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Mai più Hiroshima e Nagasaki
di Lucio Garofalo
In questi giorni di un’estate che volge quasi al termine, in alcuni luoghi
della Terra, in modo particolare in Giappone, ci si appresta a celebrare le
ormai consuete e rituali commemorazioni legate ai 62 anni trascorsi dalle
terribili giornate del 6 e del 9 agosto 1945, quando gli americani gettarono
senza pietà le prime bombe atomiche della storia a spese delle città di
Hiroshima e Nagasaki, che vennero rase totalmente al suolo.
Soltanto nei primi mesi successivi alla deflagrazione nucleare i morti furono
oltre 200 mila. Secondo stime attendibili, fino ad oggi le vittime accertate
sarebbero oltre 350 mila. Quelle dell’agosto del 1945 sono state le uniche
volte (per fortuna) in cui le armi nucleari sono state impiegate in un
conflitto bellico contro popolazioni civili ed inermi, sterminando intere
generazioni e annichilendo intere città. E’ bene ricordare che la paternità
storica di tali massacri (veri e propri crimini commessi contro l’umanità,
come qualcuno li ha giustamente definiti, crimini rimasti però impuniti) va
indubbiamente ascritta agli Stati Uniti d’America, che non hanno esitato un
attimo ad usare armi di distruzione totale per vincere la guerra. In modo
particolare, occorre riflettere sulla seconda bomba atomica, sganciata su
Nagasaki.
Secondo molti storici si è trattato di un atto terroristico assolutamente
inutile ed evitabile, eppure è stato ugualmente eseguito per due ragioni
fondamentali. La prima, più che altro un vero e proprio alibi di natura
tecnico-scientifica, era che la bomba lanciata su Nagasaki, essendo composta
di plutonio, e non di uranio arricchito come quella gettata su Hiroshima,
aveva bisogno di essere sperimentata (naturalmente, tale ragionamento è
assolutamente cinico e spregiudicato). Il secondo motivo, in realtà
prevalente, era di ordine strategico-politico, nella misura in cui la seconda
bomba era davvero inutile per vincere la guerra contro il Giappone, un Paese
completamente affranto e stremato, ormai prostrato, ridotto alla mercè dei
vincitori, per cui apparve subito evidente un diverso scopo della seconda
esplosione nucleare, ossia un gesto scellerato compiuto in funzione
palesemente antisovietica. In tal senso, le bombe su Hiroshima e Nagasaki, pur
essendo le ultime della seconda guerra mondiale, furono considerate come le
prime della “guerra fredda”. Insomma, si trattava di una scelta
strategico-politica ben precisa, di un chiaro segnale intimidatorio, teso a
far capire ai sovietici e al mondo intero chi erano i nuovi padroni della
storia. Negli anni successivi al 1945, nel secondo dopoguerra, le armi
atomiche furono adottate da tutte le principali potenze mondiali: l’Unione
Sovietica l’ottenne nel 1949 (grazie soprattutto alla decisione di alcuni
scienziati che avevano concorso alla realizzazione della bomba nucleare per il
governo nordamericano, al fine di ristabilire un giusto equilibrio tra le
parti avverse), la Gran Bretagna nel 1952, la Francia nel 1960, la Cina nel
1964. In questo periodo, segnato da una prima proliferazione degli armamenti
atomici, si determinò un clima che venne definito di “guerra fredda”, nel
quale i due blocchi politico-militari contrapposti (la NATO, tuttora esistente
e che fa capo agli USA, e il Patto di Varsavia, che ruotava intorno all’Unione
Sovietica) erano coscienti di annientarsi vicendevolmente con il solo impiego
delle armi atomiche.
Questa era la teoria della “distruzione mutua assicurata”, alla base del
cosiddetto “equilibrio del terrore”, ossia della strategia della deterrenza
nucleare che, in qualche occasione, riuscì a scongiurare il rischio di un
conflitto termonucleare totale. Tale “equilibrio”, benché utile deterrente
sul piano strategico, tuttavia non impedì un’enorme proliferazione degli
arsenali atomici sia ad Ovest che ad Est. Al contrario, le armi nucleari
divennero sempre più numerose, ma soprattutto più sofisticate e complesse,
quindi più potenti, al punto che confrontate con quelle successive le bombe
gettate su Hiroshima e Nagasaki apparivano come “giocattoli”. Gli arsenali
atomici a disposizione dei due blocchi avversari (Est e Ovest: nemici più
sulla carta, ma nella realtà complici rispetto alla spartizione economica e
politica del globo terrestre) erano potenzialmente in grado di disintegrare il
nostro pianeta, non una, ma decine di volte! Nel corso degli anni Ottanta, il
dialogo tra Reagan e Gorbaciov condusse alla stipulazione dei trattati START I
e START II, che sancivano una graduale riduzione degli armamenti atomici
posseduti dalle due superpotenze. In quegli anni, esattamente nel 1985, uscì
un film intitolato “War games” (tradotto in italiano “Giochi di guerra”) che
racconta la storia di un brillante ragazzino di Seattle che, giocando col suo
computer, riesce ad inserirsi nella rete informatica della difesa nucleare
statunitense, provocando (ovviamente, nella finzione cinematografica) il
pericolo di un conflitto termonucleare totale, pericolo poi scongiurato. Cito
questo film per far comprendere come in quegli anni la percezione della
gravità dei rischi di un conflitto atomico che avrebbe potuto causare
l’autodistruzione totale del genere umano, era molto maggiore di oggi.
