DA IL MANIFESTO 12 LUGLIO 2007
Tantissime le lettere
arrivate in redazione dopo l'intervento di Luigi Berlinguer, ex ministro
della pubblica istruzione
La scuola torna ancora al primo posto
«Ancora una volta al lamento per la scuola italiana - inevitabilmente
classista - si contrappone la solita semplificazione di idee e criteri
educativi per cui oggi assisteremmo a uno scontro Gentile contro Bruner»
Giovanni Gentile non c'è più
Cari compagni, ho letto con interesse, ma anche con un certo stupore
l'intervento dell'ex ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer,
apparso sul manifesto di domenica scorsa.
Condivido in pieno alcuni passaggi dell'analisi contenuta in quell'articolo.
La convinzione, cioè, che una scuola classista non sia soltanto quella che
si rivolge a un ristretto numero di persone (problema superato da qualche
anno con l'estensione dell'obbligo) ma anche quella che propone saperi
dogmatici e che predilige un malinteso umanismo, dividendo l'insegnamento
della tecnica (in scuole riservate ai più poveri) da quello della scienza.
Il ministro ha ragione.
Soltanto che gli sfugge un piccolo dettaglio, e cioè che il modello
gentiliano non esiste più, e che il massimo che la scuola di oggi riesce a
dare non è indottrinamento ideologico, ma nozionismo e istruzione di base.
Ciò in un paese in cui i titoli di studio non hanno più valore e la
selezione sociale non si fa più sulla preparazione ma secondo criteri
clanici e di cooptazione. Ma allora, per quanto dogmatico, non era forse
meglio il vecchio liceo classico?
Domanda che ne suscita un'altra: siamo sicuri che per democratizzare la
scuola, invece di arricchirla con forme diverse di sapere nella giusta
direzione indicata dal ministro, la si dovesse destrutturare e impoverire
(con il risultato di spostare ancora più a monte la selezione sociale)?
Saverio Valentini, Torino
Studiare meno, studiare tutto
Leggo con stupore (articolo di Luigi Berlinguer di domenica 8 luglio) che un
uomo che è stato ministro della pubblica istruzione - e in particolare il
promotore della più recente riforma che ha distrutto l'università italiana -
si duole dello stato in cui versa la scuola. Come se fosse un passante
deluso dalla qualità del servizio, invece che un attivo promotore del
risultato che ora stigmatizza.
Leggo con inquietudine che ora rivolge le sue morbose attenzioni ai più
piccoli. Leggo con aumentato stupore la sua lamentazione sui «corsi che
partono dalle definizioni generali, dalle regole astratte», «senza motivare,
rispondere a interrogativi propri e curiosità specifiche». Eppure Berlinguer
assicura di «non voler revocare in dubbio la necessità dell'astrazione,
della concettualizzazione». Vuole «solo» contestare l'impianto didattico
deduttivistico che nega, ahinoi, la «necessaria contaminazione tra sapere e
fare». Contaminazione per tutti, e chi se ne importa della profilassi.
Secondo il suo grido di dolore «nella scuola italiana manca l'arte, la
sollecitazione delle pulsioni artistiche che sono in ognuno di noi; ad
esempio «la musica praticata, la possibilità di imparare a suonare e
cantare». L'obiettivo è «conciliare equità sociale e qualità»; ovvero «il
diritto al successo educativo per tutti». Insomma: tutti vincitori alle
Olimpiadi della conoscenza. Il prezzo da pagare è («non c'è altra via»)
«abbassare la qualità per la massa». Qui voleva arrivare: studiare meno,
studiare tutto.
Noto che c'è comune sentire tra questo riformatore inesausto - a volte
ritornano - e un gruppetto di studenti che ultimamente chiedeva di «studiare
con lentezza», «facilitazione e alleggerimento» dei corsi, nonché di
lasciare «il pensiero libero alla sua corrente». Vi chiedo: qualcuno di voi
si farebbe costruire casa da un ingegnere che abbia nozioni generiche sulla
statica e la resistenza dei materiali? Si farebbe curare da un medico che ha
speso tanto tempo sul pentagramma quanto sulla fisiologia? Si affiderebbe a
un chirurgo avvezzo alla contaminazione? Si farebbe illuminare da un
filosofo che abbia evitato con cura i testi più «duri»?
