VIOLENZE DEI GRUPPI, ALCUNE IPOTESI EMERSE IN UN SECOLO DI STUDI

Si stanno registrando molte violenze in questi giorni nel nostro paese, dall'aggressione brutale contro i frati di un convento, a quella contro i turisti olandesi oppure quella recente contro i giovani di un centro sociale di Roma, aggrediti con il coltello nella notte del 28 agosto. Questi avvenimenti impongono una pausa di riflessione e approfondimento sul fenomeno della rabbia e aggressività.

Dagli inizi del secolo scorso numerosi studiosi dei fenomeni sociali si sono adoperati per spiegare l'incidenza delle forme di violenza tra i gruppi e di protesta collettiva.

L'idea di fondo è la "teoria della deprivazione relativa" secondo la quale le persone esprimano scontento, rabbia e aggressività, non necessariamente perchè, ad esempio, hanno fame e sono povere, ma perchè si sentono più affamate e più povere di quel che dovrebbero essere.

In altri termini, "la frustrazione ha un elemento soggettivo o cognitivo. Non è solamente un determinato stato di deprivazione oggettiva, ma è anche la presenza di fattori che ostacolano le aspettative degli individui, l'idea di essere deprivati".

Inoltre, attraverso esperimenti condotti negli anni 60, si rilevò che, man mano che aumenta la competizione e il conflitto tra i gruppi, ogni gruppo diventa internamente più unito. Tale tema era già stato studiato nel 1906 da Summer che aveva ipotizzato il legame funzionale tra conflitto dei gruppi e coesione interna. L'esigenza di "combattere gli estranei" è l'elemento che consente la pace all'interno, nel senso del "timore che la discordia interna possa indebolire la capacità di lotta esterna".

Nel 1948 due eminenti studiosi ( Miller e Bugelski) condussero un esperimento in un campo estivo per verificare l'impatto e le conseguenze dell'esperienze frustranti sui gruppi.

Essi osservarono che benché i giovani fossero comprensibilmente adirati con i responsabili reali della loro frustrazione (le autorità del campo) era evidente che questa rabbia veniva "riversata" sui gruppi di minoranza che non potevano aver avuto alcuna concepibile responsabilità per la loro situazione.

Un altro studioso dei fenomeni sociali (Berkovitz) nel 1962 approfondisce il tema dell'individuazione del bersaglio o  bersagli specifici della rabbia dovuta alla frustrazione. Secondo quegli studi, il capro espiatorio che viene scelto più facilmente è un "esterno-estraneo", individuo o gruppo, che era stato associato in passato al conflitto e all'antipatia.

La frustrazione soggettivamente o collettivamente percepita è, quindi, un'esperienza spiacevole, tra le tante altre, che può dare origine alla rabbia e all'aggressività. La violenza, che potenzialmente ne deriva, viene direzionata, con uno spostamento di natura psicologica, verso gruppi più deboli, oppure verso gruppi e persone che vengono automaticamente associati a esperienze di conflitti passati.

Domenico Ciardulli

PUBBLICATO SU:  www.osservatoriosullalegalita.org   www.aprileonline.info   www.vejo.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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