
Quei docenti e personale Ata che sono andati in pensione con “quota 100” oppure quelli che andranno quest’anno quanto possono stare tranquilli sui calcoli del diritto e della misura della pensione che sono stati fatti e verranno fatti?
Sono esatte tutte quelle operazioni che influiscono sul diritto temporale alla pensione e sulla misura della pensione stessa?
Sono stati fatti senza errori e omissioni i computi “gratuiti” come il servizio militare, i riscatti “a pagamento”, come le aspettative di maternità, la laurea, le ricongiunzioni con la contribuzione derivante da precedenti lavori privati?
Intanto sappiamo che l’anno scorso circa 400 tra docenti e Ata che sono state collocati in pensione, dopo verifiche successive sono risultate prive dei requisiti necessari e, di questi numerosi “sventurati”, alcuni sono stati costretti a rientrare in servizio mentre altri hanno aperto un contenzioso con l’Inps e/o con le istituzioni scolastiche.
I numerosi cambiamenti introdotti via via dalle riforme pensionistiche di Amato, Dini, Fornero non sembra si siano armonizzati con un adeguato cronoprogramma di innovazione, aggiornamento e coordinamento tecnologico tra le strutture istituzionali previdenziali e i ministeri preposte all’applicazione delle riforme.
Ad esempio con il decreto Salva Italia del 2011, il Governo Monti ha deciso di tagliare l’ente Inpdap per farlo confluire nell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
La conseguenza è stata che quei circa tre milioni di lavoratori della Pubblica Amministrazione, di cui 1 milione e 100 del settore Scuola, si sono aggiunti ai 20 milioni di lavoratori del settore privato creando così un apparato Inps mastodontico.
Precedentemente i dipendenti pubblici avevano come cassa previdenziale l’Inpdap (Istituto Nazionale Previdenza Dipendenti Amministrazioni Pubbliche) alla quale le segreterie scolastiche comunicavamo i compensi fissi e accessori,
Il MEF (Ministero dell’Economia e Finaze) elaborava i compensi fissi mentre le scuole elaboravano i compensi accessori che venivano comunicati con il PRE96 (prima) e con la Certificazione Unica CU (dopo) all’Inpdap il quale provvedeva a rilasciare il CUD inglobando i compensi comunicati.
Alla fine si andava in pensione con calcoli coerenti, con i compensi percepiti e col sistema di calcolo (Retributivo/Misto/Contributivo a seconda se nel 1995 avevamo + o meno di 18 anni di contributi).
Con la fusione dell’Inpdap nell’Inps questo meccanismo si è inceppato, perché essendo L’Inps erogatore della pensione attraverso un sistema telematico che viene integrato da dati forniti sia dal MEF che dalle scuole.
Ora il MEF comunica i compensi Fissi , mentre le scuole dovrebbero comunicare i compensi accessori.
Quali accessori comunicare? A quale personale? Da quando? Come? Perché?
Come specificato nella nota Inps 115 del 02/08/2019, i compensi accessori fuori cedolino unico dal 2011 al 2019 devono essere trasmessi dalle scuole con i flussi Uniemens (Per i compensi accessori pagati dal 1 gennaio 2020 ci pensa direttamente NoiPa e questo onere non spetterà più alle scuole).
Se questi adempimenti fossero stati trascurati sia negli anni scorsi e fossero trascurati anche quest’anno, ciò significherebbe che migliaia di docenti e Ata andati in pensione potrebbero aver avuto un danno economico di calcolo, così come altre migliaia di docenti e Ata pensionandi del 2020 potrebbero averlo a loro volta da settembre prossimo perché non vedrebbero tali somme, regolarmente versate, influire sulla loro pensione.
Importante ricordare che, a differenza del retributivo ove i compensi accessori sono pensionabili quando c’è maggiorazione del 18% sulla retribuzione base, nel sistema misto e contributivo tutti gli accessori fanno base imponibile per il calcolo della pensione!
Altro elemento riguarda i decreti di computo che, prima dell’anno 2000, venivano fatti dal Provveditorato agli Studi.
Se questi decreti anteriori agli anni 2000, non verranno inseriti a mano nella banca dati delle posizioni assicurative dell’Istituto di Previdenza esisterà anche in questo caso il rischio di una penalizzazione di diritto e di misura, forse inconsapevole, del trattamento di quiescenza dei lavoratori.
Ma chi deve occuparsene? Usp? Scuole? Uffici Inps? E le segreterie scolastiche sono in grado di far fronte con il loro personale, carente e non formato, a queste nuove incombenze e responsabilità che l’Inps vorrebbe delegare?
Una controversia che in alcune regioni è stata superata con la resa delle scuole, in altre “si è messa una toppa temporanea” con il progetto nazionale ECO, in altre ancora la situazione è oggetto di agitazioni sindacali.
Auguriamoci che il Governo attuale, e quello prossimo che verrà, si rendano conto dell’urgenza di una svolta nel dotare il settore dell’Istruzione di tutti gli strumenti necessari a tutelare i diritti dei lavoratori che vanno in pensione, i diritti del personale della scuola ad una migliore qualità del lavoro e i diritti agli utenti ad avere un migliore servizio.
Sono un’amministrativa della scuola e sono costretta ad inserire/elaborare in passweb, software Inps, la carriera lavorativa dei dipendenti della mia scuola.. dopo una breve formazione superficiale ed in streaming. La mia enorme preoccupazione, consapevole di non avere una formazione adeguata per far fronte a tale impegno, è il rischio di danneggiare economicamente dipendenti ignari che di certo non meritano di pagare per scelte azzardate di politici incompetenti. Vergognoso!