da lettera22.it
Emanuele Giordana
Venerdi' 13 Aprile 2007
Kabul - “Ogni decreto emanato dalla presidenza della repubblica dovrebbe essere
pubblico e noto ai cittadini afgani”. Non ci dovrebbero essere segreti, dice in
sostanza l’avvocato Afzal Nooristani riferendosi al regolamento speciale di cui
si puo’ avvalere l’intelligence afgana e sotto cui ricade lo spinoso dossier
Rahmatullah Hanefi. Afzal Nooristani e’ il direttore della Legal Aid
Organization of Afghanistan, organismo non governativo formata da avvocati
afgani e finanziato dal Programma giustizia della cooperazione italiana. E’ uno
degli avvocati piu’ impegnati nella battaglia per una nuova cultura giuridica
che affermi i principi di garanzia per gli accusati, il rispetto dei diritti
umani, la durata dalle detenzione. Un lavoro difficile. Quando affrontiamo con
lui il caso di Hanefi e gli ricordiamo quel che abbiamo appreso e cioe’ che
esiste un decreto segreto che regola diritti e doveri del servizio di sicurezza
nazionale, Nooristani dice quello che pensa senza esitazione.“La Costituzione
non da’ al presidente questo potere. E io credo che tutti i decreti debbano
passare per l’approvazione del parlamento ed essere pubblici”. Ne sa qualcosa
anche il nostro paese dove ferve il dibattito sul segreto di stato
Insomma questo decreto da’ ai servizi dei poteri speciali
Per la verita’ questo decreto nessuno lo ha visto. Non e’ pubblico e,
paradossalmente, potrebbe anche non esistere. Certo e’ che la Nds (Direzione per
la sicurezza nazionale) ha molto potere. Del resto la segretezza sulle regole
dei servizi ha in Afghanistan una lunga storia. Penso all’epoca sovietica. Ma
adesso e’ diverso, adesso si puo’ parlare, si deve farlo
Cosa vuol dire essere un avvocato in Afghanistan?
Lo dicono i numeri. Non arriviamo a 300 e con una popolazione carceraria di
10mila individui. Il problema e’ che in Afghanistan non c’e’ una cultura del
rispetto del diritto di difesa degli accusati. Ecco perche’, chi studia legge,
pensa a fare il giudice o il procuratore, non certo l’avvocato
Perche’?
Perche’ nei processi la sua figura non era praticamente contemplata. Quando
c’era e, nel caso, solo in processi civili e non penali, si limitava a un ruolo
di “notaio”. Spesso nemmeno partecipa al processo. Tutto il resto veniva, e
ancora viene fatto, tra la pubblica accusa e il giudice. E sempre a detrimento
dell’accusato. C’e’ dunque una questione di cultura giuridica. Ma anche di
denaro
In che senso?
Nel senso che in un paese povero, chi finisce in galera non solo non sa che
avrebbe diritto alla difesa, ma non avrebbe comunque i soldi per pagarsela
Come se ne esce?
In parte anche col nostro lavoro e quello di altre associazioni che consiste
nel fornire assitenza gratuita legale e poi con le garanzie di assistenza che
ogni accusato deve avere e che sono previste dal nuovo codice. Ci vuole tempo
Quale formazione avete?
C’e’ chi esce dalla facolta’ di giurisprudenza, chi dalla facolta’ di sharia
Pesa nel codice afgano?
Il codice penale attuale e anche il precedente sono in realta’ in grado di
coprire qualsiasi reato e il ricorso alla sharia in realta’ si dovrebbe dare
solo per alcune cause civili magari non ancora coperte dal diritto. Di fatto
viene applicata a discrezione del giudice
In Afghanistan c’e’ la pena di morte. Cosa ne pensa la gente?
E’ un tema delicato e che non si puo’ iniziare a trattare adesso. Ora una
battaglia sull’abolizione della pena capitale creerebbe solo problemi. Entro
l’anno dovremmo avere il nuovo codice di procedura penale ed entro tre mesi,
speriamo, la legge che regola il nostro lavoro di avvocati. Iniziamo da li
Un’ultima domanda ci sono altri arrestati dai servizi come nel caso di Hanefi?
Ufficialmente no
Emanuele Giordana
Venerdi' 13 Aprile 2007
Kabul - La tv e’ fissa dal mattino su RaiNews24 nelle case degli italiani della
capitale afgana. Seguire in diretta il dibattito parlamentare, cosa che forse a
casa fanno in pochi oltre ai cronisti parlamentari, e’ in questo momento quasi
una necessita’ vitale dopo che, tra la vicenda di Mastrogiacomo e quella di
Emergency, l’Italia e’ una delle notizie del giorno in Afghanistan. Qualcuno,
nella piccola comunita’ di connazionali, non nasconde di avere qualche timore.
