Quale modello di gestione dell’emergenza esiste in Italia? Quali soggetti e quali autorità coordinerebbero, nei vari quadranti della città, gli interventi e gli aiuti davanti ad un’emergenza sociale legata all’ordine pubblico o ad eventuali calamità naturali?
Qual’è la reale volontà politica dei decisori locali e nazionali di favorire un modello di responsabilizzazione e coinvolgimento di tutti i cittadini al fine di rafforzare, davanti ai nuovi rischi del terzo millennio, la coesione sociale e i legami comunitari nei quartieri metropolitani?
Uno degli ostacoli alla rigenerazione dei quartieri è il fattore “criminalità”. Essa e il suo sottobosco delinquenziale avanzano e prosperano nelle città per tre motivi: uno riguarda il disagio sociale, la povertà dilagante che spinge sempre più persone alla scelta disperata di farsi reclutare da certi giri periferici di “manovalanza” e di “lavori sporchi”. Giri collegati, attraverso invisibili e impenetrabili livelli gerarchici, alle grandi organizzazioni camorristiche e mafiose e alla loro industria della droga, del riciclaggio di danaro sporco, del racket commerciale e immobiliare.
Un secondo fattore che fa attecchire la microcriminalità è il terreno fertile dell’illegalità diffusa, della tendenza capillare ad ogni livello, sia istituzionale che individuale a non rispettare le regole, al “lassismo” e al “faidate”. Non si tenta nemmeno di fare “cordone sanitario” contro abusivismi che profanano il verde pubblico, non si boicottano esercizi commerciali in odore di mafia e di riciclaggio, si tende a declinare ogni attribuzione di responsabilità civica e a rifiutare il ruolo di cittadinanza attiva. Un ruolo che è fondamentale per ogni democrazia che si rispetti.
Una terza e forse più importante motivazione consiste nella progressiva atomizzazione delle comunità e dei quartieri favorita da una politica inadeguata, incapace e fraudolenta, da amministratori che, non solo non riescono o non vogliono tutelare la legalità, ma non si fanno catalizzatori di reti comunitarie solidali tra i cittadini. Al contrario, la politica locale continua a puntare, con i propri atti e deliberazioni, sul clientelismo, sulla propaganda e sul controllo di ogni iniziativa di aggregazione civica che viene solitamente vista come potenziale ostacolo all’esercizio discrezionale del proprio potere.
Per descrivere meglio l’evoluzione delle nostre comunità urbane vogliamo prendere in prestito le seguenti parole di Claudio Magris pubblicate oggi sul Corriere della Sera nell’ambito di un articolo sui tempi che cambiano: “…Oggi quella omogeneizzazione si è capovolta nel suo contrario, in un pulviscolo di diversità contraddittorie, in una miriade di microcosmi sempre più piccoli e particolari, che si suddividono in unità a loro volta sempre più piccole e particolari, riluttanti a riconoscersi parte di una totalità che le comprende e reclamanti ognuna la propria diversità- nazionale, culturale, etnica, politica, giuridica. Alla geometria del Moderno è subentrato un Medioevo globale, frazionato, atomistico…”
Sta venendo meno sempre di più quel collante tra persone, tra famiglie, tra gruppi che ha sempre rappresentato soprattutto nei quartieri periferici delle città un efficace anticorpo contro la crescente e invadente microcriminalità. In questo deserto di socialità e socializzazione, le singole persone e le singole famiglie sono sempre più in balia della paura e si sentono soli rispetto a possibili aggressioni improvvise per strada o nelle proprie case. Per cambiare le cose nella città di Roma, abitata da diversi milioni di persone, basteranno gli annunciati 130 poliziotti in più?. No, la risposta è ovvia! E’ importante il controllo del territorio da parte delle Istituzioni come è fondamentale riappropriarsi di tutti quegli spazi degradati e abbandonati per renderli luoghi fruibili di aggregazione, cultura e socializzazione. Servono scelte di politiche sociali innovative che contrastino le sacche di xenofobia, l’individualismo e l’illegalità diffusa. I cosiddetti Piani Regolatori Sociali dei municipi, ad esempio, non possono continuare ad essere uno sterile documento concordato con padroni e padroncini del Terzo Settore da approvare al più presto perchè obbligatorio per legge. La mappa dei bisogni di un territorio, la sua lettura e interpretazione va condivisa estesamente con i cittadini di quel territorio, con gli utenti dei servizi, con gli operatori che sono a contatto quotidiano con il disagio sociale.
Cittadini più uniti e solidali, più attenti al proprio vicinato, meno segregati nei propri interessi corporativi e particolaristici sono elemento determinante per un’inversione di rotta e per non precipitare in maniera irreversibile nel “Medioevo globale” .
Intanto, è bene sapere che il 22 gennaio 2014 è stata approvata la Carta-Europea-Responsabilita-Sociale-Condivisa (clicca sul link per scaricare il documento intero tradotto in lingua italiana)
Leggiamo alcuni passaggi: “La responsabilità sociale è definita come lo stato in cui gli individui e le istituzioni pubbliche e private necessitano o sono in grado di essere responsabili delle conseguenze delle loro azioni o omissioni nel campo del benessere sociale e della protezione della dignità umana, dell’ambiente e dei beni comuni, nella lotta contro la povertà e la discriminazione, e nella ricerca della giustizia e della coesione sociale, mostrando rispetto democratico delle diversità e delle norme morali, sociali e legali applicabili o degli obblighi;..”
Considerato che la gravità della situazione richiede nuovi metodi di governance, regolamento, gestione dei conflitti e la ridistribuzione incorporati in un visione a lungo termine;
…Convinti della necessità, al fine di generare fiducia nel futuro, che le responsabilità sociali debbano essere condivise equamente tra le autorità pubbliche, imprese, organizzazioni della società civile, famiglie e singoli individui. ….
Raccomanda che i governi degli Stati membri:
1. avvisino tutte le parti interessate al rischio di una regressione dei diritti, della protezione sociale e della democrazia quando si affacciano crisi ricorrenti e spreco di competenze umane, intellettuali e morali dei cittadini ‘;
2. aumentino la consapevolezza degli stakeholder della reciprocità e rispetto reciproco con impegni nella definizione di norme, priorità e strategie di azione stabilite in comune;
3. favorire la sperimentazione di un nuovo approcci o basato sul principio della condivisione sociale delle responsabilità, che cerchi di collegare le decisioni e le azioni dei diversi attori rispetto agli obiettivi dell’assicurare il benessere e la giustizia sociale, ambientale e intergenerazionale, in uno spirito di reciprocità, responsabilità reciproca e un impegno comune per ridurre le disuguaglianze sociali e le disuguaglianze di influenza e riducendo al minimo le conseguenze dannose delle decisioni unilaterali;…
In questa crisi globale che investe l’Europa con tutte le sue conseguenze economiche, belliche e terroristiche, ogni cittadino è chiamato a reinterpretare il suo ruolo di partecipazione alla vita pubblica. Ogni quartiere deve autogestire una nuova “agorà” di confronto e di progetto condiviso e partecipato, ogni piazza, ogni scuola ogni parrocchia deve rigenerare legami e relazioni sociali nuove.
Un’ipotetica salvezza di fronte ad un’imprevedibile situazione di “caos” si raggiunge, a nostro avviso, attraverso il presupposto di una nuova cittadinanza attiva: Riusciranno a tutelarsi quelle comunità che avranno saputo creare legami forti di coesione tra gli individui in uno spirito di solidarietà reciproca e di mutuo aiuto.
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