DA IL MANIFESTO 12 LUGLIO 2007
Cammino da quarant'anni sulla strada e rispetto la fatica di chi deve
affrontare, con i propri figli, un percorso lungo e difficile. Mi sento
vicino a coloro che non hanno mai la parola. Al contrario di molti che la
monopolizzano, esercitando un vero colonialismo nella società. E sento il
dovere di avvertire i giovani dei pericoli che corrono e delle risorse di
cui possono disporre. Nei confronti degli altri (media, politici,
benpensanti, chiese, scuola) è mio diritto ridimensionare i problemi della
dipendenza, chiarendoli in modo lucido nelle analisi e nella sintesi.
Bisogna confrontarsi lealmente, approfondire e non ritenere verità assoluta
la propria visione della realtà «droga». In questo campo minato, le
metodologie devono costruirsi in un processo di trasformazione sociale
collettiva.
L'allarme e l'emergenza di questi giorni costruiscono una deleteria
disinformazione. Circolano falsi miti e leggende che fanno notizia, come
«fuma uno spinello e muore». E quasi sempre chi lancia allarmi non
costruisce politiche del bene comune. Si abbia il coraggio di affermare che
le «droghe» non sono il vero e il primo rischio per la stragrande
maggioranza dei giovani. Si ammetta il fallimento della guerra all'offerta.
La «Merce» circola e le piantagioni in Afghanistan sono triplicate. Il
mercato clandestino è fiorente. La Comunità San Benedetto al Porto ha
ospitato l'assemblea «Dipende da noi», che ha visto la partecipazione di
oltre 200 persone in rappresentanza di 40 centri sociali di tutta Italia.
La consapevolezza dei danni prodotti dalle leggi degli ultimi anni è stata
forte e condivisa da tutti: nel 2006 spunta la Fini-Giovanardi, approvata a
notte fonda come emendamento al decreto delle Olimpiadi di Torino. Si è
deciso di partire dal prodotto droghe, demonizzandole e scatenando una
persecuzione che mette tutto nelle mani del circuito repressivo: Prefetture,
Questure, magistratura, carceri e quelle comunità aderenti all'impianto
della nuova repressione. La tolleranza zero continua a impedire un rapporto
educativo e sincero con i giovani. Si delinea un fronte bipartisan
conservatore e immobilista che dice di combattere una battaglia in difesa
dei giovani e finisce per conservare il nulla poiché il vecchio
proibizionismo e lì come un ammasso di rottami in nome del quale non si va
da nessuna parte. Non è pedagogico definire una persona dal prodotto che
usa. E' un concetto limitato e poco scientifico attribuire a un prodotto una
dimensione morale. Il fronte proibizionista (la droga fa male) cavalca
questa corporativa nostalgia. E non pone alternative, che non siano le
comunità terapeutiche, il privato d'elite finanziato dallo stato e un
servizio pubblico depotenziato. Quest'ultimo diventa manovalanza per i ceti
e le aree deboli del paese, con il suo ultimo stadio, il carcere, come
discarica sociale. La nuova maggioranza dopo le promesse elettorali non ha
affrontato la riforma della legge Fini-Giovanardi. Perché? E' un ritardo
pesante.
La mitizzazione delle sostanze proibite aumenta l'attrazione, soprattutto
tra i giovanissimi. Urge costruire una rete, con tutti quei soggetti che
aspirano ad avere una funzione progettuale originale, non burocratica, che
può essere realizzata solo intorno a un servizio pubblico forte. Predisporre
programmi a «bassa soglia», incrementare trattamenti sulle esigenze di
percorsi individualizzati, allestire interventi intermedi flessibili fra
l'ambulatoriale e le comunità (unità di strada, centri diurni, attività
sociali e domiciliari, lavoro, case alloggio, gruppi di auto-aiuto). Urge in
primis la totale depenalizzazione del consumo personale. Non spaventi la
«legalizzazione» quando significa «darsi regole nuove». Governare un
fenomeno complesso significa renderlo gestibile da chi lo vive: abbiamo
lasciato morire troppe persone.
La strategia che l'Ue propone si fonda su tre pilastri: lotta al traffico,
prevenzione-cura e riabilitazione-riduzione del danno. Resta nei fatti la
migliore strada percorribile. Questo
processo deve coinvolgere tutti: cittadini, gruppi spontanei e istituzioni.
Dobbiamo sollecitare gli enti locali a favorire pratiche e politiche sociali
che costruiscano spazi di socializzazione nelle periferie, nei centri
storici, nelle stazioni, nelle città piccole e grandi. Le crociate e i
cacciatori di streghe sono inutili e dannosi.
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