Articolo pubblicato dal quotidiano "Liberazione" il 25 aprile 2007, su Il tempo del 28 aprile 2007  e da vari spazi web.

RAHMATULLAH POTREBBE ESSERE GIA' MORTO A SEGUITO DELLE TORTURE

Addirittura qualcuno ha prospettato la pena di morte contro Rahmatullah Hanefi per concorso in omicidio.

Sulla base di quale processo non si sa. Sulla base di quale contraddittorio e diritto di difesa non si sa.

Il nostro paese ha investito 50 milioni di euro nella ricostruzione e democratizzazione del sistema giudiziario afghano.

Se questi sono i frutti, il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema dovrebbe prenderne atto e sospendere subito ogni forma di collaborazione con Kabul.

Quello che sta avvenendo ai danni di una persona scomparsa e della sua famiglia riporta la civiltà giudiziaria afghana indietro nei secoli, prima cioè del 16° secolo, quando si era affermato con l'"habeas corpus act" il diritto inviolabile di ogni cittadino di non essere detenuto senza essere visto da un giudice e di potersi difendere.

Hanefi è morto, forse. Si è detto che un anonimo funzionario della Croce Rossa l'avrebbe visto ma nessuno ha visto nè sentito l'anonimo funzionario della Croce Rossa.

Perché è stato imposto il più rigido segreto?  Quale uomo è stato mostrato al funzionario della Croce rossa e in quali condizioni? Perché non è stata organizzata una conferenza stampa limpida e trasparente che chiarisse questi aspetti invece di far parlare a ruota libera su un giornale un capo dei servizi segreti?

L'opinione pubblica mondiale non ha potuto vedere il prigioniero sequestrato dai servizi segreti afghani.

Non lo ha più visto la sua famiglia, nè lo ha potuto vedere un avvocato di fiducia per difendersi da accuse, ad oggi paradossali e grottesche, che, secondo un quotidiano, potrebbero procurargli la pena di morte.

Ma chi può provare che di Hanefi non sia rimasto soltanto un cadavere martoriato dalla tortura subita?

Il comportamento tenuto dal governo afghano sta violando la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, sta violando i patti sui diritti civili e politici successivamente firmati in sede ONU.

A fronte di questo comportamento istituzionale, poco trasparente nei confronti del mediatore di Emergency che sembra somigliare nelle sue modalità di prigionìa alle barbare detenzioni di ostaggi da parte di terroristi e guerriglieri antigovernativi, è lecito pensare, fino a prova contraria, che Hanefi sia morto a seguito delle torture subìte.

E' un ipotesi, certo, ma di fronte al silenzio arrogante di Karzai,  è legittimo il sospetto che si cerchi di alleggerire l'imbarazzo di questa probabile morte tenuta nascosta, e che il governo afghano stia attuando la strategia preventiva della demonizzazione di Hanefi per rendere "più giusta" la sua fine agli occhi del mondo.

Domenico Ciardulli