Claudio Del Bello
Il manifesto mi stupisce
Leggendo l'articolo di Luigi Berlinguer sulla scuola «Senz'arte ma
di parte», mi domando perché il manifesto, dopo aver discusso per mesi
sull'opportunità di realizzare inchieste sul campo, alla fine pubblichi
interventi ideologici, ben lontani dall'esperienza di chi dell'insegnamento
ha fatto una professione e una scelta di vita.
Due sono i cardini dell'apocalittica descrizione della scuola fatta da
Berlinguer.
Il primo, che nelle scuole italiane sarebbero bandite la musica, le arti,
internet e la fantasia a causa dell'impostazione astratta e deduttivistica
dell'insegnamento: poco meno che lager diretti da ottusi docenti kapo,
responsabili di una strategia di esclusione sociale e culturale.
Il secondo, che per giunta tale tipo di insegnamento astratto risulterebbe
comunque inadeguato a formare i tecnici e gli scienziati necessari al paese.
Ebbene, da insegnante di lettere da quindici anni, domando a Berlinguer se
dell'esclusione di molta gioventù dalla formazione e dall'opportunità di
progressione sociale sia causa l'insegnamento deduttivistico o non piuttosto
il fatto che dei ragazzi, provenienti o no da situazioni familiari
drammatiche, vengano parcheggiati per anni, fino al termine dell'obbligo, in
classi di trenta alunni senza alcun progetto specifico. D'altra parte noi
docenti constatiamo che il successo scolastico è spesso inversamente
proporzionale al censo familiare: molti giovani, che godono di un notevole
benessere materiale, appaiono individualisti e privi di interessi, di
passioni o di comportamenti diversi da quelli dell'omologazione al branco.
Non sarà responsabile di ciò la rinuncia a educare con esempi e sanzioni, a
proporre un modello di comportamento valido per la scuola e per la società?
Non saranno proprio quelle che Berlinguer chiama nozioni astratte, e noi
invece cultura, lo strumento con cui formare il cittadino e i suoi valori?
Può una società che si dice democratica e moderna, che dunque è viva solo se
ogni cittadino è in grado di esercitare scelte consapevoli, permettersi il
lusso che giovani di diciannove anni superino l'esame di maturità classica
ignorando qualunque nozione di storia del Novecento e incapaci di svolgere
un tema, cioè di esprimere opinioni personali motivate, sulla giustizia e il
diritto o sulle istituzioni democratiche o sul colonialismo o sulla società
del villaggio globale?
E, quanto allo sviluppo del pensiero scientifico, perché le facoltà
universitarie hanno smesso di tener conto del diploma di maturità per
l'iscrizione? Forse lamentano il fatto che i giovani non hanno esercitato la
loro intelligenza emotiva con noi docenti o invece temono che gli studenti
siano impreparati, cioè che manchino di quelle cognizioni e competenze
astratte misurate dai difficilissimi test di selezione?
I problemi della scuola e dell'educazione sono certo assai complessi, ma ora
è urgente non solo rivendicare il diritto allo studio come strumento di
sviluppo della personalità propria, ma anche di rivalutare il dovere di
istruirsi per rendersi utili agli altri. Invece il programma berlingueriano
di banalizzazione dei contenuti per dare il diploma a tutti è demagogico e
in fin dei conti complementare alla promozione della scuola privata della
Moratti. Infatti la metamorfosi degli istituti in progettifici e dei docenti
in burocrati della pedagogia è la più subdola forma di selezione classista:
chi può contare su una famiglia abbiente o colta frequenterà con profitto i
licei d'élite o le scuole private, gli altri riceveranno comunque un inutile
diploma e l'istituto avrà raggiunto gli obiettivi e prevenuto la
dispersione.
