Dai dati raccolti risulta che nel Lazio sono attive 93 organizzazioni di mafia, o che agiscono con metodo mafioso. Oltre 50 di queste sono attive sulla Capitale, e ben 11 solo nell’area di Tor Bella Monaca. Sono solo alcuni dei dati emersi ieri nel corso del “III Rapporto mafie nel Lazio”, presentato presso il WeGil di largo Ascianghi.
9 maggio 1978. Peppino Impastato viene ucciso dalla mafia a Cinisi.
La memoria delle vittime di mafia non deve mai spegnersi, soprattutto oggi davanti a tanti episodi di violenza e sopraffazione di cosche e clan che attraversano tutto il paese costringendo giornalisti, imprenditori, scrittori, persone delle istituzioni, testimoni di giustizia a temere per la propria vita e a vivere sotto scorta.
A ciò si aggiunge l’imbarbarimento delle relazioni in politica, nei posti di lavoro, sulla rete. Ovunque si respira aria di violenza, di mobbing, di bullismo, di ciberbullismo di chiusure ermetiche con telecamere cancelli, individualismi, egoismi, indifferenza, emarginazione del diverso…
Nell’anniversario della sua morte vogliamo riproporre le parole di condanna di Papa Giovanni Paolo II del 9 maggio 1993. Quella data è passata alla storia per la prima invettiva di un Papa contro Cosa Nostra. La gridò Wojtyła ad Agrigento.
Si compie in modo inequivocabile il grande passo chiesto con le loro lettere da Agnese Borsellino e Maria Falcone e, con la loro commozione, dai genitori del giudice.
«Lo dico ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio». Parole di fuoco quelle che Papa Wojtyła pronuncia contro la mafia, ad Agrigento, il 9 maggio 1993.
Era appena tornato dal primo viaggio nell’Albania post comunista, quando ne compie un altro in Sicilia. L’ultimo appuntamento con i fedeli isolani è ad Agrigento. Erano passati appena dieci mesi dall’attentato a Paolo Borsellino e il pontefice si getta in un discorso improvvisato che si rivelerà un vero e proprio anatema contro la mafia. Le parole pronunciate sono inequivocabili: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane devono capire, devono capire che non è permesso uccidere gli innocenti. Dio ha detto “Non uccidere”. L’ uomo, qualsiasi umana agglomerazione o la mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano talmente attaccato alla vita, un popolo che ama la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà della morte. Lo dico ai responsabili. Convertitevi»
Per completare questa memoria, abbiamo ripescato un articolo di 10 anni fa (10 maggio 2008) scritto da Cinzia Della Valle e Claudio Porcas per “Il Manifesto” all’indomani di un grande corteo a Cinisi,
“Chi vive a Cinisi alzi la mano, solo una risponde all’invito lanciato dagli oratori che partecipano nel municipio del paese al dibattito sull’informazione libera e di frontiera.
Nella sala cala il silenzio, qualcuno scuote la testa, i volti si anneriscono, altri allargano le braccia ma con fiducia.
Qualche ora dopo la delusione scomparirà. In seimila si ritrovano al corteo in ricordo di Peppino Impastato, a trent’anni dall’omicidio, coperto per troppo tempo dai depistaggi dell’antistato e della mafia.
E’ stato Salvo Vitale, compagno di battaglie e amico di Peppino, a lanciare la frase sibillina per sondare il terreno e vedere se in questi trent’anni tra gli abitanti di Cinisi fosse comparsa la voglia di ricordare. “E’ evidente che Cinisi è ancora arroccata nella sua totale indifferenza – dice con amarezza Vitale – Il ricordo di Peppino è vissuto in paese come un’invasione di campo da parte di vecchi comunisti rompiscatole e giovani rumorosi. Pochi sono i cinisensi che entrano nella casa aperta dalla mamma Felicia per leggere gli scritti, le poesie, i ricordi di Peppino”. Gli fa eco Faro Di Maggio, che con Peppino conduceva Onda Pazza, la trasmissione più corrosiva di Radio Aut: “Non solo la gente non è cambiata, ma i padri condizionano anche i figli”.
Erano comunque tanti i giovani al forum di ieri sulla libera informazione e poi al corteo che ha ripercorso il tragitto fatto da Peppino la sera in cui, tra l’8 e il 9 maggio del ’78, fu ucciso.
Un fiume umano lungo un paio di km, composto da persone provenienti da tutta Italia. Fernando Scarlata, bresciano, dal 2004 partecipa ogni 9 maggio al corteo per Peppino. “Mi sento molto vicino alle sue idee, ma anche a quelle degli amici di Cinisi che lo ricordano con la stessa energia da trent’anni – spiega – Il primo anno ero stupito che gli abitanti di Cinisi non partecipassero alle celebrazioni. Poi però ci ho fatto l’abitudine”. Non la pensa così Salvatore Palazzolo, il sindaco di Cinisi. “Il nostro paese ha ormai fatto una scelta chiara: ha scelto Peppino Impastato e ha ripudiato Tano Badalamenti e i mafiosi come lui”. E attacca il Centro di documentazione Impastato di Umberto Santino, che “continua a fare retorica e propaganda contro Cinisi. Non si sono accorti che i tempi sono cambiati e la gente pure”.
Fino a pochi mesi fa però Gaspare Di Maggio, figlio del boss ormai novantenne Procopio, reggeva la cosca di Cinisi per conto di Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Dopo la cattura dei due boss, Di Maggio è stato arrestato. Un altro colpo alle cosche l’ha inferto, lo scorso febbraio, la Corte d’Assise di Palermo, che ha confermato la confisca dei beni a Tano Badalamenti.
Tra i fondi rustici e la case sequestrate, per un valore di circa 100 milioni di euro, c’è anche l’appartamento che dista cento passi dalla casa degli Impastato. Giovanni Impastato, felice per la riuscita della manifestazione, chiede al Comune di rendere pubblico l’accesso al casolare, dove è stato assassinato Peppino, per trasformarlo in un luogo di memoria.
Quell’area è di un privato e da alcuni anni è recintata, in pessime condizioni. Il commissario dello Stato che ha amministrato Cinisi prima dell’attuale giunta ha deciso di porre un vincolo sul casolare ritenendolo bene culturale, ma il Comune non ha ancora proceduto all’esproprio della struttura. “Speriamo che presto si possa risolvere questa situazione, perchè ci rattrista sapere che dove è morto mio fratello pascolano le mucche”, aggiunge amaro Giovanni.
Nel corteo, colorato e molto rumoroso, c’erano rappresentanti dei collettivi, esponenti dei comitati No Tav e No Dal Molin, volontari di Libera, dell’Arci, amministratori, e soprattutto gli amici di Peppino.
Su tutti aleggiava il ricordo di Felicia Bartolotta, la madre di Peppino, che con determinazione e passione lottò per avere giustizia in nome del figlio e la ottenne. Non c’era invece Walter Veltroni, che lo scorso luglio durante la sua visita a Cinisi aveva assicurato la sua presenza per il trentennale.
“No, non l’ho sentito – dice Giovanni – e mi dispiace che non sia qui, credo che abbia ritenuto opportuno non partecipare perchè rispetto all’anno scorso qualcosa è cambiato”. Entrati in paese, i manifestanti hanno intonato Bella Ciao, con Salvo Vitale e Paolo Arena che hanno alzato il pugno al cielo gridando “Peppino è vivo e lotta insieme a noi”.
Sono stati proprio gli amici di Peppino a ricordare come nel giorno del funerale, trent’anni fa, c’erano solo mille persone, oggi invece “siamo in migliaia, purtroppo manca ancora la gente di Cinisi”.
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