REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso in appello n. 797 del 2006
proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello
Stato e domiciliato ex lege presso i suoi uffici in Roma, Via
dei Portoghesi n.12;
CONTRO
CO.LO.COOP. Consorzio Lombardo Cooperative
s.c. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gaetano e Luigi Tafuri ed
elettivamente domiciliata presso lo studio Magnano di San Lio in
Roma, Via dei Gracchi n.187;
PER L’ANNULLAMENTO
della sentenza del Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio, sez.I-bis, n.13403/2005 in data 12 dicembre
2005;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio
della CO.LO.COOP. Consorzio Lombardo Cooperative s.c. a r.l.;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 23 maggio 2006,
relatore il Consigliere Carlo Deodato, ed uditi, altresì, gli
Avv.ti Gaetano Tafuri e l’Avvocato dello Stato De Figueiredo;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
quanto segue:
FATTO
Con la sentenza appellata il t.a.r. del Lazio
annullava il provvedimento con il quale il Ministero della
difesa aveva negato il rinnovo di diversi contratti d’appalto,
formalmente richiesto dalla società appaltatrice (originaria
ricorrente ed odierna appellata).
Avverso tale decisione proponeva appello il
Ministero della difesa, criticando la correttezza delle
argomentazioni assunte a sostegno del gravato giudizio di
illegittimità, difendendo la legittimità della propria
determinazione negativa del rinnovo contrattuale e concludendo
per la riforma della decisione impugnata e per la conseguente
reiezione del ricorso di primo grado.
Resisteva la società cooperativa CO.LO.COOP.
Consorzio Lombardo Cooperative, deducendo l’infondatezza delle
ragioni addotte a sostegno del ricorso avversario e concludendo
per la sua reiezione, con conseguente conferma della decisione
impugnata.
Alla pubblica udienza del 23 maggio 2006 il
ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.- Le parti controvertono in merito alla
legittimità della determinazione con la quale l’Amministrazione
della difesa aveva negato il rinnovo, alla scadenza, dei
rapporti contrattuali instaurati con l’odierna appellata, sotto
il peculiare profilo della possibilità, secondo l’ordinamento
vigente e, in particolare, in attuazione dell’art.7, comma 2,
lett.f), del decreto legislativo 17 marzo 1995, n.157, di
procedere alla rinnovazione di contratti d’appalto scaduti,
anche dopo l’entrata in vigore della legge 18 aprile 2005, n. 62
(c.d. legge comunitaria 2004) che, all’art. 23, comma 1, ha
espressamente soppresso l’ultimo periodo dell’art.6, comma 2,
legge 24 dicembre 1993, n.537, che, a sua volta, ammetteva, a
determinate condizioni, la possibilità di rinnovare i contratti
delle pubbliche amministrazioni, entro i tre mesi prima della
loro scadenza.
Il t.a.r. ha, in particolare, giudicato
illegittima l’impugnata determinazione negativa sulla base del
decisivo rilievo che l’avvenuta eliminazione dall’ordinamento
della disposizione che ammetteva il rinnovo espresso dei
contratti non valeva ad impedire l’applicazione di una diversa
disposizione, l’art.7, comma 2, lett.f), d.lgs. n.157/95, della
cui compatibilità comunitaria non è lecito dubitare, che
consente l’affidamento a trattativa privata, senza previa
pubblicazione del bando, di nuovi servizi consistenti nella
ripetizione di prestazioni analoghe a quelle già affidate
all’impresa appaltatrice in esito ad una procedura ordinaria di
aggiudicazione e che, quindi, la rinnovazione richiesta
dall’originaria ricorrente non poteva validamente ritenersi
preclusa dall’entrata in vigore dell’art.23 della l. n.62/05.
Il Ministero appellante critica la
correttezza della riferita ricostruzione, rilevando che
all’eliminazione della clausola dell’ordinamento che permetteva
il rinnovo dei contratti deve assegnarsi valenza generale e che,
in ogni caso, difettavano le condizioni, di fatto e di diritto,
per l’applicazione della diversa fattispecie contemplata
dall’art.7, comma 2, lett.f), d.lgs. n.157/95.
La società appellata difende, di contro, la
correttezza del giudizio reso in prima istanza, assumendo, in
particolare, la ricorrenza dei presupposti legittimanti
l’affidamento a trattativa privata dei nuovi servizi, secondo la
disposizione sopra menzionata.
2.- L’appello è fondato, alla stregua delle
considerazioni di seguito esposte, e va, di conseguenza,
accolto.
2.1- Deve premettersi che la modifica
introdotta dall’art.23 l. n.62/05 deve intendersi finalizzata,
come si ricava dall’esame della relazione illustrativa e dalla
collocazione sistematica della disposizione, all’archiviazione
di una procedura di infrazione comunitaria (n.2003/2110) avente
ad oggetto proprio la previsione normativa nazionale della
facoltà di procedere al rinnovo espresso dei contratti delle
pubbliche amministrazioni, ritenuta incompatibile con i principi
di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi
cristallizzati negli artt.43 e 49 del Trattato CE e con la
normativa europea in tema di tutela della concorrenza
nell’affidamento degli appalti pubblici, e che, quindi, ogni
esegesi della sua portata applicativa dev’essere coerente con la
ratio e con lo scopo della relativa innovazione, per come appena
evidenziati.
