LA DOLCE MORTE NON PIACE AGLI SCRITTORI

Da Oriana Fallaci a Susanna Tamaro fino al pensatore Zygmunt Bauman e perfino al
«provocatore» Michel Houellebecq: ecco una mappa di tanti autori contrari
all'eutanasia

Il testamento biologico? Una «buffonata» per l'Oriana furiosa Chi sa già come
reagirà di fronte alla morte?

Di Andrea Galli

«C'è una follia totale che sta sommergendo il nostro pianeta. L'uomo crede di
poter superare ogni limite, superando, con l'eutanasia, anche l'ora della morte,
un passaggio che appartiene al mistero e che non possiamo scavalcare». Così
Susanna Tamaro qualche anno fa su Famiglia Cristiana, in un'intervista mite e
ruvida che ricordava i toni di un certo anticonformismo guareschiano - il
Giovanni Guareschi del «chi non è in grado di di dare la vita a un morto ha
forse il diritto di toglierla» - e alcune delle cose più felici di Pasolini.
Già, Pasolini. Era il gennaio 1975 quando, sull'onda lunga del referendum vinto
sul divorzio, i radicali rilanciavano con altre otto proposte. Il
poeta-scrittore friulano, dalle colonne del Corriere della Sera, rispondeva a
suo modo: «Io sono per gli otto referendum del partito radicale, e sarei
disposto a una campagna immediata in loro favore. Sono però traumatizzato dalla
legalizzazione dell'aborto, perché lo considero, come molti, una legalizzazione
dell'omicidio». Un memorabile scossone alla cappa culturale che si ispessiva
giorno dopo giorno e che, trentuno anni dopo, sempre in tema di «legalizzazione
dell'omicidio», aspetta di essere emulato.
Per qualcuno in realtà il tentativo è già stato fatto, con l'affondo di Oriana
Fallaci, l'anno scorso, nell'intervista al Foglio sul caso Terry Schiavo, o
meglio «Terry Schindler». Un caso in cui, diceva la Erinni fiorentina,
«nonostante la mancanza di sangue, di manifesta brutalità, v'è qualcosa di
particolarmente mostruoso». «Oggi penso - continuava la Fallaci - che ottenere
giustizia attraverso la Legge sia un terno al lotto. Se mi sbaglio, se la Legge
significa davvero Giustizia, Equità, Imparzialità, me lo si dimostri
incriminando i magistrati che per ben dodici volte si sono accaniti su quella
creatura colpevole soltanto d'essere una malata inguaribile». Ma imputati non
erano solo gli amministratori della giustizia: «A pari merito ci metto i medici,
anzi i becchini travestit i da medici che ai magistrati hanno fornito gli
elementi necessari ad emettere quella sentenza di morte. Che hanno definito
Terry un cervello spento, un corpo senz'anima, un essere in stato vegetativo
irreversibile...». E ancora: «La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una
bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla
buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze. La morte
è morte e basta». Il testamento biologico, che oggi pare a molti il male minore?
«È una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla
morte. Inutile fare gli eroi antelitteram, annunciare che dinanzi al plotone di
esecuzione sputerai addosso ai tuoi carnefici come Fabrizio Quattrocchi. Inutile
dichiarare che in un caso simile a quello di Terri vorrai staccare-la-spina,
morire stoicamente come Socrate che beve la cicuta. L'istinto di sopravvivenza è
incontenibile, incontrollabile... E se nel testamento biologico scrivi che in
caso di grave infermità vuoi morire ma al momento di guardare la Morte in faccia
cambi idea? Se a quel punto t'accorgi che la vita è bella anche quando è brutta,
e piuttosto che rinunciarvi preferisci vivere col tubo infilato nell'ombelico ma
non sei più in grado di dirlo?».
Una sferzata, quella di una Fallaci malata e distante poco più di anno
dall'appuntamento con la morte, che sembrava racchiudere un po' del disincanto
amaro di Dino Buzzati - «proprio quando i medici assicurano sorridendo che non
esiste ombra di rischio, allora soprattutto c'è da stare all'erta. Bizzarro
tribunale, questo: dove spesso la sentenza di completa assoluzione prelude al
patibolo» - un po' della sapienza di Giuseppe Pontiggia, quello di Nati due
volte, con le riflessioni sulla qualità di un figlio che non muta né trascolora
secondo la prestanza o la debilitazione del corpo. Un po' del coraggio di Lalla
Romano, che alla posizione pro-eutanasia di Montanelli, nel 1999, opponeva
l'accettazione del proprio dolore terminale . Un po' dell'orgoglio dolente di
Gina Lagorio, colpita da un ictus ma tenace fino all'ultimo respiro, come
descritto da lei nel suo ultimo, toccante Capita. Il tutto, si può dire, avvolto
da una carica abrasiva e dissacrante che ricorda quello di un altro scrittore,
curiosamente già accostato alla Fallaci in passato anche se per altri motivi:
Michel Houellebecq. «Io sono del tutto contrario all'eutanasia» diceva l'autore
delle Particelle elementari, in un'intervista del 1999 a Le Nouvelle Clés, «è
fondamentale che le persone abbiano la possibilità di vivere la loro vita fino
alla fine». Diagnosticando a suo modo dei sintomi patologici che anche un
osservatore della liquefazione della società, Zygmunt Bauman, ha descritto ne Il
disagio della postmodernità: l'eutanasia come frutto avvelenato di una hybris
occidentale, del tentativo di sopprimere e nascondere la morte, cercando allo
stesso tempo di padroneggiarla. Invano.