De Rita (Censis): “Il Cambiamento giallo-verde? E’ solo turbolenza”

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Il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, è intervenuto giovedì 27 giugno nell’ambito di una tavola rotonda sul tema: “Il cimento del continuismo”, dove hanno partecipato Fausto Bertinotti, Antonio Calabrò (Direttore Fondazione Pirelli), Fabio Martini (La Stampa)  e Stefano Rolando (Università Iulm). Dibattito moderato dal direttore generale del Censis Massimiliano Valerii.

de ritaL’italiano medio è troppo impaurito  e il successo elettorale ottenuto dai partiti della discontinuità è dovuto all’abilità nel rispondere con promesse alle 2 domande profonde provenienti dalla società: 1) Il bisogno di sicurezza e 2) il senso del futuro”
Riguardo alla prima domanda, secondo De Rita, si è diffusa mediaticamente l’idea che la sicurezza collettiva si realizzi attraverso le carceri e la chiusura dei porti e Salvini si è fatto garante di questo bisogno collettivo di sicurezza.
Inutile spiegare al popolo del cambiamento che gli omicidi, in gran parte, avvengono all’interno della famiglia e/o per mano della criminalità organizzata, e che non esiste oggettivamente una vera minaccia esterna.”
Comunque, più difficile, per il governo giallo-verde sarà rispondere alla seconda domanda, e cioè, al bisogno di dare un senso al futuro.
“Dopo cinquanta anni di ricerche, di raccolta di dati- aggiunge De Rita- posso dire che la continuità è forza e meccanismo di invenzione perchè in questo mezzo secolo, di cambiamenti, annunciati e riassorbiti, ne ho visti diversi.”
Sono un fottuto continuista– dice De Rita- ci credo per un fatto di cultura e non solo per un fatto emotivo.
Momenti che sembravano di radicale discontinuità si sono poi riassorbiti nella continuità di una società che scorre lenta e che non ha cicli pesanti di rottura:
La linea economica Carli -Colombo del 1962, la contestazione del 1968, il terrorismo degli anni 70, la grande crisi di tangentopoli del 1993/94. 
Tutti eventi di “apparente cambiamento radicale” che si sono sempre riassorbiti nel lento scorrimento della società, in un processo di inesorabile continuismo.”
Siamo arrivati al marzo 2018, momento in cui con la vittoria giallo-verde si annuncia il governo del cambiamento “nulla sarà più come prima”.. ecc ecc.
C’è stato in effetti un tentativo di comunismo emotivo (decreto dignità, norme anticorruzione, reddito di cittadinanza) ma la rottura rientra nei canoni della società che scorre e con un filo di presunzione dico che stanno andando verso un riassorbimento della discontinuità. Si torna a trattare, si fanno trattative a Bruxelles, si convocano i sindacati, il tipo di contenuto delle lettere che scrive l’attuale  presidente del consiglio potrebbero essere le stesse lettere scritte nel 1972 dal Presidente Rumor.
Non so cosa succederà dopo. Il momento della dscontinuità è destinato a finire. Chi gestirà il ritorno allo scorrimento ordinario del fiume? Magari lo stesso Salvini che tanti sindaci e presidenti di regione. E’ stabile nella struttura e non è una meteora. Può darsi che non ce la farà . Sicuramente tenderà a scemare la dimensione emotiva della rabbia del rancore dell’anticasta. L’emozione è qualcosa che resta? Una volta che sia stata espressa anche l’emozione stanca.
E torneranno, come sempre a distanza di tempo, altri shock emotivi di durata limitata. Prepariamoci al prossimo.
La lunga durata ha una sua dimensione forte e vedo che la società va interpretata su cicli lunghi che rispettano i ritmi lenti di una società che scorre.
“La vera invenzione e modernizzazione sta dentro il cambiamento in atto nello scorrere lento della società, non in chi ha vinto le elezioni, non in chi  punta sulla forza dell’annuncio per catturare e condizionare le emozioni collettive…”