Eppure la situazione odierna è molto più pericolosa di quella che ho appena
descritto e che si riferisce al periodo della “guerra fredda”. Attualmente,
gli Stati che dichiarano di possedere armi nucleari e dunque fanno
ufficialmente parte del cosiddetto “Club dell’atomo” sono esattamente otto:
Stati Uniti d’America, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, India, Pakistan e
Israele. Ripeto e sottolineo: Israele... Invece, gli unici Paesi al mondo che
hanno pubblicamente e intenzionalmente rinunciato a programmi di riarmo
nucleare sono: il Sudafrica, probabilmente il Brasile, e alcune repubbliche
dell’ex Unione Sovietica, ossia Ucraina, Bielorussia e Kazakistan. Inoltre, la
possibilità (non solo teorica) che alcune armi atomiche come le cosiddette
“bombe sporche” (che non costano come le armi atomiche vere e proprie e non
esigono particolari competenze scientifiche, se non quelle, alquanto diffuse,
che servono a costruire una bomba tradizionale) possano cadere nelle mani di
gruppi terroristici al soldo dei servizi segreti militari delle varie potenze
(USA ed Israele sono in cima alla lista per la loro spregiudicatezza) può
forse offrire una vaga idea dell’elevata pericolosità dell’attuale situazione
internazionale, avvolta in quella che è stata convenzionalmente – ed
erroneamente - definita “la spirale guerra-terrorismo”, ossia una realtà
caratterizzata da crescenti tensioni e contraddizioni, aggravate dalla
politica della cosiddetta “guerra globale preventiva” made in USA che, di
fatto, alimenta e rafforza ulteriormente le spinte e le tendenze oltranziste
ed estremiste in ogni angolo della Terra.
Per questo, non tanto di “spirale” si tratta, quanto di due volti mostruosi e
gemellari partoriti dal medesimo apparato di distruzione e di oppressione:
l’imperialismo statunitense… L’odierna situazione planetaria è dunque molto
più insidiosa del passato, soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino
avvenuto nel 1989 e dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica e del suo
“impero”, ma soprattutto dopo l’11 settembre 2001, quando sono state
rilanciate la ricerca e la produzione di nuove generazioni di bombe nucleari
più piccole e più facili da utilizzare. Nonostante ciò, la consapevolezza del
pericolo rappresentato dagli arsenali atomici da parte dell’opinione pubblica
mondiale, si trova ad un livello molto più basso rispetto agli anni della
“guerra fredda”.
Anni in cui l’equilibrio tra le due superpotenze (USA e URSS) esercitava un
potentissimo effetto deterrente. Oggi quell’equilibrio non esiste più (è
rimasto solo il “terrore”, scusate la battutaccia). Anzi, la situazione è
profondamente squilibrata, estremamente instabile e caotica, e gli USA non
sono in grado di gestirla da soli attraverso un ruolo di gendarmeria
planetaria che si sono auto-attribuiti con arroganza e che li ha condotti
all’isolamento più totale ed infausto. Oggi assistiamo ad un insidioso
rilancio della ricerca nucleare per fini militari, che vede una responsabilità
ed un coinvolgimento crescenti anche del nostro Paese.