Ora, sebbene queste considerazioni siano ampiamente condivise tra i docenti,
stupisce che non trovino luogo sul manifesto, il quale invece si fa
acriticamente portavoce di luoghi comuni (come la malascuola) espressi da un
ex-ministro costretto alle dimissioni da un ripudio generale degli
insegnanti, molti dei quali lettori del quotidiano.
Cordiali saluti,
prof. Davide Mulas, Liceo classico statale Dettori di Cagliari
Dequalificati e diseguali
Luigi Berlinguer, nell'articolo di domenica, dice: «Alla scuola è
stata assegnata una mera funzione di trasmissione della conoscenza»; un
compito molto elevato.
Se già la scuola riuscisse a assolverlo con successo, si compirebbe un
notevole progresso, peccato che sia intasata da progetti, attività
extra-curricolari, didattica alternativa etc.
E' giusto, invece, evidenziare la mancanza nella scuola italiana di spazi
per l'espressione artistica, e in particolare musicale, degli studenti.
Aggiungere che in un paese ricchissimo di opere d'arte e che è stato la
patria di grandissimi musicisti, quale è l'Italia, si dovrebbe studiare di
più la Storia dell'arte e si dovrebbe introdurre lo studio della Storia
della musica, al momento del tutto assente. Ma forse anche questo verrebbe
condannato perché proprio di «un impianto educativo puramente gnoseologico».
Il disprezzo e l'aria di superiorità nei confronti del ruolo della scuola
quale trasmettitore del patrimonio culturale da parte dei signori come
Berlinguer, soprattutto nella sinistra, hanno contribuito non poco
all'abbassamento di livello dell'istruzione pubblica in Italia.
Sorge, poi, spontaneo l'interrogativo circa quale sia concretamente la
scuola predicata da Berlinguer, libera dalle lezioni frontali e
dall'insegnamento deduttivistico e solo gnoseologico», privata forse anche
delle «vecchie aule» e dei «banchi antichi». A tutti piacerebbe una scuola
che «concili equità socio-culturale e qualità», ma i tentativi finora
compiuti in questo senso non hanno fatto che abbassare la qualità, avviando
un pericoloso processo demolitivo dell'istruzione pubblica.
Una scuola così dequalificata non appianerà le disuguaglianze, ma come in
Gran bretagna e Stati uniti, le accentuerà, spingendo i figli delle famiglie
più agiate in istituti privati e escludendo comunque gli altri dall'accesso
al sapere, di qualunque genere e impostazione lo si voglia.
Elena Spangenberg Yanes, Roma
Berlinguer sul luogo del delitto
Che Luigi Berlinguer torni ogni tanto sul luogo del delitto è
importante, dispiace constatare che l'ex ministro della pubblica istruzione
finisca sempre per ricadere nei soliti vecchi errori.
Ancora una volta al lamento per la scuola italiana (inevitabilmente
classista e forse è vero) si contrappone la solita semplificazione di idee e
criteri educativi per cui oggi assisteremmo a uno scontro Gentile contro
Bruner: se questo fosse veramente il livello della contrapposizione saremmo
messi molto peggio di quanto non siamo. Non credo valga nemmeno per la
Moratti, il che è tutto dire. Questo è il vero tallone d'Achille del
riformismo di Berlinguer, ieri come oggi: l'astrazione, la genericità, il
voler calare dall'alto paletti e dogmi che finiscono per finire nel
dimenticatoio (per fortuna) molto presto. Ma fanno danno.
Il didattichese di Vertecchi, l'Invalsi, il pedagogismo prêt-à-porter di
ispettori sgrammaticati sono calati come una mannaia sulle scuole italiane e
sugli insegnanti esterrefatti. La lezione frontale è stata preferita a
favore di didattiche umilianti, piene zeppe di semplificazioni, riassunti di
riassunti, con l'odio panico nei confronti dei testi, di esercizi difficili,
delle tanto aborrite concettualizzazioni che Berlinguer confonde ieri come
oggi con le categorie astratte del bell'e fatto, di corsi di poche ore con
questionari a risposta multipla.
