ROMA - Le infezioni ospedaliere in Italia provocano ogni anno tra i
4.500 e i 7mila decessi: un numero di vittime perfino superiore a quello degli
incidenti stradali. E le ultime analisi del comportamento di medici e
infermieri - tra le altre, quella pubblicata sull'International journal of
infectious diseases nel 2005 - rivelano che solo 4 su 10 si lavano
correttamente le mani prima di visitare o intervenire su un paziente. "Può
sembrare incredibile, eppure è così", ammette Antonio Cassone, direttore del
dipartimento di malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità. "In
medicina oggi sappiamo eseguire interventi incredibilmente complessi, usiamo
tecnologie inimmaginabili. Eppure non riusciamo a lavarci le mani come si
deve". E anche le più elementari regole igieniche spesso non vengono
rispettate, come dimostra la serie di foto scattate da Repubblica attorno agli
ospedali di 4 grandi città.
Una circolare del ministero della Sanità nel 1985 raccomandava l'istituzione
di un Comitato di lotta contro le infezioni in ogni ospedale. Eppure nel 2002
una struttura su 10 ne era ancora sprovvista, rivela lo studio Inf Nos 2
dell'Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma. "Applicando le
normali procedure d'igiene riusciremmo a ridurre di un terzo le infezioni"
rivela il direttore scientifico Giuseppe Ippolito. Lavarsi le mani, ma anche
indossare guanti, pulire bene la pelle dei pazienti prima di inserire dei
cateteri venosi o urinari e ridurre al massimo il loro tempo di applicazione.
Gli anglosassoni, che hanno l'abitudine di visitare in giacca e senza camice,
puntano il dito anche contro la cravatta, crogiolo di microbi. Queste normali
raccomandazioni possono salvare la vita a 2mila pazienti l'anno.
Uno studio del New England Journal of Medicine appena uscito ha rivelato che
un rigoroso lavaggio delle mani, l'uso di maschere e guanti in alcuni reparti
di rianimazione del Michigan è bastato a ridurre il tasso di infezioni del 66%
in 18 mesi.
Nella lista nera dei portatori di microbi, i medici surclassano gli
infermieri. Secondo i dati raccolti nel 2005 dal Centro gestione del rischio
clinico della Regione Toscana, il 79% dei medici non eseguiva correttamente le
procedure di pulizia delle mani prima di visitare un paziente, contro il 68%
degli infermieri e il 50% dei giovani dottori in formazione. "Oggi non c'è
grande differenza da quello che succedeva a metà dell'800 - spiega Ippolito -
quando il medico Semmelweiss scoprì che erano proprio i suoi colleghi a
diffondere la febbre puerperale non lavandosi le mani. La situazione rimane
grave ancor oggi e da alcune rilevazioni sembra che ad applicare le regole
dell'igiene meno di tutti siano proprio i medici".
Ad aggravare l'impatto delle infezioni ospedaliere c'è il fenomeno della
farmaco-resistenza. Per combattere i batteri si utilizzano antibiotici. E a
poco a poco in un ambiente così ristretto come il reparto la selezione
darwiniana fa sviluppare i ceppi di microbi più robusti.
"Cancellare gli agenti patogeni dagli ospedali non è realistico - precisa
Cassone - ma trovare armi più efficienti per combatterli non sarebbe
difficile. I mezzi esistono. Il problema è che non sono ancora diffusi in
tutte le strutture sanitarie. Un laboratorio d'analisi ben organizzato, per
esempio, è in grado d'individuare in poche ore il microrganismo responsabile
di un'infezione, suggerendo al medico la terapia più efficace. Contro i
batteri molto virulenti, sono poi allo studio dei vaccini preventivi". Un
terzo delle infezioni ospedaliere è facilmente evitabile; eppure dal 1983 a
oggi il tasso dei pazienti colpiti è rimasto stabile: era il 6,8% allora ed è
il 6,7% oggi.
(5 gennaio 2007)