Basti pensare che all’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) e nella base
americana di Aviano sono pronte all’uso almeno 90 testate nucleari! Per far
capire l’estrema pericolosità derivante dall’odierno scenario internazionale,
voglio rammentare alcuni episodi occorsi nel 2002, quando India e Pakistan
(che già nel 1998 avevano condotto alcuni test nucleari) si trovarono
sull’orlo di un conflitto per il controllo del Kashmir (una terra situata al
confine tra i due Stati, famosa per un tessuto morbido e leggero di lana
omonima, ricavata da una particolare razza di capre che vive in quella
regione), una pericolosa contesa che avrebbe potuto condurre ad un drammatico
scontro militare e al successivo ricorso ad armi nucleari. Esistono alcune
micro-potenze regionali, quali la stessa Israele, che detengono arsenali
atomici micidiali ed assumono atteggiamenti ostili e belligeranti verso gli
Stati confinanti. E nessuno osa denunciare tale situazione, anzi chi si
azzarda in tal senso viene tacciato di “antisemitismo”…
Naturalmente sarebbe ipocrita non riconoscere che la più grave minaccia
proviene da quelle superpotenze mondiali come gli USA, la Cina e la Russia,
che mirano ad una nuova spartizione geopolitica ed economica del mondo e che
agiscono in modo aggressivo ed espansionistico sul terreno prettamente
commerciale, entrando spesso in contrasto tra loro. Si pensi all’accesa
competizione commerciale tra USA, Giappone, Europa e Cina, oppure alla
rivalità monetaria (una vera e propria guerra monetaria) tra il dollaro e
l’euro. Certo, dal 1945 ad oggi tutte le guerre finora combattute ed anche
quelle tuttora in corso (si pensi allo stato di guerra-guerriglia permanente
in Iraq) non hanno mai registrato il ricorso ad armi atomiche, bensì solo a
quelle convenzionali. Addirittura, in alcuni conflitti etnici “tribali” sono
stati perpetrati veri e propri genocidi utilizzando armi rozze e primitive: ad
esempio, in alcuni Stati africani, come il Ruanda, sono stati commessi
spaventosi massacri (contro l’etnia Tutsi) a colpi di machete, un pesante
coltello dalla lama lunga e molto affilata.
Finora ho fornito una ricostruzione storica il più possibile fedele e lineare,
in materia di armamenti nucleari, provando ad evidenziare un confronto tra
passato e presente, tra gli anni della “guerra fredda” e la realtà odierna
che, come ho già spiegato, appare assai più insidiosa, benché la coscienza
della gente comune sia indubbiamente molto meno diffusa e profonda rispetto al
passato. Pertanto, a tale proposito voglio citare un brano tratto da un
articolo di Giorgio Bocca (apparso alcuni anni or sono nella rubrica “L’antitaliano”),
nel quale l’anziano giornalista scrive testualmente: “Già nel 1945 avremmo
dovuto capire che l’apocalisse era ormai entrata nella normalità. Scoppia la
prima atomica a Hiroshima e sui giornali dell’Occidente, anche sui nostri, la
notizia venne data a una colonna in basso e non destò particolare emozione.
Aveva ucciso in un colpo 100 mila persone e ne aveva avvelenate a morte
altrettante.
Non se ne sapeva molto, è vero, ma in breve si capì che era l’arma della
distruzione totale, ma l’Occidente civile in sostanza non fece obiezione: la
bomba segnava in pratica la fine della guerra, perché condannarla?” In altri
termini, il fine (la conclusione della seconda guerra mondiale) ha
giustificato il mezzo, ovvero il ricorso alla bomba H, un terrificante
strumento di distruzione totale. Oggi, più che nel passato, questa perversa
logica machiavellica del “fine che giustifica i mezzi” non può e non deve più
essere tollerata, ma va respinta con fermezza e abbandonata in modo
definitivo, pena l’autoannientamento dell’umanità e la dissoluzione di quasi
ogni forma di vita presente sul nostro pianeta. Le cause delle guerre, siano
esse convenzionali o meno, sono fondamentalmente le stesse: il possesso e il
controllo della terra, dell’acqua, del petrolio o di altre preziose materie
prime, lo sfruttamento dell’uomo e della natura, l’oppressione di un popolo da
parte di un altro popolo, ovvero di una classe sociale da parte di un’altra
classe, eccetera eccetera.
Queste sono le ragioni primarie che possono scatenare un conflitto bellico. Il
fatto poi che alla guerra condotta con armi convenzionali si sostituisca la
guerra “termonucleare”, non cambia e non toglie assolutamente nulla alle
cause, al carattere e al significato di classe della guerra medesima.
Tuttavia, la differenza più evidente ed innegabile tra guerre tradizionali e
guerra nucleare, sta nel fatto che le armi atomiche sono strumenti di
DISTRUZIONE TOTALE: un “dettaglio” che non è certamente trascurabile, per cui
non va minimamente sottovalutato. Dunque, voglio concludere con un appello
che, per quanto possa apparire ingenuo, banale ed utopistico, esprime
un’istanza molto diffusa tra la gente comune, implica un presupposto di
estrema e vitale importanza, contiene una proposta assolutamente necessaria e
indispensabile alla salvezza del genere umano e delle altre specie viventi
sulla Terra:
BANDIAMO LE ARMI NUCLEARI, BANDIAMO TUTTE LE ARMI, BANDIAMO LA GUERRA E
L’IMPERIALISMO DALLA NOSTRA ESISTENZA!