Con la stessa leggerezza e superficialità si sono selezionati gli insegnanti
con i corsi abilitanti a 30 ore, con le famigerate aree d'ambito culturale,
per cui a un maestro elementare, bocciato nei concorsi di abilitazione,
viene consentito l'accesso alle scuole superiori per insegnare materie che
in università non ha mai studiato e che non conosce, con la vergogna
universalmente riconosciuta delle Siss, scuole-bidone (tra l'altro assai
costose) per consentire qualche margine di lucro alle università in disarmo.
La scuola abbandonata e impoverita nei contenuti e nella vita materiale (a
iniziare dagli stipendi ridicoli) poi si vendica: i raccapriccianti video su
You tube descrivono la scuola reale che emerge dalle nebbie delle circolari
ministeriali, da oltre dieci anni di riforme fallimentari (peggio di quella
di Gentile, già criticata da Gramsci nella direzione opposta a quella
berlingueriana), dalla situazione di abbandono che aleggia negli istituti
italiani.
La scuola di oggi, e Berlinguer ne porta non poche responsabilità, è finita
con il risultare superficiale, poco impegnativa, noiosa e nozionistica; è
appesantita da una quantità di operazioni burocratiche e dall'orribile
didattichese di funzionari cresciuti e pasciuti lontani dalla scuola, che si
sono dati d'attorno con furia riformista e hanno devastato. Oggi abbiamo
nella migliore delle ipotesi poche valide esperienze di resistenza, nel
marasma di un corpo docente indebolito, diviso e spesso impreparato, gravato
da un consistente impoverimento materiale, morale e intellettuale. La scuola
diventa un'area di parcheggio per giovani e adulti, un dopolavoro a
stipendio fisso per arrivare alla fatidica terza settimana, per il resto si
arrangi chi può. E tutti si arrangiano, chi può come può.
In questo clima nasce un generale atteggiamento di sfiducia e di profondo
scetticismo e indifferenza per le riforme dall'alto dei Berlinguer di turno.
Al deduttivismo tanto deprecato, che Berlinguer chissà perché imputa al solo
idealismo gentiliano, si oppone un deduttivismo opposto e speculare, quello
del cognitivismo made in Usa degli anni '70. E' il destino provinciale di
chi segue le (superate) mode di turno: Berlinguer o chi per lui se ne
dovrebbe liberare una volta per tutte. Diffidiamo delle riforme universali
e, visto che ci siamo, modestamente proponiamo un empirismo umile ma più
vicino alla pratica quotidiana.
Fioroni-Berlinguer si facciano un giro per gli istituti professionali
italiani e investano risorse nelle scuole in maggiore difficoltà. Si
selezioni e si paghi profumatamente personale docente in grado di fare
lezione (in laboratorio o al cinema poco importa), in grado di recuperare
disciplina, qualità, stima di sé e crescita personale nelle scuole in cui
oggi si rischia ogni giorno l'incolumità fisica; si valutino le conoscenze
matematiche, fisiche e scientifiche degli studenti, delle scuole, degli
insegnanti, si promuovano le esperienze didattiche dignitose e s'impongano
riforme e provvedimenti di recupero ai docenti che non riescono a garantire
risultati soddisfacenti. Si evitino gli sprechi immensi dei progetti,
progettini e progettoni in cui si finanzia il nulla quando non l'ideologia
dell'ennesima giornata alla memoria. Soprattutto si evitino le parole
d'ordine dall'alto, le riforme fatte su principi astratti e idealistici
calati su una realtà che si ignora. Le riforme devono avere testa e gambe,
tutte ben centrate nel mondo reale, nella realtà che si vuole conoscere,
cambiare e possibilmente migliorare.
Il metodo tanto perseguito a parole del trial and error dovrebbe essere
applicato in primo luogo dallo stesso Berlinguer, a partire dai suoi errori
passati. Altrimenti è la solita ideologia riformista della ex-sinistra
italiana.
Francesco Armezzani, insegnante