Cellulari accesi e attenzione alle notizie. L’autista che ci ha portato al
bazar, quando vede che non torniamo, si agita nervoso. E, una semplice
contrattazione per comprare una mazza da cricket, un gioco che, con sorpresa,
scopriamo popolare anche qui, diventa motivo di preoccupazione. Ma invece al
bazar scherzano. “Quattrocento afganis? - sibila il venditore - certo voi
italiani siete proprio tirchi!”. Una battuta che spezza la tensione e gli fa
guadagnare quel 20% in piu’ che a ogni straniero tocca sborsare.
Fuor di metafora i motivi di preoccupazione non mancano anche se la visita al
bazar rincuora. C’e’ grande attivita’ tra le bancarelle nella parte della citta’
sul fiume. Negozi che traboccano di roba e gente che va, viene e compra. La
guerra sembra lontana e l’amico afgano che ci accompagna ce lo fa notare: “Lo
vedete? Un po’ di pace e la vita riprende. La gente non ne ha piu’ voglia della
guerra”. Gia’, la gente. Anche oggi pero’ il bollettino dei morti recita che 21,
o 35 talebani, a seconda delle fonti, sono stati uccisi nella provincia di Zabul,
individuati dalla coalizione a guida americana. I soldati dell’Isaf uccisi ieri
sono invece due e un’altro se n’e’ andato mercoledi, nella provincia di Kunar, a
causa di ferite riportate al di fuori dei combattimenti, mentre sempre mercoledi
sono caduti due soldati canadesi in un'esplosione nei pressi di Kandahar. Seppur
tardivamente inoltre l’esercito americano ha aperto un’ichiesta sulla morte di
almeno otto civili negli incidenti verificatisi nell’Est a inizio marzo. La
guerra.
Lontani dal bazar e dai bollettini bellici, nel tentativo di capire la sorte del
povero Rahmatullah Hanefi, il mediatore prestato da Emergency e ripagato con
l’arresto, tempestiamo di domande giuristi ed avvocati. E in questa ricerca,
sorprendentemente, scopriamo che Hanefi non ha un avvocato. Non solo perche’ i
servizi non lo vorrebbero ma anche perche’, a quanto ne sappiamo, nessun legale
afgano e’ stato contattato da Emergency. Speriamo di sbagliarci anche perche’
solo un avvocato, e un buon avvocato, potrebbe almeno tentare una denuncia
formale. Pur se i servizi, come ci hanno spiegato, godono di una legge ad hoc,
la magistratura ordinaria sarebbe in qualche modo sollecitata. Probabilmente si
e’ mossa anche la nostra ambasciata ma, ufficialmente, le bocche sono cucite.
Come piu’ esperti di legge ci hanno confermato, i servizi afgani sono regolati
da un decreto presidenziale segreto che da’ loro enormi poteri. Se Rahmatullah
sia in arresto, dove sia e cosa sara’ di lui, non si sa e non si puo’ sapere. E
quel che e’ peggio, ci conferma una voce che preferisce l’anonimato, molti
uomini dei servizi, se non la maggior parte, provengono dal Khad, la micidiale
polizia segreta dell’ex regime filosovietico. Un’altra fonte dice che Hanefi e’
sicuramente a Kabul. A Lashkar Gah nemmeno i servizi afgani hanno controllo.
Voci. Le certezze ce le dice il giurista egiziano Ahmed Tawfik, consigliere
legislativo per la riforma. “Attualmente vige un codice ad interim di 98
articoli in attesa del nuovo che ne avra’ circa 170. Ma anche ora ci sono
garanzie. Il problema e’ che i servizi ne sono fuori”. Ci fa capire Tawfik che
un conto sono le leggi ordinarie (come quella sul terrorismo), un conto sono le
scelte poltiche, sotto cui ricade il decreto per i servizi. Materia
ingarbugliata.
Sulla vicenda Hanefi interviene intanto anche l’associazione afgana Rawa e la
sua controparte italiana (Cisda), avvertendo che l’attacco ad Emergency “non
vale solo per Emergency. E’ un messaggio pericolosissimo per tutte le
associazioni e le Ong presenti sul territorio afgano. E poiché – conclude il
comunicato delle due organizzazioni - i nemici dell’Afghanistan variano come le
stagioni, sarà difficile seguire il pensiero dei governi su questa strada…”
Dall’Italia arriva anche qui la notizia che la giunta della Federazione della
stampa "ha deliberato all'unanimità un contributo straordinario in favore delle
famiglie del giornalista-interprete Adjmal Naqshbandi e dell'autista di Daniele
Mastrogiacomo, Sayed Agha, assassinati dai rapitori dell'inviato italiano". La
giunta "ha anche deciso di sostenere le organizzazioni sindacali e
rappresentative dei giornalisti dell'Afghanistan che in questi giorni hanno
duramente protestato contro i due delitti ed hanno criticato il comportamento
poco determinato del governo di Kabul". Complessivamente stanziati 12mila euro.
Davvero una buona idea.