2.2- In conformità a tale premessa
metodologica, deve osservarsi che all’eliminazione della
possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto
scaduti, disposta con l’art.23 l. n.62/05, deve assegnarsi una
valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni
ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni
dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del
divieto di rinnovazione dei contratti pubblici.
Solo rispettando il canone interpretativo
appena indicato, infatti, si assicura l’effettiva conformazione
dell’ordinamento interno a quello comunitario, mentre, accedendo
a letture sistematiche che riducano la portata precettiva del
divieto di rinnovazione dei contratti pubblici scaduti e che
introducano indebite eccezioni, si finisce per vanificare la
palese intenzione del legislatore del 2005 di adeguare la
disciplina nazionale in materia a quella europea e, quindi, per
conservare profili di conflitto con quest’ultima del regime
giuridico del rinnovo dei contratti di appalto delle pubbliche
amministrazioni.
Ne consegue che, in coerenza con la regola
ermeneutica appena sintetizzata, non solo l’intervento normativo
di cui all’art.23 l. n.62/05 dev’essere letto ed applicato in
modo da escludere ed impedire, in via generale ed
incondizionata, la rinnovazione di contratti di appalto scaduti,
ma anche l’esegesi di altre disposizioni dell’ordinamento che
consentirebbero, in deroga alle procedure ordinarie di
affidamento degli appalti pubblici, l’affidamento, senza gara,
degli stessi servizi per ulteriori periodi dev’essere condotta
alla stregua del vincolante criterio che vieta (con valenza
imperativa ed inderogabile) il rinnovo dei contratti.
2.3- In applicazione di tale parametro
interpretativo, che postula un’esegesi restrittiva (e che ne
preclude una estensiva) della disposizione di seguito indicata,
si deve, allora, rilevare che il richiamo dell’art.7, comma 2,
lett.f), d.lgs. n.157/95, sulla base del quale i giudici di
prima istanza hanno affermato la praticabilità del rinnovo nella
fattispecie controversa, risulta del tutto inappropriato, sia in
quanto l’anzidetta disposizione si riferisce alla diversa
ipotesi di una nuova aggiudicazione, come si ricava
dall’esplicita e testuale espressione contenuta nel primo
periodo del comma 2, sia in quanto, in ogni caso,
l’applicabilità della disposizione esige indefettibilmente la
conformità dei nuovi servizi (affidati a trattativa privata) ad
un progetto di base (nella specie inesistente).
A ben vedere, infatti, nel caso in esame
l’impresa non ha chiesto un nuovo affidamento, come richiesto
dall’art.7 d.lgs. n.157/95, ma ha invocato la diversa e non
equiparabile ipotesi della rinnovazione del contratto, che si
fonda su una ratio e su presupposti divergenti da una diversa ed
autonoma aggiudicazione (seppur avente ad oggetto la ripetizione
di servizi analoghi).
Non solo, ma quand’anche si intendesse
riconoscere l’astratta applicabilità della predetta disposizione
alla fattispecie controversa, si dovrebbe, comunque, rilevare la
mancanza dell’indefettibile presupposto applicativo della
conformità dei nuovi servizi ad un progetto base, al quale non
può in alcun modo essere assimilato il capitolato speciale
(posto che quest’ultimo risulta unilateralmente definito
dall’amministrazione, mentre il primo dev’essere elaborato
dall’impresa appaltatrice).
2.4- Né varrebbe, ancora, sostenere
l’illegittimità del controverso diniego sulla base
dell’argomento della previsione della possibilità del rinnovo
nel bando di gara e nel successivo contratto, posto che la
natura imperativa ed inderogabile della sopravvenuta
disposizione legislativa che introduce un divieto generalizzato
di rinnovazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni
implica la sopravvenuta inefficacia delle previsioni,
amministrative e contrattuali, configgenti con il nuovo e
vincolante principio, che non tollera la sopravvivenza
dell’efficacia di difformi clausole negoziali (attesa la natura
indisponibile degli interessi in esse coinvolti).
2.5- Il diniego di rinnovo gravato in prima
istanza si rivela, in sintesi, del tutto coerente con la
normativa di riferimento, per come sopra interpretata, conforme
alle regole di azione ed ai principi da essa desumibili in
materia di rinnovo degli appalti pubblici e, quindi, immune dai
vizi denunciati con il ricorso originario.
3.- Alle considerazioni che precedono
conseguono, in definitiva, l’accoglimento dell’appello e, in
riforma della decisione impugnata, la reiezione del ricorso di
primo grado.
4.- Le spese seguono la soccombenza e si
liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Quarta, accoglie l’appello indicato in
epigrafe e, in riforma della decisione appellata, respinge il
ricorso di primo grado e condanna la società appellata a
rifondere al Ministero della difesa le spese di entrambi i gradi
di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000,00
(cinquemila);
ordina che la presente decisione sia eseguita
dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio
del 23 maggio 2006, con l'intervento dei signori:
STENIO RICCIO
- Presidente
PIER LUIGI
LODI - Consigliere
ANTONINO ANASTASI
- Consigliere
CARLO DEODATO
- Consigliere Estensore
SANDRO AURELI
- Consigliere
L’ESTENSORE IL
PRESIDENTE
Carlo
Deodato Stenio
Riccio
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio Carnabuci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
31 ottobre 2006
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Antonio Serrao