Sulle ragioni del voto alla Lega è intervenuto Antonio Calabrò, direttore della Fondazione calabro'Pirelli, che ha elencato due modelli di consenso alla Lega:
Quello del sud caratterizzato da una certa chiusura e nella promessa di sicurezza e cambiamento.
Quello del nord, invece, paradossalmente non è stato un consenso a Salvini ma è stato piuttosto un voto alla lega come sindacato di territorio.
Infatti le fabbriche del nord non avvertono questa fantomatica emergenza sicurezza perché la fabbrica è un territorio di inclusione e non di esclusione degli immigrati e perchè le industrie del nord hanno bisogno di sempre nuova manodopera.
“Ho visto in grandi convegni delle associazioni confindustriali venete, più di un migliaio di persone applaudire a Zaia e non a Salvini.”
In altre parole potremmo dire che gli industriali del nord non si sarebbero fatti infinocchiare (ndr) dalla retorica sulla sicurezza e dalla propaganda elettorale ma si aspetterebbero risposte concrete in termini di sviluppo e investimenti che, al momento, non vedono arrivare.
Per l’elettorato del nord l’elemento di discontinuità è economico non sono i confini chiusi.
Da qui deriverebbero, secondo Calabrò- le critiche al governo giallo-verde e allo stesso Salvini.
Il consenso al sud ottenuto dalla Lega sarebbe invece una sorta di autoinganno degli stessi elettori che dovrà presto rivelarsi con l’irrisolta grande questione meridionale e con l’interrogativo sulle modalità di applicazione delle autonomie regionali differenziate.
Un elemento di forte sobbalzo e discontinuità, secondo Calabrò, si è concretizzato nella rottura del senso del pudore nel linguaggio del discorso pubblico.
Tutti quei pensieri orrendi, incivili, pensieri di cui  vergognarsi, che covavano nella pancia di parte degli italiani sono stati comprati nella campagna elettorale dai politici che hanno deciso di rompere il tradizionale senso del pudore nel discorso pubblico. Da qui si è verificato un cambio di paradigma comunicativo nella libertà di colpire la dignità degli interlocutori e avversari a colpi di tweet e di post che non ammettono dialogo ma solo annichilimento della controparte. E forse hanno così generato una discontinuità problematica di lungo periodo di cui non si vede l’orizzonte.

Fausto Bertinotti, nel suo intervento, si è detto parzialmente discorde dalla tesi di De bertinottiRita.“Propendo per una lettura continuista a meno che..”  Per l’ex presidente della Camera la discontinuità di breve periodo ha una possibilità nella “rivoluzione”.
Ci vuole un soggetto che invochi un’alternativa di società e nel secolo scorso protagonisti di questa forte aspettativa sono stati i movimenti operai marxisti e cristiani che non sono riusciti a realizzare un nuovo modello.
Secondo Bertinotti, che cita il libro “La Breccia” di Edgard Morin,  il movimento del 68-69 è stato prossimo a questa possibilità di rivoluzione.

“Riccardo Lombardi nel dibattito politico degli anni 60, in polemica con Antonio Giolitti, opponeva la tesi che le riforma di struttura hanno un senso se sono una transizione verso il socialismo.” La discontinuità di lungo periodo sarebbe possibile quando vi è una rottura di sistema basato sulla possibilità di immaginare il futuro. Un futuro dove non ci si limita ad un cambio di persone e di partiti al governo ma un futuro che si traduce in una lotta rivoluzionaria basata su una visione alternativa di sistema. “La messa in discussione del sistema, non di quale politico comanda, ma di quale società si vuole realizzare. La crisi della democrazia è quindi oggi crisi di poter pensare ad una discontinuità storica e la politica rimane così rinchiusa nel tema della governabilità.”
Con la fine del movimento operaio la speranza di rottura si è esaurita e ha fatto prevalere il continuismo, e quindi, chiosa l’ex Presidente della Camera: ” I termini sicurezza e futuro sono in contraddizione perché il futuro è divorato dalla sicurezza che ti porta la consumazione del tempo in un istante. Questa stagione è destinata a consumarsi in una continuità instabile, direi in una crisi di civiltà, in una continuità senza speranza.”

