sociale e di riflessione. La finalità è quella di esaminare e ricevere contributi tecnici e suggerimenti su quale sia il limite della legalità quando un ente locale appaltante, sulla base del rapporto di forza dovuto all'erogazione di finanziamenti pubblici, esercita forme di pressione e condizionamento sulla cooperativa appaltatrice.

Nelle inchieste famose "Why not" la formula è stata evidenziata chiaramente dalla trasmissione "Anno Zero". In quel caso si trattava di assunzioni, convenzioni, commesse pilotate e "pizzi" sulla busta paga come scambio economico tra imprenditori, uffici pubblici e settori della politica.

Ma le forme della concussione, ossia la richiesta di atti specifici da parte di una cooperativa, in cambio del favoreggiamento in un appalto, possono avere anche altre modalità identificabili come reato?

Ad esempio, facciamo delle ipotesi: Può la Pubblica Amministrazione condizionare le scelte del personale da assumere o promuovere? Può "costringere" una cooperativa a favorire o discriminare un lavoratore sulla base della sintonia politica o parentale, della "simpatia" o "antipatia" suscitata nei confronti di funzionari e politici della stazione appaltante?

Ma soprattutto si può colpire un lavoratore nel suo diritto più intimo al lavoro e alla retribuzione per aver espresso liberamente il suo pensiero e le sue idee come cittadino e come lavoratore, diritti fondamentali sanciti dall'articolo 21 della Costituzione e dall'art. 1 dello Statuto dei lavoratori?

E quando la cooperativa sociale si presta ad operazioni commissionate dall'ente si può intravedere o esplorare la fattispecie del reato di concussione? Quando si può delineare una violazione dei diritti della personalità e la violenza morale nei confronti del lavoratore? Come difendersi se gli amministratori di una cooperativa si servono sempre delle risorse economiche sociali e non pagano mai di tasca propria, mettono in moto procedimenti disciplinari strumentali al fine di "epurare un singolo per educarne cento" oppure per rispondere e obbedire ad una precisa richiesta sottobanco del committente. Si tratta evidentemente di azioni favorite dal rapporto sbilanciato per la sostanziale debolezza economica del lavoratore e per le norme complicate e controverse in materia di tutela dei lavoratori di cooperative.

Sarebbero gradite email, anche in forma anonima, da tutti gli occasionali lettori di questo blog, in particolare, da tecnici del diritto, magistrati ed esponenti sindacali.  Testimonianza, opinioni, contributi e indicazioni a beneficio di tutti quegli operatori sociali che si trovano in una situazione di sofferenza, senza tutele, in balìa di ingiustizie e di ricatti basati sull'arma puntata di una busta paga e quindi colpiti sostanzialmente nel diritto ad una esistenza libera e dignitosa.

Giovanna, educatrice professionale di Roma  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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