Stefano Rolando dell’Università Iulm, si è soffermato sull’analfabetismo funzionale che rolandocaratterizza quasi la metà degli italiani. Molte persone non riescono a comprendere un discorso, il significato di un testo scritto.
La discontinuità di cui stiamo parlando non sparirà perché si fonda su un consenso reticolare diffuso, su questo analfabetismo di ritorno.
E su queste basi sociologiche l’estremismo della disintermediazione ha permesso ad alcuni politici come Salvini e Meloni di appropriarsi dell’idea di Patria e di Nazione senza che ci sia stata una reazione culturale di riflessione e di ricerca.

E c’è un riscontro nelle parole di Rolando se si considera che tra il 2010 e il 2018 centinaia di librerie italiane si sono arrese alla chiusura.
E qui vogliamo menzionare quanto scrive sull’argomento Aldo Domenico Ficara sulla testata TdS:  “Un analfabeta di ritorno dimentica via via quanto assimilato perdendo di conseguenza la capacità di utilizzare il linguaggio scritto o parlato per formulare e comprendere messaggi e, in senso più ampio, di comunicare con il prossimo e con il mondo circostante. Per definizione l’analfabetismo di ritorno differisce dall’analfabetismo, che è invece determinato dal non avere mai assimilato alcuna competenza di scrittura e di lettura. Il 98,6% degli italiani è alfabetizzato, ma sfiora il 30% la quota di cittadini tra i 25 e i 65 anni con limitazioni nella comprensione, lettura e calcolo. Questo è quanto emerge da un’indagine denominata ‘Istruzione e futuro: un gap da colmare’ realizzata per la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dall’Istituto Carlo Cattaneo. Secondo questo studio, i bassi livelli di istruzione generano ingenti costi di seguito elencati:

-Costi a livello individuale: esclusione sociale, insicurezza, mancanza di autonomia, precarietà.
-Costi sociali: scarsa partecipazione al processo democratico, criminalità, maggior spesa per la salute.
-Costi economici: livello di sviluppo limitato, bassa propensione all’innovazione, scarsa produttività.

Fabio Martini giornalista de La Stampa, ha toccato nel suo intervento il ruolo dei media e il percorso di cambiamento comunicativo adottato dalle nuove formazioni politiche.
martiniSi è partiti dall’uso dei social come strumenti alternativi di conquista del consenso e dal rifiuto della interviste nei tradizionali talk show per arrivare alla consapevolezza che non bastavano i twet e i post e che non si poteva fare a meno di utilizzare i vecchi media.
Ed è cosi che quegli stessi politici  hanno iniziato a curare l’aspetto comunicativo e sono diventati più professionali nelle interviste e negli interventi televisivi.
Martini sembra supportare la tesi di De Rita sulla discontinuità nella continuità quando cita lo scrittore Mauro Calise, autore de “La democrazia del leader” (Laterza) e “Il partito personale”, uno dei saggi più influenti nel dibattito politico italiano. Calise nei suoi libri scrive: «l’irruzione dell’io: narcisistico, autoreferenziale, carismatico» con leader, che però si ritrovano ad essere «interpreti obbligati di ogni narrazione dei media» i veri, nuovi padroni della scena, pronti a «consentire l’ascesa e a favorire la decadenza» di nuovi personaggi.

In un articolo su La Stampa del 5 febbraio 2016 sullo stesso argomento Fabio Martini aggiungeva: “…Il dato più critico per i presidenti personali sta «nella loro incapacità di soddisfare l’alto livello di aspettative che le loro campagne populiste hanno creato nell’elettorato» e al tempo stesso di essere continuamente esposti alla «sorveglianza e agli attacchi del fattore M, media e magistratura, che prosperano nell’alimentare e falcidiare il mito dei leader carismatici»

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Blogger autodidatta, Educatore Professionale con Laurea Magistrale in Management del Servizio Sociale a Indirizzo Formativo Europeo; Master in Tutela Internazionale dei Diritti Umani. Profilo corrente: Ata nella Scuola Pubblica. Inserito nelle Graduatorie d'Istituto 3a fascia per l'insegnamento di "Filosofia e Scienze Umane"

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